Nel 1968, in Italia e nel mondo, scoppiò la contestazione giovanile. In quell’anno, infatti, il movimento di protesta giovanile raggiunse il suo apice, scuotendo i governi di molti Paesi con l’intento di realizzare una trasformazione radicale della società. La cosiddetta “baby boom generation”, cresciuta negli anni del benessere senza aver conosciuto il dramma della guerra, a seguito anche della diffusione della scolarizzazione, aveva maturato un forte senso di partecipazione politica e di protagonismo nella vita sociale. Nonostante le profonde differenze, il movimento del Sessantotto interessò tutto il mondo occidentale con un tratto distintivo: la contestazione di ogni forma di autorità gerarchica, da quella dei genitori, della scuola e della Chiesa, a quella esercitata nei luoghi di lavoro.
Il movimento di contestazione, nato negli Stati Uniti come forma di protesta contro la guerra del Vietnam e a favore della difesa dei diritti civili dei neri e delle minoranze, si diffuse rapidamente in Europa, dando spazio anche alla lotta delle femministe e della classe operaia.
In Italia, sull’onda della mobilitazione studentesca e operaia, culminata nell’«autunno caldo» del 1969, si aprì una stagione di riforme politiche, a cui però si sovrappose la lunga e drammatica stagione del terrorismo eversivo di destra e sinistra.
Nel fermento rivoluzionario di quegli anni emerge l’operato dello psichiatra e neurologo Franco Basaglia che fu in grado di ispirare una delle conquiste civili più significative dello Stato italiano in campo legislativo e nell’approccio alla cura delle malattie mentali: l’abolizione ufficiale dei manicomi.
Ogni società è sempre stata incline a definire e isolare coloro che si discostano dalla “normalità”, etichettandoli come folli. Per secoli, il malato mentale è stato escluso dalla società e condannato a un’esistenza “a parte”, relegato nei manicomi, poiché era convinzione comune che non si potesse guarire dalla follia. Ma, negli anni ’60, con l’evoluzione della psichiatria, si fece strada una nuova riflessione sui disturbi mentali, volta a sostenere che non esiste il malato di mente, bensì una persona che soffre in modo diverso dagli altri.
Fu proprio Franco Basaglia a teorizzare un moderno concetto di salute mentale, a seguito dell’esperienza maturata durante gli anni della direzione dell’ospedale psichiatrico di Gorizia dove si era trasferito nel 1961, rinunciando alla carriera universitaria.
In questa città di frontiera lo psichiatra veneziano avviò la prima esperienza anti-istituzionale nella cura dei malati di mente: Basaglia pose fine a ogni forma di restrizione e contenimento fisico dei pazienti, abolì gli elettroshock, usati per curare isterie, paranoie o comportamenti aggressivi; introdusse laboratori di pittura e teatro; aprì i cancelli dei reparti per favorire la libertà di movimento e, dunque, il recupero della dignità e dell’autostima dei pazienti che dovevano essere trattati come persone e non come malati incurabili.
Così, nel 1968, mentre ogni settore della società era in fermento, con il testo “L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”, Basaglia raccontò al pubblico l’esperienza dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, suscitando un grande dibattito nel Paese. Tuttavia, ciò non era sufficiente: per quanto si potesse migliorare la vita all’interno dei manicomi, essi continuavano a essere luoghi in cui i malati di mente venivano rinchiusi a vita. Basaglia, infatti, sosteneva che, se la malattia mentale comporta una perdita dell’individualità e della libertà, nel manicomio “il malato non trova altro che il luogo dove sarà definitivamente perduto”. Così lo psichiatra maturò la convinzione che fosse necessario abolire i manicomi e sostituirli con una rete di servizi inseriti nel tessuto sociale, che avrebbero provveduto all’assistenza delle persone con disturbi mentali.
Il percorso teorico di Basaglia e il suo impegno nel sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sul tema della salute mentale proseguì per tutti gli anni ’70, giungendo a ispirare la Legge 180: il 13 maggio 1978, infatti, fu approvata la Legge Basaglia, che determinò l’abolizione dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio. L’approvazione di questa legge non significò l’immediata chiusura dei manicomi dato che la sua attuazione fu demandata alle singole regioni con risultati diversi, ma fu l’inizio di un cammino che portò alla creazione e razionalizzazione delle strutture di assistenza psichiatrica nel Paese.
Ilaria Lembo