È trascorso un anno dai primi segni del contagio da Coronavirus nel Vallo di Diano. Un anno da quanto circa 20 cattolici neocatecumenali e 3 preti si sono incontrati in un hotel del territorio per dar vita ad un ritiro spirituale salito alla ribalta delle cronache.
Nel corso del rito, infatti, i partecipanti avrebbero bevuto del vino (forse condividendo lo stesso calice) e/o avrebbero condiviso il pane.
La riunione ha prodotto, inizialmente, la positività di una 15ina di persone e la morte di una di esse. Alla fine, tuttavia, in quarantena è stato messo un totale di circa 90 soggetti.
L’evento ha fatto “conoscere” il Coronavirus al territorio a sud della Campania.
A distanza di 12 mesi il comprensorio sta, ovviamente, ancora “affrontando” l’emergenza, seppure i numeri, al momento, sembrino meno allarmanti rispetto al 2020.
Insomma, una primavera valdianese (più in termini climatici che temporali) caratterizzata, tra le altre cose, dalle scuole chiuse, dalla limitazione della socialità (già carente di suo), dall’assenza (per alcuni mancanza, per altri manna) di incontri, presentazioni, convegni e similari e dal dibattito acceso sull’alta velocità.
Una tematica che ha, quasi di colpo, ridestato dal letargo un territorio pressoché dormiente. Insieme alla speranza di essere considerati, sì, ma non “di passaggio”.
E mentre si rinnovano considerazioni, appelli, frecciatine e polemiche, il sole e il primo tepore portano con sé la voglia di novità e cambiamento in diversi paesi.
A Sant’Arsenio è arrivato l’ok per il prosieguo degli interventi relativi all’ospedale che, nell’ambito del progetto di riqualificazione, dovrebbe diventare un polo di intervento nella diagnosi, nella cura e nella trattazione di svariate patologie. Il centro santarsenese, inoltre, l’amministrazione comunale ha richiesto l’istituzione di una stazione dei Carabinieri che abbia competenza anche sui Comuni di San Pietro al Tanagro e San Rufo.
A Padula, intanto, sono partiti i lavoro di restyling della Certosa di San Lorenzo. Si tratta di un recupero di diverse aree, oggetto di uno stanziamento di oltre 3 milioni di euro.
Piccoli/grandi segnali di vitalità in un contesto reso ancora più “chiuso” dalla pandemia.
E se diversi residenti manifestano una certa insofferenza per l’impossibilità di agire e muoversi in libertà, altri non perdono l’occasione per quasi compiacersi del proprio mix fatto di perenne vittimismo, rassegnazione e negatività.
Componenti che, più di quanto si possa credere, finiscono per caratterizzare parte delle comunità, apparentemente assuefatta al non cambiamento ed a conservare tutto ciò che di buono e meno buono c’è.
E così (come già accaduto) istanze e battaglie che, apparentemente, dovrebbero stare a cuore alla comunità, finiscono per essere affrontate da addetti ai lavori e non troppe figure più o meno “vicine”.
Il timore legato a virus e contagi, poi, finisce per anestetizzare ancor più possibili input e reazioni.
Quasi come se “l’allergia” al territorio finisse per rappresentare, al tempo stesso, “un’allergia” a ciò che potrebbe rendere più ricco e fornito lo stesso.
Peccato, però, che non duri una sola stagione.
Cono D’Elia