Mancano ormai pochi giorni alla fine di quest’anno 2021 che, tra non poche difficoltà, si avvia verso il tempo della storia, dove il nostro presente sarà guardato, letto, meditato con una diversa visione da noi che l’abbiamo vissuto, caratterizzato, segnato con le nostre opere (forse poche) ed omissioni (forse tante). Restano, infatti, ancora insoluti tanti problemi che affliggono la nostra società e il nostro Pianeta. Si pensa agli inquinamenti dell’aria, della terra, del mare per arginare i quali non bastano più le continue enunciazioni di principi: troppe ormai le conseguenze disastrose di incendi, esondazioni, frane… Bisogna agire e subito.
E si pensa alle mancate accoglienze del popolo di derelitti che fuggono dalla storia cercando riparo e riposo in città e paesi altrui, estranei. E si pensa alle disuguaglianze sociali, alle povertà della nostra opulenta civiltà occidentale con sempre più persone che hanno la strada come unico riferimento.
Si stringe il cuore di fronte a queste miserie umane: i suoni delle zampogne e ciaramelle di questi giorni di novena natalizia sembrano rimandare melodie tristi, struggenti l’animo per quelle miserie sociali che potrebbero essere eliminate dalla faccia della terra con un po’ di buona volontà da parte di tutti gli uomini. La terra, la nostra Madre Terra dona abbastanza perché tutti si possa mangiare, si possa trovare un luogo di riposo dove trovare anche una identità di uomo, si possa vivere in serenità. In fondo siamo tutti della stessa specie e i doni che la Terra ci fa ogni giorno non possono essere proprietà di nessuno, ma dovrebbero appartenere a tutti.
I doni, già, e non i regali! A leggere le definizioni di queste due parole nel vocabolario, si trovano pressappoco gli stessi significati: “dare ad altri una cosa utile e gradita senza averne compenso”. Ma andando avanti nella lettura, si scopre che il “dono” ha qualcosa in più del “regalo”. Nel suo lemma, infatti, si legge anche “dedicarsi a qualcosa con impegno e dedizione” e, ancora più su in una immaginaria scala di valori, si trova “dare a qualcuno tutto il proprio affetto”. Mentre per “regalo” si legge “vendere o far credere che si vende a prezzi bassi”.
Differenze non da poco se vogliamo non solo parlare, ma sentire veramente nostro il linguaggio che usiamo. E soprattutto se vogliamo riferirci a quel messaggio eterno e senza limiti che in una fredda notte di dicembre, da una spoglia grotta di un paesino della Giudea, fu lanciato da un Bimbo di nome Gesù: “Pace in terra agli uomini di buona volontà”. Un augurio, ma anche un dono, come quello dei tre Re Magi di cui si narra nel Vangelo di Matteo. Dice l’evangelista che portarono “in dono” oro, incenso e mirra. Ma a ben leggere quell’evento sembra quasi di scoprire che il “dono” più che portarlo quei tre sapienti lo mostravano ed era quello di credere in quel Bambino, “dono” ricevuto dall’alto. Una donazione come è la carità, cioè la disponibilità senza condizioni verso l’altro, soprattutto se bisognoso del nostro aiuto. Nella lettera ai Corinzi San Paolo scriveva: «Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!». Tre virtù teologali, cioè date, donate da Dio, che si uniscono a quelle quattro cardinali, o umane, già presenti nel pensiero di Platone e che in un certo senso furono riprese da San Tommaso. Non solo, ma quanto queste virtù siano importanti lo si riscontra nelle numerose raffigurazioni d’arte; due su tutte: le quattro virtù cardinali raffigurate dal Perugino nella Sala del Cambio a Perugia e le tre virtù teologali affrescate da Raffaello nella Stanza della Segnatura Apostolica in Vaticano.
La società dei consumi ci ha, da qualche decennio, abituati ai regali di Natale (ed è già un fermento di ricerca e compere di cosa regalare, anche se quest’anno, ancora una volta all’insegna, sana, del cum grano salis); un regalo che, in fondo, è ciò che si porta al re. E forse questi (i regali) stanno bene per i nostri figlioletti e nipotini. Ma per noi adulti c’è bisogno di doni, di un qualcosa soprattutto di immateriale, che resta molto di più dentro di noi e dentro la nostra società, non rompendosi al primo urto. I regali passano. Basta guardarsi un attimo indietro, alla nostra infanzia per scoprire che oggi non ci sono più le pistole di latta che facevano tic-tac, non ci sono più i pezzetti di legno con forme geometriche per “costruire” con la fantasia, non si vedono più in giro il meccano e i trenini sono ormai appannaggio di nostalgici collezionisti. Pochi sono ancora i lego che resistono tenacemente all’avanzata dei tablet, e di quei giochi elettronici dai quali i nostri piccoli non sanno staccarsi, neanche per dire “buonasera”! Panta rei, tutto scorre, a richiamo di Eraclito (?), tranne i doni, quelli veri, che ci portiamo dentro e che possiamo donare con generosità a chi ne ha bisogno. Avere fede negli altri, sperare in un mondo migliore per il quale tutti abbiamo il dovere di collaborare, ma soprattutto avere carità, amore verso il prossimo, cominciando dal nostro più stretto vicino, è creare le basi perché si compia il sogno di Martin Luther King: “Spero che un giorno gli uomini si rizzeranno in piedi e si renderanno conto di essere stati creati per vivere come fratelli”.
I gesti che Papa Francesco compie ogni giorno verso gli altri, le sue parole di monito ed esortazione sono un dono non solo per i cristiani, ma per tutti gli uomini della terra, quegli uomini di buona volontà per i quali duemilaventuno anni fa, in questi giorni in cui le religioni festeggiavano la nascita del sole (il solstizio d’inverno), fu annunciato la Buona Novella. In fondo è dentro di noi il senso del dono: siamo decisamente più contenti quando doniamo vedendo la felicità di chi riceve. Ma donare non solo a Natale, bensì in ogni momento dell’anno, ogni volta che ci viene chiesto di stendere la nostra mano verso quella di un altro.
Pensieri della notte, questi vergati per un fine anno, che forse lasciano il tempo che trovano, ma che tentano di chiudere con la speranza nel cuore di giorni migliori.