Al di là di ogni considerazione di opportunità sociale e civile, alcune manifestazioni, definite da parte di amministratori e mass media “di intolleranza”, verificatesi in questi giorni di pandemia un po’ ovunque, ad una attenta osservazione dei fatti spesso sono delle vere e proprie fastidiose scostumatezza, o se vogliamo essere reali, “schifezze sociali” che vengono compiute da giovinastri arroganti, senza educazione e che andrebbero immediatamente isolati e condannati da un contesto dove la convivenza è parte integrante di “sopravvivenza”, soprattutto in questi lunghi e sacrificati mesi di domiciliari forzati.
Sovviene, allora alla mente quanto ci dicevano durante gli anni della nostra crescita allorquando compivamo un atto, un gesto o dicevamo una parola che era giudicata “fuori luogo”. Ci si diceva semplicemente che non conoscevamo le regole del buon vivere di Mons. Della Casa. In pratica non conoscevamo il Galateo, quella serie di norme nelle quali, a metà del ‘500, quindi in pieno Rinascimento, un prelato di Santa Romana Chiesa, cioè un Vescovo, aveva compilato per insegnare ai giovani le buone maniere, come comportarsi stando in pubblico o in consessi umani nei quali la prima regola, importante, era comportarsi in modo consono da risultare educati e di piacevole compagnia.
Oggi quelle regole, ancora valide, non sono studiate, né lette e quindi disattese, anzi del Galateo si è perso sin anche la memoria. Conseguenza: giovani scostumati, arroganti spocchiosi, prepotenti.
Provate, su un qualsiasi mezzo pubblico, a trovare un giovane che cede il posto a sedere ad una donna incinta o ad un anziano. Neanche a parlarne e tutto sembra normale. Anzi dai mezzi pubblici sembra siano scomparsi persino i posti destinati a disabili e anziani, come era una volta. “O tempora o mores!” direbbe il giustamente arrabbiato Cicerone rivoltandosi nella tomba.
E così, perché disgustati da tanta “schifezza”, ci piace parlare del volume scritto a quattro mani da Filiberto Passananti e Matteo Minà: “Il Galateo del terzo Millennio” ovvero la traduzione in italiano corretto del testo di monsignor Giovanni della Casa, supportato da dieci interviste a personaggio noti che propongono cento nuove regole del buon vivere che, con una parola alquanto antipatica, oggi viene indicato come “empatia”.
Nel volume alquanto corposo, edito da Guido Tommasi e con la prefazione di Csaba dalla Zorza e le illustrazioni di Gianluca Biscalchin, i due giornalisti, fedeli al loro mestiere di attenti informatori, hanno calato nella realtà contemporanea quelle antiche regole ancora valide dopo cinque secoli.
Il testo originario di Mons. Giovanni Della Casa, edito nel 1559, è riportato, quasi stampa anastatica, a conclusione dell’impegnativo lavoro dei nostri due colleghi napoletani. E non potevano che essere loro gli autori di siffatto impegno editoriale, visto che il lavoro originario fu iniziato dal fiorentino Mons. Della Casa quando era Vescovo di Benevento e su suggerimento di Mons. Galeazzo Florimonte, Vescovo di Sessa Aurunca in provincia di Caserta: un lavoro, come dire, tutto campano, anche se l’autore lo scrisse in lingua toscana (quella usata da Pietro Bembo), servendosi di quanto aveva appreso nel corso della sua carriera episcopale, prima come Nunzio Apostolico (Ambasciatore) dello Stato della Chiesa presso la Serenissima Repubblica Marinara di Venezia e poi presso la elegante corte di Francia. Il pretesto è la voglia di trasmettere al giovane e amato nipote Annibale (simbolo di tutta la gioventù) non solo il comportamento da tenere a tavola, ma le norme per come rapportarsi agli altri.
Scriveva Mons. Della Casa in apertura: «Sai che ti voglio bene e per questo motivo, poiché tu sei giovane e stai iniziando ora il viaggio della vita, mentre io sono ormai anziano, ho deciso di rivelarti i segreti per vivere bene nelle varie occasioni che la vita offre. Tutte esperienze che io ho già provato». In fondo il Galateo è la “base della convivenza civile che aiuta a comprendere come gli altri siano una realtà da rispettare”. Un richiamo all’altrui bisogno diventato, soprattutto in questi giorni di grandi difficoltà sociali, parte primaria delle sollecitazioni e preoccupazioni di Papa Francesco. Il porsi con gli altri non deve essere all’insegna dell’egoismo e del profitto personale, ma dell’altruismo e della fratellanza. E non sono regole cattoliche o cristiane, ma semplicemente regole del buon convivere. Nella sua attenta prefazione, Csaba dalla Zorza scrive: «un modo che una persona ben educata deve avere nel rapportarsi agli altri, senza offendere, senza prevaricare, senza porre in imbarazzo, bensì diventando una compagnia amabile, elegante e di interesse incondizionato. Qualità che sono oggi utili quanto rare». In sostanza aiuta a spostare in ultima, remota fila la spocchia, la prepotenza, il cattivo gusto con il quale spesso ci si rapporta con gli altri.
Certamente il lavoro fatto da Passananti e Minà è stato lungo, attento e anche coraggioso, se appena ci si gira intorno in cerca di qualche risposta costumata. Ci si dirà che quello di Mons. Della Casa era il Rinascimento, un mondo di 500 anni fa, ma che rappresentava “la grande voglia di misura ed equilibrio nella vita e in tutte le espressioni dell’uomo”. Anni in cui operavano per l’uomo e la grandezza dell’Italia personaggi come Michelangelo, Leonardo, Raffaello e così via.
In una nota inserita nel volume, gli autori dichiarano che «tutto questo lavoro è stato strutturato con l’intento di essere destinato ai ragazzi del Mondo globalizzato… Esportare un modello di comportamento eccezionalmente attuale, nato nel Belpaese, ma dal valore universale».
Il volume è diviso in tre sezioni più una quarta dedicata alla “ristampa” integrale e originale del lavoro di Mons. Della Casa, oltre ad un piccolo glossario per comprendere termini che nei secoli passati avevano un significato diverso rispetto alla lingua di oggi.
Un lavoro serio per regalare ai giovani di oggi una lettura gradevole e capace di donare alla persona eleganza di comportamenti. Nei suoi ringraziamenti finali Filiberto Passananti scrive: «Il mio è un grazie alla memoria. Va a monsignor Giovanni Della Casa perché il suo pensiero, in un tempo tanto difficile come quello che viviamo, riesce ancora a indicare la rotta giusta da seguire nella vita, mettendo al centro la persona umana e non il denaro». Buona lettura a tutti.
Vito Pinto