La Lanterna di Diogene è un racconto di Alfredo Panzini, un intellettuale vissuto negli anni compresi tra l’unificazione della penisola italiana e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
La storia del suo viaggio dall’asfissiante Milano alla liberatoria Bellaria, in Romagna, potrebbe essere considerata un’antesignana dell’epopea della Beat Generation, un On the road tutto italico, giusto un po’ meno scapestrato, un filo più retorico e, cosa che qui ci interessa, completamente in sella a una bicicletta.
E se non è proprio la figura dell’intellettuale a coinvolgerci (era uno dei firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti), ci pensa la sua idea di attraversare una parte del paese pedalando. E di raccontarlo. Spesso, durante la lettura ci si può ritrovare assieme a lui, guardare a destra e a sinistra, e ammirare le valli di Comacchio che scorrono sconnesse sotto le ruote della bici.
Lo scritto è stato pubblicato nel 1907, altri tempi, diremmo, in cui la bici era uno dei mezzi principali di spostamento individuale e attraversare un paio di regioni per raggiungere amici o parenti non era considerata totalmente una pazzia, per chi una bici ce l’aveva, ovviamente.
Distanze così grandi, oggi, sono sì contemplate per il popolare mezzo a motore umano, ma per uno scopo turistico ed escursionistico.
Ed è un bene che sia così.
Da ciclista per scelta, per gioco e per necessità, immagino spesso di trascinarmi pedalando attraverso distese sterminate di paesaggi, inerpicarmi sulle colline gratinate di macchia mediterranea, lasciarmi guidare dalla gravità verso un mare che in linea d’aria sembra di poter accarezzare allungando un braccio. E a volte l’ho anche fatto, ma non è il racconto del mio viaggio in bici questo, quanto il proposito di affrontarne in futuri, magari anche in terre non troppo lontane, che, a seconda dell’inclinazione dei raggi del sole, ti mostrano sempre qualcosa di nuovo.
Mi piacerebbe andare, per dirne una, da Vietri a Sapri, attraversare la provincia di Salerno da nord a sud. Avrei già la sensazione di vivere un’epopea, anche a pochi chilometri da casa. E potrei pure farlo (in tempi più rosei, ovvio) se non ci fossero diverse difficoltà strutturali a farmici pensare più di due volte.
Esistono degli itinerari in bicicletta tracciati e organizzati, anche di recente istituzione. La via Silente ne è l’esempio più virtuoso: un percorso a tappe che si accartoccia nel Parco Nazionale del Cilento, con tanto di strutture ricettive, guide cicloturistiche e tracce GPS.
Peccato che già al di qua di Agropoli, rispetto a dove scrivo, esiste la forte possibilità di perdersi tra strade troppo strette, altre a percorrenza veloce e timidi accenni di infrastrutture ciclabili abbandonate a sé stesse.
Eppure la presenza di ciclisti e cicliste per le strade e gli sterrati della provincia è evidente a fronte di un territorio che presenta sfide e ostacoli per tutti i gusti. Dalla semplice pedalata familiare verso i templi di Paestum, alla scalata pantanesca dei versanti degli Alburni, o all’agile possibilità di andare a lavoro percorrendo tre o quattro chilometri totalmente pianeggianti.
Il problema?
Pochissime piste. L’unica cosa che vi può rassomigliare è la direttrice Salerno-Agropoli via Litoranea, ma che già all’altezza di Battipaglia presenta scompensi e livelli di abbandono che rasentano il malessere. La situazione migliora un po’ attraversando la marina di Eboli. Tuttavia, anche se fosse, i collegamenti con i centri abitati sono inesistenti e le strade utili a raggiungere la pista, restano sconnesse e pericolose. In direzione di Salerno, invece, la pista scompare in un’incertezza di stabilimenti e litorali degni di un film di Caligari.
All’interno dei centri urbani, di piste ciclabili, o anche solo di segnaletica inclusiva, nemmeno a parlarne. Nella pennellata di cemento che corre parallela alla litoranea la congestione del traffico rimane preferibile ad incentivi destinati ad evitarla. Certo, ci sono stati i bonus per l’acquisto di mezzi ecologici, ma dove esattamente questi mezzi ecologici possano circolare in sicurezza ancora non è del tutto chiaro.
Senza doversi dichiarare necessariamente esterofili, possiamo pur attingere da qualche esempio che travalica le Alpi e può mostrarci che, con tutte le difficoltà del caso ma con un po’ di immaginazione, sarebbe possibile.
Esiste una via ciclabile, con alcuni tronconi ancora in costruzione, che collega Ginevra, in Svizzera, a Marsiglia, sulla costa mediterranea della Francia, seguendo il corso del fiume Rodano. Si tratta di un itinerario di 815km (Vietri-Sapri è di appena 126) che attraversa contrade segnate da Storia (e su questa, ce la possiamo giocare), bellezze naturali (checked) e scoperte eno-gastronomiche (non ci sono problemi), frequentato tutto l’anno da persone provenienti da tutto il mondo, apposta per seguire quell’itinerario e i territori ad esso contigui.
Il percorso rappresenta solo una parte di un’arteria ciclabile più lunga che attraversa la Germania e arriva fino al Mare del Nord, una vera e propria strada internazionale dedicata unicamente alle bici e ai mezzi ecologici.
Una volta, verso Paestum, sulla statale 18, mi è capitato di incontrare dei cicloturisti che chiedevano dove fosse la pista ciclabile per arrivare in Cilento.
Non ho saputo rispondergli.
Un giorno mi piacerebbe poterglielo indicare, magari fare la strada con loro e tornare a raccontarlo.
Ecco, se potessi dare un’indicazione, un giorno quando si potrà di nuovo, su come visitare la terra dove sono nato, vorrei poter rispondere semplicemente: “Nell’unico modo in cui puoi goderne appieno la sua schiva bellezza: in bicicletta”.
E se non vi dispiace, vengo con voi.
Bibliositografia
https://www.viarhona.com
Alfredo Panzini, La lanterna di Diogene, Tarka, 2016.
Francesco Di Concilio