Andando a spulciare a ritroso su dati diffusi dall’Istat alcuni anni fa, ho trovato numeri da brivido relativi alle nascite in Italia, mai così basse dall’Unità d’Italia. In Italia i nuovi nati già nel 2014 sono scesi a 509mila, 5mila in meno dell’anno precedente. Un record negativo che non è stato mai così basso nella storia d’Italia, da quando l’Italia è stata “Unita” nel 1861. In questo poco invidiabile record negativo riferito al tasso di natalità, già in quell’anno risultavamo penultimi in Europa, andando a braccetto con Grecia ed Estonia, e davanti al Portogallo solo perché ci salvavano gli immigrati (il 15% dei neonati è figlio di due genitori stranieri).
Ricordo che i media internazionali, quando sono usciti questi dati, hanno dato grande risalto alla notizia: il Guardian ha citato alcune dichiarazioni del ministro della Sanità, Beatrice Lorenzin: «Siamo molto vicini alla soglia di “non sostituzione”, quella dove le persone che nascono non riescono a sostituire quelle che muoiono. Questo significa che siamo un Paese che sta morendo», spiegava il ministro italiano alla testata inglese, aggiungendo che «questa situazione ha enormi ripercussioni per ogni settore: economia, società, sanità, pensioni».
La “soglia di non sostituzione” si ha quando i nuovi nati non riescono più a sostituire quelli che muoiono. Ma la natalità non è l’unico problema demografico in Italia. L’altro grande problema è rappresentato dalle migrazioni. Gli italiani in fuga oltreconfine secondo i dati dell’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) sono in continua crescita. Praticamente ogni anno scompare dalla carta geografica italiana una città come Piacenza, o come Novara. Vanno soprattutto in Germania, Regno Unito e Svizzera. E si tratta di forze vitali: la fascia di età più giovane e produttiva della popolazione (20-40 anni) rappresenta infatti quasi la metà del totale.
Inoltre, prima della pandemia che è attualmente in corso, c’era un altro numero che ha pesato fino al 2019 sul destino dell’Italia. Per una volta si trattava di una buona notizia, una notizia di cui andare fieri e orgogliosi: in Italia si viveva più a lungo rispetto agli altri Paesi del resto del mondo, solo il Giappone riusciva a tenerci testa. Purtroppo, nel corso del 2020 e di questa prima parte di 2021 l’Italia è stata dilaniata dal coronavirus e gli anziani sono coloro che hanno subito le peggiori conseguenze. Il Covid-19 ha abbattuto l’aspettativa di vita degli italiani. Secondo il Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) dell’Istat, l’evoluzione positiva della speranza di vita alla nascita tra il 2010 e il 2019, pur con evidenti disuguaglianze geografiche e di genere, è stata duramente frenata dal Covid-19 che ha annullato, completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese, i guadagni in anni di vita attesi maturati nel decennio tra il 2010 e il 2019. In base al report nel Nord la speranza di vita passa da 82,1 anni nel 2010 a 83,6 nel 2019, per scendere nuovamente a 82 anni nel 2020. Nel Centro passa da 81,9 nel 2010 a 83,1 anni nel 2020 e nel Mezzogiorno da 81,1 a 82,2 anni, con perdite meno consistenti nell’ultimo anno (rispettivamente -0,5 e -0,3 anni). È un arretramento non ancora concluso, e che richiederà tempo per essere pienamente recuperato. «Gli indicatori hanno registrato impatti particolarmente violenti su alcuni progressi raggiunti in dieci anni sulla salute, annullati in un solo anno» ha detto il presidente Istat, Gian Carlo Blangiardo.
Il Mattino di Napoli fa un focus sul difficile rapporto tra i giovani e il futuro nel Mezzogiorno: 2 milioni sono andati via in 5 anni, il 37,7% è disoccupato (22,4% media nazionale), mentre il 18,2% abbandona la scuola (media Ue 11%, Italia 15%). La situazione socioeconomica dei giovani è complicata. Il Mattino si chiede “quanto guadagnano i giovani che lavorano in Italia” e si risponde che “lo stipendio medio lordo è di 800 euro!”
Ora, partendo dalla situazione sociale ed economica generale che attraversa tutto il nostro stivale e passando per il nostro mezzogiorno, soffermiamoci sul territorio che ci circonda alla ricerca di una visione perduta. Cerchiamo di intravedere una strada, tra luci ed ombre. La cosa certa è che bisogna ricostruire dalle fondamenta, il coronavirus ha distrutto non tutto ma tanto sì.
Di un progetto con una visione ne ho letto e sentito parlare tanto, era quello della Città Vallo di Diano. Le origini del progetto risalgono a più di 40 anni fa, prima del 1980, dall’idea progettuale di due locali illustri politici visionari (nel senso buono e positivo del termine), dell’allora Sen. Enrico Quaranta e dell’On. Regionale della Campania Gerardo Ritorto, che per primi idearono e pensarono di realizzare un comune unico. Questo progetto visionario prima o poi si farà per davvero. La mia sensazione è che se non sarà la politica locale a metterlo in piedi, ci penserà la politica nazionale che lo calerà dall’alto per via di costi non più giustificabili e sostenibili da parte dei piccoli Comuni nostrani.
Ultimamente si è assistito ad una guerra tra territori vicini (in senso figurato naturalmente), mi riferisco alle aree del Cilento e del Vallo di Diano, che invece dovrebbero lavorare all’unisono. Non hanno viaggiato mai insieme nel difendere le proprie istituzioni. Ne sono un esempio il tribunale di Sala Consilina, gli ospedali, la nuova ferrovia sull’alta velocità che si sta progettando. Ne sono un esempio le fonderie Pisano. Manca una vera e propria visione di territorio, forse perché probabilmente manca un’idea di territorio, e le nuove generazioni avranno solo da perderci se si proseguirà su questa strada.
Da oggi e per i prossimi anni, il Recovery Fund deve essere la strada da perseguire, sarà una grande opportunità anche e soprattutto per il nostro territorio. Ferrovia, ambiente, turismo ecosostenibile, agricoltura di qualità, possono essere alcune vie per percorrere insieme in una direzione nuova, mai conosciuta prima, alla ricerca di una visione. Siamo di fronte ad un pacchetto di stimolo senza precedenti. Il bilancio a lungo termine dell’UE, unito a NextGenerationEU, lo strumento temporaneo pensato per stimolare la ripresa, costituirà il più ingente pacchetto di misure di stimolo mai finanziato dall’UE. Per ricostruire l’Europa dopo la pandemia di COVID-19 verrà stanziato un totale di 1.800 miliardi di euro. L’obiettivo è un’Europa più ecologica, digitale e resiliente.
Per l’Italia, per il nostro mezzogiorno e per il territorio a noi più vicino, è un’occasione da non perdere alla ricerca di una visione che ci accompagni verso un nuovo boom economico.
Massimiliano De Paola