Esistono occasioni, luoghi, paesaggi, ambienti sui quali sembra perennemente aleggiare una presenza invisibile, che inanella un silenzio capace di parlare agli animi più di ogni alato discorso. Così nella vibrazione dell’aria che si respira pare percepire una nenia che proviene da lontano. Essa parla ai nostri spiriti per riprendere un colloquio senza tempo del quale è protagonista l’intreccio di commosse memorie e di speranze in una stanca quotidianità alla quale non si sa attribuire significato. E’ l’esperienza vissuta a Vallo della Lucania il 16 settembre nel commemorare il tenente colonnello Matteo de Marco a dieci anni dalla scomparsa con l’intento di ricordare un uomo di pace, un servitore dello Stato impegnato nella tutela delle persone e del patrimonio cultuale in aree di crisi. La sua azione come militare si è segnalata per l’impegno nel difendere l’inviolabilità della persona ed in operazioni umanitarie tese a valorizzare le dinamiche culturali.
L’evento ben si colloca nella settimana dell’11 settembre, data di una tragedia immane con evidenti risvolti di attualità per la minacciosa incombenza talebana, occasione per impegnarsi con determinazione a ricercare il senso della vita nella post-modernità sostituendo al frantumato bipolarismo globalizzante l’anelito di una inclusiva globalità. In effetti, mentre inossidabili militari e politici frustrati propongono l’uso della forza per un radicato culto dell’hard power, molti intellettuali sollecitano il ricorso alla pratica del soft power per garantire una possibilità di sopravvivenza all’umanità. Capita anche di udire labili inviti all’utilizzo dello smart power per preservare ed esaltare ciò che le civiltà hanno saputo produrre nel globo facendo affidamento sulla cultura.
A questo proposito, malgrado i continui tradimenti e le timide ripartenze, l’esempio europeo costituisce ancora un apprezzabile incentivo per trasformare il Kronos che scandisce la storia in una opportunità di Kairos. E’ la missione che ciascuno di noi può svolgere perché dietro l’angolo della vita di ognuno esiste sempre la possibilità che le esperienze della piccola storia individuale si possano incontrare con le vicende epocali della grande partecipando ad alcuni avvenimenti irripetibili e, perciò, fatali nel rivelarne il reale svolgimento. Emerge in questo modo la possibilità di propagandare con i fatti specifici valori e con gesti concreti radicare la bontà dei principi, comportamento non di esangui pacifici, ma di evangelici irenepoioi: oggi indispensabili facitori di pace. E’questo il motivo per cui è stato ricordato il tenente colonnello di Vallo.
L’ideale rievocazione assume stimolanti valori se diventa impegno di vita vissuta. Così fulgide azioni, sfociate nel supremo sacrificio, possono illuminare un oggi tormentato e confuso, incidere sulla volontà ed indurre ad operare con senso civico consapevoli delle responsabilità di appartenenza ad una Nazione. Il tributo di una doverosa riconoscenza consente di superare ogni tentazione di abbandono perché onorare i grandi e rinverdirne il ricordo è un dovere soprattutto oggi per prevenire il rischio di perdere la cognizione e il valore del sacrifico di chi ha tribolato per rendere la Nazione sovrana, libera, indipendente. Popolo e Stato esprimono una realtà sociale e storica che si esalta nel concetto di Patria, la quale racchiude aspirazioni, lotte, sofferenze, cadute e vittorie d’intere generazioni. Da esse sono emersi profeti ed anticipatori, che hanno preconizzato il compimento di un ideale rispondente allo sviluppo di una precisa realtà storica, disposti ad ogni sacrificio, anche quello supremo della vita.
La Patria, valore connaturato allo spirito regolatore e propulsore della storia come l’hanno sperimentata gli Europei, forma le coscienze, ispira un habitus mentale, trasforma il singolo individuo in persona sociale, animata da sentimenti di reciproco rispetto, di solidarietà, di onestà, codice di una laica religione che esalta la giustizia e la verità, pilastri sui quali poggia un vivere civile che, per perseguire il progresso, tende anche all’elevazione spirituale di un popolo. Quando ideali siffatti vengono trascurati, dimenticati, peggio derisi, si assiste al decadimento della società, che precipita nella confusione di un materialismo generatore di egoismi. Allora si insidia il senso di giustizia, determinando la caduta di ogni confine tra bene e male, tra lecito ed illecito, preoccupante degenerazione di una società che rischia di precipitare nel caos. Questi pensieri, sentimenti, impegni di vita trovano riscontro in ogni contesto di una civiltà sollecita al Deorum Manium Iura Sancta Sunto.
E’ vero. Permangono degli interrogativi:
All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne // Confortate di pianto è forse il sonno // Della morte men duro?
La risposta è negativa se, nel contesto della globalizzazione, si misura tutto in termine di PIL, ricchezza materiale, cose da possedere. Di conseguenza, nella deriva della società liquida, potrebbe risultato giustificato il grido di sarcasmo: ne valeva la pena?
La sterile razionalità fa dire:
Qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso // Che distingua le mie dalle infinite // Ossa che in terra e in mar seminata morte?
La prospettiva di una ricerca indefinita del progresso materiale in un mondo che si affida a scienza e tecnica sembrerebbe dar ragione a Foscolo:
Anche la Speme, // ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve // tutte cose l’oblio nella sua notte; // e una forza operosa le affatica// di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe //e l’estreme sembianze e le reliquie //della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma noi ci proclamiamo figli di un Dio maggiore e di una civiltà, quella del miracolo europeo, che si esalta donando al mondo nous, lex e persona per sollecitare le dinamiche di un progresso non solo materiale.
Perciò è lecito chiedersi:
Non vive ei forse anche sotterra, quando // Gli sarà muta l’armonia del giorno, // se può destarla con soavi cure // nella mente de’ suoi?
Ne consegue che: Sol chi non lascia eredità d’affetti//Poca gioia ha dell’urna.
Questa eredità trova il suo codice nella memoria, la sua grammatica per comunicare nella cultura e la sua sintassi nella storia. Ricostruire fatti, capire processi, ricordare eventi ed esaltare gli uomini è un dovere verso chi ci ha preceduto: è il nostro metro di civiltà.
E’ il Memoriale sul quale fondare la speranza del futuro perché:
A egregie cose il forte animo accendono // L’urne de’ forti, …; e bella // E santa fanno al peregrin la terra//Che le ricetta.
Non rimane quindi che ripetere:
E tu onore di pianti, Matteo avrai // Ove fia santo e lacrimato il sangue // Per la patria versato, e finché il Sole // Risplenderà su le sciagure umane.
Quindi, se sapremo ancora emozionarci al culto della patria ed educare i giovani agli alti valori civili ed etici che ne conseguono sarà compiuto il dovere di cittadini e trapiantata la fede nell’anima di coloro che verranno, messaggio di pace, di fratellanza, onesto ed operoso antidoto a tanti integralismi. E’ la virtù che riscontriamo negli evangelici facitori di pace. Il tenente colonnello di Vallo ha vissuto questa esperienza divenendo veramente ciò che, etimologicamente, indica il suo nome: Mattah in ebraico significa dono, mentre l’abbreviazione di HYHWH evoca il nome di Dio. Matteo De Marco, dono di Dio del quale la cittadina può andare orgogliosa, ha consegnato il suo mobile testamento socio-politico invitando, senza mediazioni teoriche, a contrappone ad ogni facile scetticismo il concreto convincimento che l’Idea nata dai fatti si propaga per mezzo delle azioni virtuose che trasformano l’irrefrenabile scorrere di Kronos in un Kairos colmo di speranze.