La luminosa arte rivoluzionaria di Bruno Munari (Milano, 1907–Milano, 1998): precorritrice delle esperienze dell’optical art e dell’arte cinetica. La ricerca artistica della optical art si fondava sulle leggi della disciplina scientifica ottica e sulla teoria della percezione visiva; la “op art” stimolava il processo ottico e psicologico della percezione visiva, utilizzando un fenomeno, l’“interferenza luminosa”; in sostanza: luce più luce uguale buio, analoga manifestazione l’“interferenza sonora”: suono più suono uguale silenzio. Dunque, due segnali luminosi oppure due segnali sonori, qualora risultassero eguali ed opposti, si annullerebbero a vicenda (ovvero fornirebbero un segnale risultante nullo) alla stregua di due forze eguali e contrarie applicate ad un sistema lungo -ad esempio- una direzione orizzontale, esse non sortirebbero alcun effetto di movimento in orizzontale del sistema. La “op art” utilizzava possibili letture a doppio senso dei neri e dei bianchi: opere richiedenti il movimento dello spettatore e proiettanti luminosità sulla superficie di un quadro, con immagini imprevedibili originate dalla pura casualità. Per quanto concerne le esperienze cinetiche, inerenti all’arte del movimento, esse coinvolgevano enti strutturati in guisa che, tanto il moto reale di oggetti, oppure quello virtuale derivante dalla illusione percettiva scaturente dal dinamismo, potessero essere controllati dall’operatore: dunque l’artista, “tecnico pratico”, programmava il congegno meccanico oppure variava l’equilibrio di un corpo al mutare delle condizioni atmosferiche. Munari conosceva una delle branchie dell’Ottica, l’Ottica geometrica; in sintesi: l’Ottica geometrica analizza la formazione delle immagini, assumendo due ipotesi intorno ai fenomeni luminosi: 1) i raggi luminosi si propagano con traiettorie rettilinee, come è possibile riscontrare nelle ore notturne osservando il fascio di luce proiettato da una pila conformata a torcia oppure da un fascio luminoso proiettato dai fari di una vettura; 2) la luce subisce due fenomeni: riflessione (raggi di luce emessi da una lampada, impattano su uno specchio e rimbalzano in verso opposto al senso di provenienza); rifrazione (la deviazione di percorso della luce, indotta dal passaggio dei raggi luminosi da un mezzo meno denso -es. aria- ad un altro mezzo avente densità maggiore -es. acqua-). Quando onde luminose incidono su superfici piane o “arcuate”, i due fenomeni, di riflessione e rifrazione, provocano la formazione di immagini: gli specchi configurano immagini per riflessione mentre le lenti conformano immagini per rifrazione. Sicuramente Munari, magico straordinario artista, ricevé, da Madre Natura, anche il privilegio di una, per così dire, “sensibilità tecnico pratica” che gli consentì di ispezionare, oltre alla pittura, alla scultura, alla cinematografia ed al designer, tantissimi altri settori con una incessante ricerca sperimentale: fu operatore visuale, realizzò una estesa sequenza di fotogrammi, progettò e realizzò le “macchine inutili”, inventò la “macchina aerea” ovvero il primo sistema mobile impiegato nella Storia dell’Arte; inoltre costruì un vasto insieme di strutture dinamiche nello spazio, le quali muovendosi con continuità subivano delle trasformazioni, indagò sulle forme della visione e sulle possibilità percettive, progettò “opere d’arte programmate” le quali potevano moltiplicarsi e comporsi/scomporsi … Insomma, una serie estesa di creazioni, anche di carattere ingegneristico, nelle quali si integravano, coerentemente armonizzandosi, la splendida immagine e la concreta funzionalità. Munari, dunque, tra i grandi protagonisti dell’arte, dello sperimentalismo, del design e della grafica del ventesimo secolo; ma egli fu anche scrittore, poeta e vestì i panni del divulgatore didattico, indagando intorno allo sviluppo della fantasia e creatività nell’infanzia, esplicitando e sviluppando la nozione di “gioco creativo”. Restiamo in tema di ironia, credo sarebbe piaciuta a Munari una delicata, splendida autoironia: “Sono orgoglioso di questo disegno”; è scritto dal Professor Enrico Massoni, docente universitario di Analisi Matematica 2 presso l’Università di Pavia. Il docente si riferisce ad un suo disegno non brillante di radioso spessore artistico, lo unisco a questo scritto: è una semisfera, un “mezzo pallone” avente raggio √2, poi sono disegnati i tre assi cartesiani X, Y e Z. In termini simpatici e signorili,lascia intendere che Van Gogh o Dalì non avrebbero manifestato particolare stupore o interesse osservando questa sua elaborazione; d’altronde le discipline scientifiche non richiedono chissà quale “splendida mano” o quale esteso talento artistico allorquando occorre rappresentare modelli ed enti geometrici, circuiti elettrici ed elettronici, componenti meccanici, rappresentazioni grafiche… Simmetricamente: “Un poeta non deve essere un esperto di botanica”; è quel che scrisse Benedetto Croce riferendosi alla imperfezione botanica di coesistenza dello sbocciare, nello stesso periodo, di rose e viole, celebre immagine inaugurante Il sabato del villaggio. Evidentemente Croce si riferiva ai Poeti (P maiuscola) allontanando l’infinita marea di illetterati presuntuosi, privi di amore per l’arte e la conoscenza, palesanti inoriginali temi e sintassi sgangherate, roba da destare l’invidia di Pappagone. A tal proposito, una acutissima vena sarcastica pervade le opere di Munari: non feroce bensì assai sottile causticità indirizzata contro le illogicità dell’esistenza e la mancanza di sano realismo riscontrabile in tante manifestazioni, possiamo scegliere un modello calcistico: mediocri pallonari alla “viva il parroco” pedanti di 3a. Categoria (ultima categoria calcistica), elevati da critici pedatori, a livello di Ronaldo o Messi. Ritorniamo al Nostro Artista, esordì con la partecipazione, nel 1927, alle mostre futuristiche che si svolsero nella Galleria Pesaro di Milano; cinque anni dopo creò una estesa sequenza di fotogrammi, poi nel 1933 vi fu l’esposizione di sue <
Giuffrida Farina