Cara madre, ti scrivo in questo momento difficile per tutti noi perché te ne sei andata senza darmi il tempo di salutarti.
Nascesti nel 1936 e la tua infanzia coincise con la guerra. La tua giovinezza la vivesti nel periodo di rinascita e diventasti donna sposandosi giovanissima mio padre, Giuseppe, di Rofrano, contro la volontà dei suoi genitori, Antonia e Antonio, che avrebbero preferito per lei un marito del paese tuo.
Nel 1955 diventasti madre di me, Bartolo, e cominciasti così la sua vita da adulta fatta di tanto lavoro e sacrifici per mandare avanti la famiglia: agricoltura di montagna e trasformazione del latte prodotto dal gregge di famiglia.
Io, bambino, vivevo e crescevo tra il ponte, dove era situata la nostra casa, e la via dove abitava il maestro Biagio dove vivevano i miei nonni materni.
A 9 anni la nostra vita cambiò: mio padre aveva ottenuto il posto di bidello nella scuola e, forte dell’entrata sicura, vendeste la casa sul punte e compraste la casa in via Gaetano Ricci dove hai vissuto finora: intanto era nata mia sorella Maria Carmela.
A 10 anni decisi di andare in seminario a Vallo della Lucania: molti figli di pastori fecero questa scelta …
Fu l’inizio di un distacco da te che mi avevi generato.
Tornavo a casa a Natale e d’estate ma vivevo più in parrocchia che a casa.
Quando rientrai Piaggine per frequentare l’Istituto magistrale, appena istituito, ero molto diverso e, pur vivendo in famiglia, avevo la testa proiettata altrove.
A casa parlavo più con mio nonno Antonio che con il resto della famiglia: era fuori casa che esprimevo il meglio di me.
Tu madre mi seguivi a distanza e mio padre … per sentito dire dai miei professori.
A scuola galleggiavo e nella vita vissuta me la sbrigavo da solo. Mia sorella Carmela continuava a riempire lo spazio lasciato libero.
Quando arrivò il momento di lasciare gli ormeggi dal paese, andai a Napoli per frequentare l’Isef. Da quel momento le nostre strade si separano in modo irreversibile: un anno a Napoli, poi cominciai ad insegnare, contestualmente conobbi Gina che sarebbe diventata mia moglie.
Scelsi Varese per sperimentare un mondo nuovo e diverso di stare al mondo. Mi piacque e vi ritornai dopo il servizio militare. Mi sposai e in due anni mettemmo su famiglia con due figli: Francesca e Giuseppe.
Voi crescevate mia sorella che vi gratificava con i suoi successi scolastici.
Per te ci fu una svolta importante a 40 anni: fosti assunta nelle poste e cominciò una nuova vita trasferendoti a Bellizzi per essere più vicina a Salerno dove lavoravi.
Finalmente avevi fatto il tuo “balzo” in avanti e potevi godere nel vederti protagonista nel mondo moderno con un impiego sicuro in un ambiente che seppe apprezzarti per quello che eri: donna aperta e disponibile al sacrificio.
Con la scelta di Carmela di iscriversi all’università di Siena, alla facoltà di scienze bancarie, anche per i miei voi si aprì un periodo di viaggi verso la Toscana con qualche puntata da noi a Varese.
In una di queste visite mio padre, ricoverato per accertamenti all’ospedale di Siena, morì per un ictus cerebrale e tu rimasti sola a gestire te stessa.
Riprendesti in mano la tua vita e ripartisti per il futuro nel quale trovasti un genero, Elio, e altri due nipoti, Sara e Marta.
Le nipoti divennero la tua nuova missione: crescerle e accudirle in Torino dove eri diventata di casa.
Con l’arrivo della pensione, salutasti i colleghi del CPO di Salerno, e ritornasti a Piaggine dove hai vissuto il tempo che ti restava con le amiche del vicinato, pur consapevole che tornavi ad essere sola tra gli altri. L’orto e il Rosario, la messa e il mercato, il cimitero e la farmacia, il dottore e tanti funerali che hanno decimato intere generazioni di suoi coetanei.
Poi c’era la gioia delle visite di tutti noi: la casa si riempiva, la tavola si imbandiva, l’allegria aleggiava … I tanti amici di figli e nipoti che sono passati dal terrazzino sull’orto lo testimoniano in ogni occasione.
Nell’ultimo anno, il 2020, hai infilato tre infortuni dovuti a cadute: i primi due nell’orto, l’ultimo, quello fatale, davanti casa.
É stato anche l’anno in cui ho ripreso confidenza con te. Una o due volte alla settimana risalivo la Valle del Calore per pranzare con te che mi aspettavi impaziente.
Mi coccolavi come sempre anche quando arrivavo a casa all’improvviso con gli amici occasionali con i quali facevo escursioni in montagna.
Ti interrogavo sulla tua vita prima di me di cui non ho mai saputo molto. Ti schernivi ma rispondevi estraendo ricordi sepolti lontano nel tempo. Per aiutarti, squadernavo sul tavolo le foto del tempo che fu, ti sforzavi di ritornare a quelle situazioni passate … La sua vita da ragazza, la scelta dell’uomo della vita, il fratello più grande e l’altro che ti ha ceduto il passo: fosti messa in “cantiere” a seguito della morte di Nicola compagno di Angelo l’altro fratello.
Se volto lo sguardo al tuo passato di mamma, vedo una vita vissuta in “sola” sia quando lo sei stata davvero sia quando sei stata circondata dall’affetto di noi di famiglia e di tanti amici.
Cara madre, oggi ci separiamo con l’estremo saluto, quello che vale per sempre.
Tu da credente sei sempre stata certa di trovare tanti che hai conosciuto ad aspettarti. Primo fra tutti tuo marito, Giuseppe, mio padre. Spero che tu abbia avuto ragione l’ahi intravisto già all’ingresso del “tunnel” di luce che tanti “ritornati” indietro raccontano.
Questo sarebbe il giusto premio alla tua esistenza invita di donna devota e pregante. A noi che restiamo di qua … figli, nipoti, pronipoti e amici tutti certamente hai donato la tua vita vissuta accanto a noi tutti senza mai chiedere nient’altro che di volerti bene e, soprattutto, di volerci bene tra noi.
Abbiamo mancato su tante cose nella nostra vita e soprattutto non ti abbiamo dedicato tutto il tempo necessario a colmare, almeno in parte, quello che tu hai speso per noi.
Ma sul volerci bene, tu lo sai, non abbiamo mancato di farlo né ci sottrarremo in futuro.
La morte ti ha preso come hai sempre sperato, all’improvviso! Questo ci fa essere meno tristi anche se consapevoli del fatto che, con te, è morta anche la parte migliore di te che era in noi.