Il desiderio di esercitare il potere è radicato nella natura umana, aspirazione discutibile se obiettivi e modi sono sbagliati quando non è controllato dall’amore e s’impone con la forza. Impazienti di bruciare le tappe, si considerano avversari tutti coloro che si frappongono; invece, il potere che viene dall’amore è paziente, mai violento, promuove gli altri, difende la loro libertà accordando fiducia. A questo proposito il passo del Vangelo di domenica scorsa (Mc 10, 35-45) è denso di insegnamenti e molto attuale . La richiesta di primeggiare formulata da Giacomo e Giovanni, tra gli apostoli i più vicini a Gesù, determina la risentita reazione degli altri. Sembra quasi di poter concludere: ma allora il Maestro ha veramente parlato invano. Non hanno compreso l’insegnamento sulla preghiera. Infatti, nel Padre nostro egli raccomanda di rivolgersi a Dio dicendo «Sia fatta la Tua volontà»! Invece, dalla bocca dei due esce una pretesa distorta: vogliano che il Signore compia la loro volontà! Non sono pronti al dialogo costruttivo tra due libertà, dimenticano che Dio non realizza i nostri desideri, ma le sue promesse. Gli altri dieci apostoli, mossi da gelosia, condannano i due irruenti fratelli, ma Gesù, paziente, non si scoraggia e ricomincia a descrivere come è possibile rinnovare il mondo insegnando l’alternativa cristiana. Il potere che annuncia a Giacomo e a Giovanni contrasta con la loro richiesta di un primato di precedenze e per questo evoca l’immagine misteriosa del Servo descritta dal profeta Isaia. Egli è venuto per servire, sorprendente auto-definizione del Messia che spinge a rivedere vecchie concezioni di Dio come padrone dell’universo.
Il passo evangelico descrive anche la Chiesa come la concepisce Gesù. I due fratelli apostoli, in effetti, con la loro richiesta danno la sensazione che la comunità esista per loro; mentre i veri discepoli sanno bene che sono loro a doversi spendere per la comunità. Perciò, occorre liberarsi da ogni atteggiamento di concorrenzialità e da ogni propensione al clericalismo per essere vera Chiesa di Gesù. Egli ha chiaramente affermato: «Tra voi non sia così» e sollecita un atteggiamento rivoluzionario rispetto al potere. Da Gesù servo nasce la Chiesa esempio di amorevole servizio, comunità alternativa rispetto alla società liquida odierna, fragile perché immersa nel consumismo senza senso e senza gioia, condizionata da melliflui ma tirannici poteri.
Gesù desidera una Chiesa capace d’intessere relazioni durature; i suoi fedeli devono saper animare la mutua accettazione fondata sul perdono reciproco. E’ l’auspicio di papa Francesco nel convocare il sinodo per sollecitare la partecipazione consapevole di tutti i fedeli nel delineare le caratteristiche della missione che la Chiesa è chiamata a svolgere per realizzare una feconda comunione. Essa deve caratterizzarsi per vicinanza agli ultimi, compassione verso i sofferenti, tenerezza per gli emarginati, non un museo nel quale la fredda bellezza esteriore esalta il passato ma non sa offrire concrete prospettive per il futuro. Occorre superare il pervadente formalismo, l’orgoglioso intellettualismo e l’impacciato immobilismo.
Nelle singole diocesi, che hanno inaugurano il sinodo, si sollecita il coraggio della testimonianza e la libertà della parresia, cioè dire quanto si pensa per venire a capo di ricorrenti corruzioni legate ad una resistente cultura clericale. Sono spunti per considerare nella giusta prospettiva la «piena e suprema potestà» del «ministero apostolico» di cui è investito l’episcopato, come si legge in Lumen Gentium 22. Quindi il problema non sta nella esistenza della gerarchia, ma nel modo come essa svolge la propria funzione. Gesù, unico vero titolare di questo potere affidatogli dal Padre, non vuole che apostoli e successori lo pratichino come capi politici pretendendo incondizionata sottomissione dai laici, ma lo fondino sulla sua sequela, esempio nel mondo di un altro modo di esercitare l’autorità.
I primi passi sinodali nella diocesi di Vallo sembrano ancora improntati al mero rispetto formale delle disposizioni pervenute da Roma. Nelle riunioni foraniali è emersa la “Paura per la grande mole di lavoro che ci attende e le imminenti scadenze indicateci dalla Cei, dal momento che come Comunità non siamo abituati a dinamiche celeri”, mentre convegno sacerdotale e consiglio presbiterale non si sono distinti per una coinvolgente partecipazione. A parte stonate critiche di un inguaribile conservatore, è emerso un deleterio formalismo, insidioso per la residua speranza di sentirsi viva chiesa locale.
Si è disposti “all’avventura del cammino” condividendo le vicende dell’umanità? E’ la domanda posta dal Papa nella Messa di apertura del Sinodo. Egli ha sollecitato la volontà di incontrare per saper ascoltare al fine di procedere al necessario discernimento, camminare insieme sulla stessa strada per incontrare Gesù che annuncia la buona novella l’uomo smarrito del XXI secolo. E’ una esperienza illuminata dallo Spirito Santo, evento di grazia, occasione di guarigione per liberarsi di ciò che è mondano e che radica nelle sterili chiusure di obsoleti modelli pastorali, che hanno stancato perché ripetitive maschere di circostanza. Si richiede abilità nell’arte dell’incontro, che non significa organizzare eventi o proporre teoriche riflessioni su problemi esistenziali, ma è un prestare attenzione alla storia dell’altro, superare stanchi rapporti formali per ascoltare col cuore permettendo di parlare di sé con libertà.
È certamente un esercizio faticoso. Obbliga ad ascoltare tutti, accettare le sfide del momento e procedere ad i necessari cambiamenti per liberarsi di deleterie presunte certezze. Non va trascurata la difficoltà della gerarchia italiana, e non solo, nel superare un secolare verticismo, che fa temere una reale consultazione delle opinioni e dei bisogni della base ecclesiale, come ad esempio è capitato durante il primo sinodo sulla famiglia, quando la CEI ha prevenuto un concreto e trasparente ascolto della base sul modello dei vescovi tedeschi o svizzeri. Papa Francesco per questo sinodo chiede esattamente l’opposto. Egli sollecita ad ascoltare fedeli perplessi e titubanti; rovescia il paradigma piramidale. La coraggiosa determinazione nell’incamminarsi su questa strada aiuta a recuperare l’identità profonda della Chiesa. Così il sinodo non si risolve in un ennesimo tentativo di cosmesi ecclesiale per salvaguardare la visione gerarco-centrica, ma un aprirsi all’azione dello Spirito, convinti che l’ascolto del popolo di Dio è una strutturale esperienza ecclesiale.