I numeri dei residenti continuano a decrescere, le abitazioni storiche e residenziali che vengono ristrutturate restano disabitate e quelle abbandonate diventano sempre più pericolanti, nel settore rurale solo l’attività silvo-pastorale dà l’impressione di poter reggere la sfida che il 1° secolo del 3° millennio lancia alle aree interne. Si tratta dell’esistenza in vita di quelle realtà che sono nell’occhio del ciclone del decremento demografico dall’inizio del ‘900 quando si consolidò il fenomeno dell’emigrazione prima verso l’estero, poi verso le altre regioni d’Italia e infine dall’interno verso la costa.
Uno degli strumenti messi in atto per contrastare il fenomeno migratorio da parte dell’Unione Europea è stato la creazione dei Gruppi di Azione Locale (GAL) che hanno nel loro Dna un approccio dal basso verso l’alto, con poteri decisionali in ordine all’elaborazione e all’attuazione di strategie di sviluppo dei territorio nei quali agiscono e ne sono espressione.
Pertanto si dà per scontato che le problematiche da affrontare siano conosciute perché vissute in prima persona sia gli attori economici, sia quelli politici e, ancora più importante, l’intera comunità che vive nel territorio in cui si sviluppa l’iniziativa è l’attore principale.
Decremento demografico, deterioramento del patrimonio abitativo e abbandono dei terreni collinari e montani a se stessi. Questi i punti salienti che si pongano come macigni sulla strada del “salvataggio” per il quale l’Unione Europea ha dato il via “Le politiche di sviluppo rurale che saranno operative a partire dal 2020”. Le basi del progetto furono poste con il progetto elaborato nella “2^ Conferenza Europea sullo Sviluppo Rurale” tenutasi a Cork 2.0, in Irlanda, dal 5 al 6 settembre 2016.
L’area compresa nel Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni è interamente interessata dai fenomeni indicati sopra che minano alla base ogni possibilità di mantenimento in vita di molte delle comunità che compongono il “capitale umano” che ancora vi vivono.
Purtroppo, l’impatto positivo e di contenimento dei fenomeni indicati nella premessa, decremento demografico, deterioramento del patrimonio abitativo e abbandono dei terreni rurali collinari e montani, che si può registrare delle esperienze precedenti dei Progetti Leader e Gal, appaiono del tutto inconsistenti.
Infatti, i numeri dei residenti continuano a decrescere, le abitazioni storiche e residenziali che vengono ristrutturate restano disabitate e quelle abbandonate diventano sempre più pericolanti, nel settore rurale solo l’attività silvo-pastorale dà l’impressione di poter reggere la sfida.
Il risultato di questa battaglia persa è che le scuole continuano a chiudere, i giovani trovano ragioni di vita altrove rispetto al territorio a cui erano stati destinati a vivere e i milioni di euro di investimenti fatti in grandi e piccoli borghi restano fine a se stessi perché i risultati sono “effimeri” non essendo in grado di invertire la tendenza.
Nel migliore dei casi, i borghi situati nelle aree interne si svuotano a favore delle frazioni situate sulla fascia costiera o, come il caso del Vallo di Diano, sull’altopiano.
Il paesaggio, i siti archeologici e storici riconosciuti patrimonio UNESCO, il sistema carsico entrato a far parte dei Geopark, le Aree Marine protette ed altri riconoscimenti nazionali e internazionali sono più apprezzati da chi vive fuori dal territorio che fatti propri da chi vi risiede.
L’impressione che si ha è quella che ci sia una dissociazione sistematica nel modo di agire dei tanti soggetti istituzionali che per legge dovrebbero concorrere per valorizzare il patrimonio di storia, cultura e natura e renderlo funzionale alle esigenze della popolazione.
Anche per questo, nonostante gli ingenti risorse riversate nell’area compresa nel parco, i fenomeni che continuano a trascinarci verso il basso non accennano ad arrestarsi e si alla perenne caccia di sempre nuovi colpevoli da additare come responsabili del disastro.
Infatti, non si comprende come mai sindaci e amministratori, che pure sono presenti nella Comunità del Parco; siedono nei consigli della Comunità Montane; si riuniscono nelle assemblee dei GAL; si dividono in due grandi “Aree Interne”, Cilento e Vallo di Diano; non si sono adoperati per coordinare in modo efficace le azioni che essi stessi mettono in campo per la gestione, tutela, utilizzo delle risorse e valorizzazione del territorio.
Nella realtà, i luoghi di discussione sono poco frequentati se non quando c’è da dividersi la “torta” dei finanziamenti. Quando ognuno dei soggetti interessati riesce a portare nel suo comune piccole fette della “torta” per ristrutturare una chiesa, ricostruire un convento, impiantare un ufficio, pulire un sentiero … per poi si disinteressarsi di quello che succede nel borgo vicino.
Si perde così la visione d’insieme senza la quale è impossibile immaginare un futuro che può scaturire solo da un afflato comune.
Per capirlo basta “viaggiare” per un po’ sui siti dei Gal operativi nella regione Campania per capire quanto siano distanti dall’idea di progetto uscita da Cork 2.0 e fatta propria dall’UE: una “Visione rurale a lungo termine” e quello che è accaduto in passato e sta per accadere anche con la nuova programmazione.
La contraddizione più evidente sta nel fatto che nei partenariato dei GAL spiccano come comuni di medie dimensioni che sono essi stessi “attrattori” di risorse umani sottratte ai piccoli borghi che i Gal dovrebbero preservare alla disponibilità delle aree “svuotate”.
Bartolo Scandizzo