Nella grande piazza di Geapoli in Etiopia del Ponto, i sacerdoti stanno per sacrificare agli dei una giovane vergine vestita di bianco. Tra la folla rumorosa e assiepata per il rito pagano, s’alza poderosa una voce: «Io sono Matteo! Il mio nome vuol dire: “Il dono di Dio!”». Cala improvviso il silenzio e tra la calca dei presenti si fa largo Matteo, il gabelliere dei romani, l’apostolo di Cristo, il narratore della buona novella.
Una scena che fa parte di un’ampia, profondamente sentita narrazione che Guido Cataldo, compositore salernitano di rara sensibilità, ha raccontato in un musical con la regia di Gaetano Stella. E’ la storia dell’uomo e del santo, narrata dal vescovo Jacopo Varrengia fino al martirio e al ritrovamento del corpo a Velia in epoca longobarda e poi a Salerno, un racconto in musica con oltre cento artisti tra comparse, ballerine, coro. Diversi i luoghi dove la vicenda si svolge, diverse le armonie, le musiche che il maestro Cataldo ha raccolto in quel particolare vocabolario della sua anima dove le sette note sono sempre in cerca dell’autore che possa comporle in armoniose sonorità.
Dice Cataldo: «San Matteo è stato prima gabelliere, poi discepolo di Cristo, poi Apostolo,
Evangelista e infine Martire e Patrono della nostra città. Da musicista, in una sorta di sfida con me stesso, ho cercato di cogliere tutte le varie sfaccettature di questo straordinario personaggio. Era un sogno che avevo nel cassetto da anni. Ogni volta che passavo per il Duomo, in un dialogo personale con il Santo, rinnovavo il mio appuntamento con la realizzazione di quest’opera cha alla fine sono riuscito a completare».
Ricorda, il maestro, di essere nato in via Bastioni, a pochi metri dal Duomo, dove è vissuto in casa dei nonni materni che avevano un negozio di cappelli – “di borsalino”, precisa – in Via Dogana Regia. Per cui il rapporto con il Santo Evangelista era la processione fatta prima con gli scout e poi suonando nella banda musicale e, alla fine, il suo “Evangelio” presentato per prima nel Duomo di Salerno dove si custodiscono i resti mortali del Santo Patrono di questa città di mare che apre le ampie braccia delle sue costiere all’accoglienza di chi vi giunge.
«San Matteo era là che mi aspettava ed io da salernitano, legato alla mia terra, ho avuto il bisogno di portarlo in scena». Un’opera magistrale dove le varie culture musicali si susseguono nell’armonia di una narrazione che dall’Etiopia passa per il Cilento e giunge nella Salerno medioevale.
Ricorda il maestro: «Ero tanto preso dalla scrittura che le note uscivano facilmente. L’avevo dentro questo musical. E poi è stato un crescere mio personale: prima di fare Matteo ho letto e riletto il Vangelo».
Una lettura che lo porta ad aprire e meditare anche gli altri tre Vangeli. «Era una cosa che mi mancava – ricorda Cataldo –, a scuola non se ne parlava, al catechismo ci hanno insegnato poche cose, ma cosa fossero i Vangeli non lo sapevo. Così decisi, da adulto, che era giunto il momento di leggerli, partendo da quello di Matteo, il primo: lo lessi sulla spiaggia. Quindi comprai gli altri, leggendoli e rileggendoli: a dicembre debuttai con la mia opera musicale nel Duomo di Salerno, con cantanti, orchestra e coro. L’antico e maestoso tempio era gremito, tanto che alla fine Mons. Guerino Grimaldi, Arcivescovo dell’epoca, mi venne vicino e mi disse “‘I rignute chiù tu stasera che io ‘a notte ‘e Natale” (“Hai riempito più tu stasera che io la notte di Natale”)». Il passo successivo fu la rappresentazione alla Sala Nervi alla presenza di Papa Giovanni Paolo II. E fu emozione pura, “la più grande della mia vita”, quando fu ricevuto dal Papa per i complimenti.
Ma altre emozioni, tramutate in musica, sono nel corposo bagaglio produttivo di Guido Cataldo. Tra le produzioni un posto di rilievo certamente è occupato da “America” una storia di famiglia che si fa storia di emigrazione, storia di un popolo che è stato costretto a crearsi e a volte inventarsi una nuova vita in un altro continente.
«America prende le mosse da mio nonno Bartolomeo Cataldo, che era musicista. Non ho avuto modo di conoscerlo, ma lui andò in America. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1924, mia nonna si risposò così che la memoria di quest’uomo andava perdendosi. Di lui aveva qualche spartito musicale e una foto. Mio padre lo ricordava vagamente, perché aveva otto anni quando lo perse. Un giorno, però, mi sono imbattuto in una tesi che una ragazza aveva fatto su mio nonno e c’erano alcune foto che parlavano dell’emigrazione italiana in America, con le navi zeppe di umanità. Pensai a mio nonno che aveva viaggiato in quel modo agli inizi del ‘900. Il 12 ottobre 1992, a 500 anni dalla scoperta di Cristoforo Colombo, ad Ellis Island fu inaugurato il Museo dell’emigrazione. All’inizio del successivo mese di novembre io ero lì. Dovevo vedere e sapere. Così entrai in questo museo, feci lo stesso percorso che aveva fatto mio nonno, mi sedetti dove si era seduto lui, mi avvicinai al banco dove era stato interrogato, entrai nella stessa stanza dove fu visitato e uscii da dove lui era uscito. Trovai anche il suo nome sul registro: così seppi quando era arrivato e con quale nave. Emozione e pianti. Me ne tornai in Italia e, di getto, scrissi “America”». E fu un successo prima italiano e poi americano: Montreal, Toronto, Detroit, Chicago, New York; un’opera che gli procurò il Brodway World Italia per la migliore partitura originale e lirica, un’opera che Cataldo dedicò «ai tanti emigranti che hanno avuto il coraggio di non soccombere e di ricostruirsi una vita».
E la storia di famiglia si incrocia con la grande storia, perché nell’epico viaggio immaginato dal compositore gli emigranti sono idealmente accompagnati da Madre Francesca Saverio Cabrini, figura eccezionale per la sua assistenza agli emigranti, tanto da essere proclamata Santa nel 1946 e patrona degli emigranti.
In questo musical Guido Cataldo ha inserito una mazurca, brano musicale composto dal nonno. «S’intitola “Seduzione” e mio padre mi raccontava di aver portato lo spartito a mia madre quando erano fidanzati: lei lo suonò con molta passione».
Bravo come sassofonista, Guido Cataldo ha iniziato con lo studio del pianoforte. Poi, una sera, vide un film sulla storia di George Gershwin dove lui suonava il clarinetto per la sua celebra “Rapsodia in blu”. Allora decise che quello sarebbe stato il suo strumento: «Ero stato promosso dalla seconda alla terza media, così me lo regalarono. Il giorno dopo già lo suonavo».
Nell’intenso viaggio nella musica, Guido Cataldo ha formato la Big Band e poi, nel 2011, l’Orchestra Pop, imprese di notevole rilievo per una città come Salerno dove spesso tutto sembra scorrere come acqua sui vetri. E viene da chiedersi cosa resti di quell’accorrere perché Salerno crescesse in musica, come in notorietà. «Il Teatro Verdi è un punto di riferimento della grande lirica, – dice Cataldo – anche se non per tutti. Un’apertura interessante quest’estate è stata la disponibilità del Teatro Ghirelli. Dario Deidda e altri musicisti allievi della mia Polimusic (esiste da 43 anni ininterrottamente “senza aver mai chiesto niente a qualcuno” – ndr), ma esiste anche la musica pop, etnica e per questa non c’è spazio, c’è poca attenzione da parte delle istituzioni. La differenza che trovo tra i musicisti salernitani e quelli napoletani è che questi ultimi sono anche compositori e portano avanti il discorso napoletano. Carosone, Di Capri, Daniele, Bennato, sino a Gragnaniello fanno musica napoletana. A Salerno come compositore non ho mai avuto concorrenza e questo non è un bene. Esiste, però, la tradizione popolare, ma, ripeto, c’è poca attenzione. Più di una volta ho chiesto di fare il mio “San Matteo” per la festività del Santo Patrono, ma ho sempre pagato gli screzi tra Peppone e don Camillo. Se mi fossi trovato a Venezia e avessi scritto un’opera su San Marco, sono certo che ogni anno lo avrei rifatto nella festa del Santo».
Una punta di rammarico compare negli occhi del maestro: guarda lontano Guido Cataldo, a questa città sul mare che dovrebbe fare più attenzione alle sue genialità, alle sue eccellenze. E si ripensa ad altre sue composizioni come “Il mago di Oz”, a “Nc’era na’ vota e nc’era”, alla edizione napoletana della “Carmen”. E si ascolta “Tramonto sul mare”, “In silenzio”, “Verde” musiche struggenti che ti strappano l’anima dal petto e la rendono leggera, portandola su dimensioni altre dove tutto è pura emozione.