Desidero anch’io, come ha appena fatto Paolo Apolito, ringraziare il Sindaco Franco Alfieri per la buona notizia che ci ha dato e che sono certo che si concretizzi, conoscendo la sua operatività. Peraltro, il fatto che quel progetto ancora non abbia preso forma è dipeso da una serie di condizioni di contesto, di ritardi probabilmente anche di natura burocratica. Come è stato detto, già con il sindaco Italo Voza fu avviata l’iniziativa, poi presa in carico da Francesco Palumbo, suo successore ed immediato predecessore di Franco Alfieri. Ricordo bene che Franco Palumbo, al termine del funerale di Sergio, nel pronunciare un’allocuzione riprese quell’idea e assunse pubblicamente l’impegno di realizzarla. Poi, dopo pochi mesi Palumbo mancò prematuramente!
Oggi abbiamo un dovere morale, non solo verso Sergio, ma nei confronti della comunità locale e, in senso più lato, della comunità artistica.
E anzi vorrei … rilanciare: il Casello 21 della stazione ferroviaria di Paestum va benissimo, ma ci sono materiali, testimonianze, scritti, opere, ricordi, reperti da offrire alla pubblica fruizione che in quel piccolo spazio seppure tanto significativo, emblematico non troverebbero capienza. Bisognerà, di concerto con la Civica Amministrazione e con la Direzione del Parco Archeologico, pensare ad un contenitore ulteriore.
Sì, il “Casello 21”è un luogo-simbolo nella vicenda umana e artistica di Sergio Vecchio. Tutto è coerente, anche l’abbigliamento, il suo cappello da ferroviere o da navigante(?), comunque sempre qualcosa che abbia attinenza con il viaggio e penso che da questo punto di vista la sua definizione che Sergio dette di sé sia estremamente calzante: “Marinaio di terra”. Il Casello 21 è stato luogo di permanente frequentazione, anche perché la sua casa è a un passo da lì, la casa di Bruna, di Sergio, di Marco e Viviana che saluto in un unico abbraccio. E dunque su quei binari, dove Sergio attendeva che qualcuno, vide per la prima volta e senza volerlo li ricevette Umberto Zanotti Bianco e Paola Zancani Montuoro: una coppia così celebre nel mondo della cultura e dell’archeologia che poi avrebbe iniziato il suo lavoro di ricerca e di scavo a Paestum.
In Sergio, a prescindere dall’abbigliamento, dal portamento, dal piglio, dalla fierezza dello sguardo, e nel suo atteggiamento e nei suoi comportamenti, si verifica una sorta di ossimoro: una personalità complessa al tempo stesso discreta. Anni fa – in una presentazione al catalogo di una sua mostra organizzata da Valerio Falcone per Fornace Falcone nell’Atelier di Linee Contemporanee in Salerno – l’ho descritto come una “persona positivamente introversa”: questa sorta di ossimoro mi sembra particolarmente calzante. Nella conversazione era essenziale, asciutto e talvolta tra la ritrosia e il pudore riusciva anche ad essere sferzante e volutamente esprimeva anche giudizi severi, ma solo quando si trovasse in presenza di un amico in grado di comprendere, non per amore della polemica; assolutamente questo non gli apparteneva.
Scriveva Sergio: “le mie mani pulite, sporche di inchiostro e di fatica” e ancora “ho attraversato la mia vita di pittore in ogni dove guadagnando amicizia ovunque e vino senza inchinarmi a nessuno se non alla pittura”. Sì, un pittore ma anche un poeta, un intellettuale, un filosofo, insomma un artista a tutto tondo, raffinato, dotato di una sensibilità particolare, delicata, profonda, acuta, “poeta quando dipinge e pittore quando scrive”, un profeta nel “lungo viaggio che è volato in un momento”. Anche questa frase è sua! Parlo di profezia perché in quel “lungo viaggio” nasce anche il suo disegno. E qui non mi riferisco alla genialità delle sue arti – pittorica, ceramica, scultorea – ma alludo, invece, al disegno di politica culturale che aveva tentato di comporre, che si era sforzato di immaginare e di realizzare per il territorio, a favore del territorio, alla sua capacità di incarnarlo: Sergio, il Genius Loci; Sergio e Paestum; Sergio è Paestum! E lo è anche nelle sue opere, nel suo dialogo inesausto con i luoghi, con i templi, con l’antichità con il tempo presente, con il tempo futuro: Sergio, una sorta di epigono del Grand Tour.
Proprio per questa sua particolare relazione con il tempo abbiamo voluto intitolare l’incontro di oggi: “viaggiatore senza tempo”.
Il tema del viaggio, come il tema del tempo, sono sempre presenti nella vita di Sergio e nel suo messaggio artistico. In questi giorni, pensando all’incontro odierno e nel dare una mano a Bruna per organizzarlo, con tutto il cuore, con tutta la convinzione di chi intende testimoniare non soltanto un sentimento vero d’amicizia, ma anche una profonda ammirazione verso l’uomo e verso l’artista, mi è venuta in mente la sigla di una trasmissione televisiva della metà degli anni’ 60; ero appena adolescente e settimanalmente una Rai colta mandava in onda “Almanacco”. Pensate che il Comitato di redazione era composto da Gabriele De Rosa, Carlo Bo, Alfonso Gatto e Ginestra Amaldi. La sigla di apertura era un brano di Franz Liszt, Les Préludes, quella di chiusura una canzone magistralmente cantata da una straordinaria attrice, Lea Massari: “La ballata del tempo”, i versi di Alfonso Gatto, la musica di Gino Peguri. Inizia così: “Giorni e giorni, notti e notti e quel che fu”-con il ritmo della ballata, appunto, un po’ trascinato -, poi il verso conclusivo, pure molto bello che trovo appropriato alla personalità di Sergio …“Nella storia tutto è gloria, passa e va” . Ho voluto trarre questo spunto non per giustificare ma per colorire ulteriormente, se fosse possibile, la scelta di un titolo che non è soltanto il titolo di un incontro di tanti amici e di tante persone che ci stanno seguendo e che vorremmo salutare tutti, ma serve anche per definire bene un progetto, un progetto di vita, un progetto artistico, “viaggiatore senza tempo”.
Prima ancora che venisse inaugurata nel Museo di Paestum la bellissima mostra (metà gennaio 2018) di poco precedente la scomparsa di Sergio, “Le stanze dell’eremita”, con la contestuale presentazione del suo libro dallo stesso titolo, editato da Oedipus di Franco Forte, nel medesimo luogo l’allora Direttore Marina Cipriani curò l’esposizione e il catalogo de “La sconfinata solitudine” (2014). Un tema, la solitudine, sempre presente nella vita come nella cifra del pensiero e dell’arte di Sergio. Molto efficace la definizione che nel testo di presentazione Marina Cipriani dà di Vecchio: “viaggiatore metaforico nel mondo atemporale del mito”. Viaggiatore per l’appunto.
Un grande della poesia del Novecento, come Giuseppe Ungaretti scrive: “Ho avuto in sorte di appartenere a più patrie” e le sue poesie sono senza tempo, sempre attuali, perciò è stato definito “un poeta senza tempo”, sempre alla ricerca di una patria, di una meta.
E per questa stessa ragione anche Sergio, “Marinaio di terra”, è salutato come un “viaggiatore senza tempo”!
Alfonso Andria