Uno dei caratteri maggiormente significativi della c.d. “Data driven agriculture” è il suo doppio profilo “interno” ed “esterno”. Interno, per ciò che riguarda i dati inerenti la produzione, la sicurezza e la tracciabilità dei processi e dei prodotti agroalimentari. Nella prospettiva originaria della “Data driven agriculture”, infatti, i dati raccolti su scala aziendale servono per migliorare le performance dell’impresa, fornire un prodotto qualitativamente e quantitativamente migliore e sicuro e ridurre le due principali minacce per il settore agricolo: l’esposizione ai rischi legati alle condizioni atmosferiche e gli sprechi di prodotto.
Purtuttavia, l’azienda dialoga con il mondo esterno, incontra e incide sulle matrici ambientali, adopera risorse consumabili e, in una cera misura, inquina. Ecco dunque che ancora nel 2018 la FAO, facendo riferimento ai dati strettamente “di campo” come i valori e la composizione di sostanza nutritiva del suolo, l’uso dei fertilizzanti, delle sementi e dell’acqua, parlava di dati aziendali “localized” da condividere con altri soggetti (“shared with others”) esterni all’azienda. Si sottolineava il carattere quasi pubblicistico di questi valori, che devono contribuire, insieme a quelli di tutti gli altri operatori, alla difesa dell’ambiente ed alla lotta ai cambiamenti climatici. Si tratta di quei dati, nati in azienda, che confluiscono nelle indagini statistiche, nelle determinazioni governative, nelle politiche, nelle decisioni delle associazioni di produttori.
Già da alcuni anni, inoltre, il World Economic Forum esplora l’utilità della blockchain e degli smart contracts nella lotta al cambiamento climatico. Lo studio “Building Blockchains for a better planet” (2018) declinava l’utilità di queste tecnologie nel sostegno ad economia circolare, controllo dell’inquinamento, prevenzione dei disastri, verifica della sostenibilità di nuova generazione, aiuto alle aziende a migliorare le proprie performance ambientali. Si riteneva che un sistema decentralizzato interoperabile avrebbe potuto consentire la condivisione di informazioni e transazioni automatizzate rapide tramite smart contracts.
Lo stesso World Economic Forum sembra dare seguito, oggi, a queste previsioni.
In un articolo apparso lo scorso 30 giugno a firma di Adelyn Zhou vengono illustrate alcune applicazioni sperimentali degli smart contracts e della tecnologia blockchain nella lotta al cambiamento climatico e nell’aiuto all’agricoltura sostenibile.
Il presupposto tecnologico è l’operatività concreta su blockchain degli “oracoli”, ossia dei c.d. “elementi esterni fidati” che, comunicando un certo dato reale, confermano l’avverarsi di un certo evento e fanno scattare la sequenza prevista dallo smart contract. Ciò permette agli sviluppatori di smart contracts di creare applicazioni su raccolti, qualità del suolo, bollettini metereologici e molto altro, utilizzando sempre più dati provenienti dall’Internet of Things
La prima applicazione riguarda la possibilità di sostenere in modo automatico gli agricoltori e tutti coloro che si impegnano per la rigenerazione del suolo, aumentando la forestazione. Gli smart contracts, in questo caso, utilizzano i dati satellitari per erogare automaticamente ricompense e sostegni agli agricoltori, alle aziende (ma anche ai governi) che svolgono o che promuovono attiva rigenerazione del suolo.
Il pagamento viene erogato quando gli “oracoli” estraggono dati dalle immagini satellitari ed attivano i contratti intelligenti. La sequenza su blockchain garantisce trasparenza ed equità al sistema.
Ma l’agricoltura viene tutelata anche attraverso soluzioni assicurative che garantiscano tutela soprattutto ai piccoli proprietari – in larga parte scoperti su scala mondiale – di fronte ai disastri e ai cambiamenti climatici che mettono sempre più a repentaglio i loro raccolti.
Ecco dunque che grazie agli smart contracts gli agricoltori possono impostare la loro strategia di campo in base ai dati ed ai modelli metereologici, predefinire le condizioni per l’esecuzione del contratto (come una certa quantità di pioggia) e, una volta che gli “oracoli” segnalano l’avveramento della condizione, conseguire il ristoro o il pagamento.
Più in generale, lo sviluppo degli smart contracts può incidere virtuosamente sulla minore produzione di gas serra e sull’educazione ambientale. Un agricoltore, un soggetto o un’azienda che ha investito nella riforestazione potrebbe essere pagato con un credito di carbonio “tokenizzato” che a sua volta può essere rivenduto a terzi. Il credito di carbonio viene creato solo se i satelliti o gli altri dispositivi segnalano la riforestazione ad uno smart contract, cosicchè anche l’acquirente del carbon credit possa verificare che a tale titolo corrisponde un processo reale ed effettivo che ha coinvolto l’ambiente e l’ecosistema.
Vedremo, in concreto, quanto queste prime applicazioni potranno diffondersi. Certamente, un utilizzo generalizzato di questi strumenti, unito ad una sempre più capillare cultura dei dati ambientali, può davvero rivoluzionare tutto il sistema produttivo dell’agroalimentare, dando al contempo un contributo importante alla sostenibilità.
Filippo Moreschi
avvocato e Responsabile Osservatorio AIDR “Digital Agrifood”