Antonio Sacco è nato ad Agropoli nel 1984, vive e compone versi nel cuore del Parco Nazionale del Cilento (Vallo della Lucania). Compone non solo poesie in versi liberi, ma anche poesie in metro prestabilito (sonetti, odicine anacreontiche, strofe saffiche, ecc.). È uno studioso e ricercatore della poesia estremo-orientale (soprattutto della poesia haiku), ha pubblicato su molte riviste internazionali dedicate al genere haiku (Tha Mamba, Chrisantemum, The Mainichi, Ashai Shimbun, Harusame), oltre a essere l’autore di numerosi articoli tecnici e divulgativi sulla poesia haiku. Già giudice in due concorsi nazionali di poesia per la sezione haiku, ha pubblicato due raccolte poetiche, l’ultima delle quali è intitolata “Eppure ancora i nespoli – Dissertazioni sullo haiku” (Nulla Die Edizioni, 2020).
Ciao Antonio, felice di averti con noi. Tu sei un poeta, e perciò ti chiedo di dirci anzitutto chi è, secondo te, un poeta?
Salve, il piacere è assolutamente reciproco e ringrazio, prima di tutto, te, Francesca, e tutta la redazione di Unico per l’ospitalità.
Dunque, quanto alla tua domanda, posso dirti che a monte, a mio avviso, la poesia è anzitutto ed essenzialmente uso artistico del linguaggio: il poeta, di conseguenza, è colui il quale è capace di utilizzare artisticamente la propria lingua. Certo, tutti parlano l’italiano, ma non tutti sono capaci di adoperarlo in chiave artistica. Da ciò penso che il principio e l’attitudine di fondo di un poeta siano un mostruoso, totale, ossessivo amore per la propria lingua (quello che Dante nel Convivio chiama «amore de la propria loquela»). Credo che chi non ami la propria lingua non sarà mai poeta. E amare significa studio, dedizione, curiosità. Di una particolare parola un vero poeta vuole sapere il significato corrente, quello perduto, l’etimologia, i sinonimi, le associazioni che tale parola suscita, esplorarne i suoni, le traduzioni in dialetti o in altre lingue. Oltre a questo imprescindibile amore verso la sua lingua madre e il linguaggio parlato, per me un buon poeta deve possedere un grande spirito d’osservazione; tant’è vero che, in questo senso, mi piace ripetere la seguente sentenza: «Comporre una poesia non è tanto scrivere, bensì osservare con attenzione». Un vero poeta, per le ragioni testé esposte, ha con sé, nelle proprie tasche, sempre carta e penna ed è pronto in qualsiasi momento ad appuntarsi nuove parole, scene, situazioni, discorsi ai quali assiste nella vita quotidiana. Questo, per me, è l’identikit essenziale di un poeta che meriti di essere reputato tale.
La prolusione di Eugenio Montale alla ricezione del Premio Nobel per la letteratura, nel 1975, titolava “È ancora possibile la poesia?”, un discorso che varrebbe la pena riportare all’attenzione di tutti perché ancora molto attuale. Tu come rispondi alla domanda introduttiva al discorso?
Bene, sono andato a rivedere su Youtube quel discorso che, come giustamente sottolinei tu, affronta diverse tematiche di grande interesse tutt’oggi attuali fra cui, tema a me caro, l’utilità dell’inutile. A tal proposito, afferma Montale: «(…) In ogni modo, io sono qui perché ho scritto poesie: un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà (…)». La ragione del titolo di questa prolusione risiede anche in questo: la mercificazione dell’inutile, quale la poesia all’apparenza appartiene. Io credo che la poesia, la buona poesia intendo, sia, sì, ancora possibile perché forma artistica ed espressiva di quell’universo interiore conosciuto come animo umano. Facendo parte delle forme espressive dell’umano, la poesia non può essere avulsa da quella dignità artistica che le compete. Penso che se non si comprendesse l’utilità dell’inutile e l’inutilità dell’utile, non si potrebbe comprendere in sé ciò che chiamiamo e definiamo arte.
Scrivi poesia haiku. Puoi spiegarci cos’è e qual è la filosofia di fondo di questa forma poetica?
Hai toccato, Francesca, un punto di cruciale importanza con questa domanda. In effetti, nella mia esperienza anche di giudice in vari concorsi di poesia haiku, ho avuto modo di notare che l’ostacolo più grande e difficile da oltrepassare per noi occidentali è proprio questo: riuscire a entrare e calarsi nello “spirito” che anima questo genere poetico così peculiare nato e sviluppatosi nella delicata cultura giapponese. Mi spiego meglio: noi occidentali, influenzati dal verso libero nelle nostre poesie, tendiamo, per dirla con Octavio Paz, a voler dire troppo nei versi; a non lasciar spazio, in tal modo, alla suggestione. Paz, infatti, fece notare come le ripetizioni e il voler spiegare troppo, nelle liriche occidentali, rappresentino delle vere e proprie “malattie della poesia”. In poesia haiku ci si basa, invece, sul valore del non-detto, fonte inesauribile di grande suggestionabilità: tali poesie sono estremamente brevi e concise, consistendo, infatti, di sole diciassette sillabe; sono, inoltre, inerenti a eventi o scene naturalistiche pregnanti e significative. Vorrei citare, a tal proposito, un mio haiku, in questo modo il lettore potrà farsi un’idea concreta di che cosa sto parlando:
andare via –
anche il pruno saluta
i propri petali
In questo componimento è evidente il tema della transitorietà e caducità che caratterizza ogni cosa nel mondo: una prima immagine alquanto generica al primo verso (primo ku, momento poetico) e una seconda immagine giustapposta/collegata alla precedente al secondo e terzo verso (ku). Semplice e complesso nello haiku coesistono. Un messaggio profondo attraverso parole, espressioni semplici ed estremamente brevi, in tal modo la realizzazione lirica può esplodere nella mente del fruitore del piccolo testo poetico. Niente rime, niente artefici retorici e nessun orpello: in una poesia haiku, nello stesso tempo, semplice e complesso, ripeto, coesistono.
Da cosa deriva la tua scelta di esprimerti in questa forma?
Non credo di esagerare dicendo che per me la poesia haiku è ormai diventata una fra le mie ragioni di vita più importanti. Scrivere uno haiku di basso livello è facile: tre versi, diciassette sillabe inerenti a un tema naturalistico e la maggior parte delle persone pensano che sia tutto qui. Che il “gioco” sia fatto; la poesia composta. Ma, come spesso amo ripetere, un autentico e ottimo haiku è qualcosa di estremamente raro e prezioso: uno su mille, due su diecimila! La forma poetica dello haiku mi ha incuriosito fin dall’inizio, da quando mi imbattei in questa forma espressiva, leggendo il libro di Erich Fromm “Essere o avere?”. Ebbene in quest’opera lo psicanalista svizzero riportava un raffronto fra la vista di un fiore durante una passeggiata in due differenti composizioni di due poeti: l’inglese Tennyson e il giapponese Bashō. Ne rimasi folgorato. Mai ho pensato che un componimento di soli tre versi potesse possedere e sprigionare una tale potenza lirica e una tale incisività quali il genere poetico dello haiku in effetti è dotato: è la differenza sostanziale fra il dire così poco, ma significare così tanto! Al di là degli aspetti prettamente tecnici (l’uso del kigo, i. e. del riferimento stagionale; della toriawase, cioè della giustapposizione/collegamento di due immagini distinte in una stessa poesia haiku o l’utilizzo dello stacco, kireji) ogni poesia haiku è per me una sfida, un enigma: quello, cioè, di risalire alle associazioni mentali che han fatto sì che lo haijin (lo scrittore di poesie haiku) abbia inserito proprio quelle due immagini specifiche in qualche modo connesse e non altre…
refolo estivo –
la mano invisibile
di mio padre
Negli haiku c’è una poetica del segno grafico. La lingua giapponese, se non erro, è composta da ideogrammi e pittogrammi, cosa che, almeno su un piano simbolico fa sì che la parola sia già un’immagine. Come si risolve questa mancanza scrivendo haiku in italiano?
Per rispondere adeguatamente a questo quesito rimando a un’altra intervista, da me redatta, per Poesia del Nostro Tempo. Intervista rivolta a Matteo Contrini, traduttore e haijin (scrittore di haiku), il quale in quella sede ha risposto in maniera precisa più di quanto potrei fare io qui:
Hai già pubblicato e/o hai intenzione di farlo? Hai pagine social, o un sito web, dove diffondi le tue poesie? Insomma, come possiamo conoscere la tua arte?
Sì, nel luglio 2020 è stato pubblicato il mio libro intitolato “Eppure ancora i nespoli – Dissertazioni sullo haiku” (Nulla Die Edizioni, 180 pagine). Più che una semplice raccolta di poesie haiku questa mia opera ha una struttura tripartita: nella prima sezione sono contenuti cinquantotto miei componimenti commentati uno per uno; nella seconda parte ho redatto sedici articoli tecnici che trattano vari aspetti di questo genere poetico e, nell’ultima sezione, ho raccolto sei miei haibun, genere, sempre di origine giapponese, che combina prosa e poesia haiku finale. Certamente, ho anche pagine dedicate: su instagram (“antoniosacco_thepoet”) pubblico regolarmente i miei versi, mentre sulla pagina Facebook “In ogni uomo uno haiku” (dal nome della mia prima raccolta di poesie haiku pubblicata nel 2015) condivido gli articoli che redigo per la rivista letteraria Poesia del Nostro Tempo. E proprio su questa rivista dirigo la rubrica dedicata al mondo della poesia haiku chiamata “Echi da Shikishima”: qui pubblico articoli di approfondimento, recensioni e interviste a varie personalità note nel mondo della poesia haiku e generi affini.
Aggiungi qualsiasi cosa ti va di raccontare ai nostri lettori.
Benissimo, vorrei che fossero le mie poesie haiku a parlare per me: per cui vorrei riportare qualche mio componimento accompagnandolo da un mio brevissimo commento. A questa poesia sono particolarmente legato:
foglie cadute –
sul vecchio tronco segni
di un primo amore
Le due immagini che ho proposto in questo componimento, al primo ku e, poi la seconda, al secondo e terzo ku, rimandano anche qui alla caducità e alla transitorietà delle cose del mondo; direbbero i giapponesi al “mono no aware”: qualcosa di bello, ma che, però, è destinato a svanire e, a maggior ragione, degno di essere ancor più apprezzato e goduto.
dove sbiadisce
l’azzurro di una ortensia –
i suoi occhi
Quando, guardando negli occhi di chi vogliamo bene, percepiamo una bellezza che non può appassire.
malli di noci –
dentro ognuno nasconde
fragili scudi
Esempio di componimento in cui da una immagine naturalistica si giunge, per analogia o differenza, a una verità più piena e profonda di noi stessi…Grazie, Francesca! Grazie a tutta la redazione di Unico Settimanale.