Fra qualche giorno sarà il 20 dicembre e la data, oltre che appartenermi per essere io nato in quel giorno, alle ore 18,15, è importante per quanto avvenne a Salerno circa cinque ore prima essendo un fatto di particolare rilevanza per la vita democratica non solo salernitana, ma, direi, italiana: la sentenza per un processo penale intentato dalle Forze Alleate nei confronti di alcuni esponenti politici salernitani che pubblicavano giornali.
E vengo ai fatti.
Sono circa le ore 13 del 20 dicembre 1943 quando la voce stentorea di un cancelliere del Tribunale di Salerno annuncia che sta per entrare la Corte, formata da giudici scelti dalle Forze Alleate, le quali, dal momento dello Sbarco di Salerno, avvenuto il 9 settembre di quell’anno sotto il nome di “Operazione Avalanche”, presidiavano e governavano praticamente la città.
Imputati in quel processo erano i fratelli Luigi e Francesco Cacciatore (quest’ultimo, conosciuto con il nome di Cecchino, fu tra i padri fondatori dell’istituzione democratica municipale a Salerno), ritenuti noti sovversivi socialisti già dal governo fascista, Raffaele Petti, Vincenzo Avagliano, anche loro socialisti, Ippolito Ceriello e Danilo Mannucci, comunisti.
A loro carico un’unica accusa: avevano fondato, i primi due (i Cacciatore), e pubblicato il periodico “Il Lavoro”, primo giornale del Partito dell’Italia liberata, e i secondi (Ceriello e Mannucci) il giornale “Il soviet” dal dichiarato carattere combattivo sovietico.
A detenere la carica di Governatore di Salerno era il colonnello americano Thomas Aloysius Lane, comandante delle forze alleate di stanza in città, il quale, qualche giorno prima del processo, aveva ordinato la chiusura dei due giornali ritenuti alquanto sovversivi nei confronti degli alleati. In specie, in questa determinazione, aveva pesato la relazione del capitano Rafter, responsabile di un organo di controllo e censura anche su quanto si scriveva sui giornali in quel periodo a proposito degli alleati. Non va, infatti, dimenticato che se Salerno e la Campania erano ormai liberati, nel resto d’Italia si combatteva ancora ed aspramente, per cui a tutti gli effetti si era ancora in pieno periodo bellico. Il capitano americano aveva soprattutto preso di mira il quotidiano “Il soviet” diretto da Ippolito Ceriello per i titoli ritenuti troppo in favore dell’Unione Sovietica. Restava, però un fatto certo: prima “Il Lavoro” e poi “Il Soviet” erano stati i primi giornali in una Italia che cominciava ad essere libera dal regime fascista. Secondo le cronache sembra che i due direttori dei giornali furono anche arrestati per un solo giorno dalle autorità alleate. In pratica l’Italia era “liberata”, ma non ancora libera, cosa che invece si pensava fosse avvenuta nelle redazioni dei due giornali.
Tra l’altro sotto la testata era orgogliosamente riportata la scritta “stampato a Taranto”, essendo la città bimare libera dalle forze alleate. Ma incuriosiva non poco il capitano americano Rafter la rapidità con cui i due giornali giungevano in città e venivano distribuiti, tant’è che quella mattina del 20 dicembre 1943, presente in aula, rivolse agli imputati una precisa domanda su come facessero a far arrivare i giornali da Taranto a Salerno in poco tempo. Le cronache narrano che nell’aula scese un silenzio timoroso; ma si alzò l’imputato Vincenzo Avagliano che, con forza grido: “Con il treno della libertà, signor Capitano”. A questo punto tutti in quell’aula si aspettavano il peggio, ma il temuto capitano Rafter guardò l’imputato rimasto ben dritto in piedi, poi girà i tacchi e, insieme al suo assistente, l’italo-americano capitano Riola, uscì dall’aula, senza neanche aspettare la sentenza, forse anche intimamente soddisfatto di tanto coraggio democratico. Dopo poco fu letta la sentenza: condanna per tutti gli imputati a un mese di carcere con la condizionale ed al pagamento di alcune multe.
Così la libertà di stampa affermava il suo principio nonostante non fosse ancora stata scritta la Costituzione Repubblicana.
Il giorno dopo, 21 dicembre 1943, il ragioniere Vincenzo Avagliano, per dare concretezza e forza a quanto urlato nell’aula del tribunale, stampa il periodico “Libertà” a sua firma quale direttore responsabile. Un episodio giudiziario, ma anche una grande pagina di giornalismo e di democrazia che partiva da Salerno e che rappresentava soprattutto quel mondo socialista e comunista che si era strenuamente opposto al fascismo.
Ma anche i cattolici non restarono con in panciolle. Attivi anche loro in quelle ore difficili, sotto la spinta dell’arcivescovo Mons. Nicola Monterisi, stamparono “L’ora del popolo” con Direttore Girolamo Bottiglieri, che negli anni sarà protagonista politico della storia di Salerno, come lo furono i fratelli Cacciatore: Luigi fu persino Ministro, poi Cecchino, a partire dal 1953 e per quattro legislature, fu parlamentare salernitano, chiamato da Pietro Nenni a prendere il posto del defunto fratello Luigi.
Va ricordato che nel febbraio del 1944, Alberto Avagliano e Francesco Cacciatore con Girolamo Bottiglieri, Ippolito Ceriello, Andrea Galdi ed Ernesto Nunziante, rappresentanti delle varie forze politiche salernitane furono a Roma per il congresso dei Comitati di Liberazione Nazionale.
E qui comincerebbe un’altra storia, politica, di quegli anni in cui si dovette mettere mano alla ricostruzione del Paese.
Il mondo del giornalismo salernitano dovrebbe essere riconoscente a Vincenzo Avagliano e tenere ben presente nel proprio lavoro quotidiano quel grido lanciato nell’aula del tribunale “Con il treno della libertà, signor Capitano”. E con i giornalisti dovrebbero ricordare quell’urlo di gioia anche quanti oggi amministrano questa città così orgogliosamente democratica.