Domenico Pandolfo, presidente nazionale FIE (Federazione Italiana Escursionismo): ‹‹Credo che il problema sia da ricercarsi nella carenza totale nel bagaglio culturale di questi individui del concetto di bene comune››.
Costruito solitamente in punti molto suggestivi, il rifugio di montagna è nel nostro immaginario un luogo rustico, accogliente, caldo, che odora dei profumi della montagna e dei sapori dei suoi prodotti autentici.
Simbolo di accoglienza e di riparo oggi, i primissimi rifugi riportano a un contesto culturale molto diverso rispetto a quello attuale e nascono per motivi economici e commerciali, come luoghi strategici da cui i soldati partivano per sortite esplorative o anche come ricoveri dei pellegrini in cammino verso i grandi Santuari, i cosiddetti “Hospitia”, gestiti a scopo assistenziale da ordini religiosi.
La nascita del primo rifugio di montagna la si fa risalire, generalmente, al 1785 con la costruzione della Capanna Vincent sul versante meridionale del Monte Rosa, usata come punto di appoggio per lo sfruttamento delle vicine miniere d’oro. Ad essa segue, qualche anno dopo, nel 1851, la costruzione di un ricovero sul Colle Indren adibito ad osservazioni scientifiche.
Un rifugio vero e proprio inteso in senso escursionistico nasce a quota 3.317 sul Colle del Teodulo, (valico nelle Alpi Pennine) da cui prende il nome, sui resti di antiche fortificazioni che, dopo una serie di interventi e di passaggi di proprietà, viene acquistato dal Club Alpino Italiano della Sezione di Torino. Da allora ne sono sorti molti altri, utili come punti di riferimento, come tappe intermedie o punti di partenza per mete più impegnative.
Nel corso del tempo, tuttavia, da punto di appoggio per facilitare ascensioni e traversate il rifugio è diventato esso stesso l’obiettivo dell’escursionista da raggiungere a fine sentiero, una sorta di “premio” dopo tanta fatica. In effetti, in seguito allo sviluppo recente del turismo di montagna, non ospita più solo alpinisti ed escursionisti, ma anche “turisti” desiderosi di consumare un bel pasto caldo dopo una gita in montagna, spesso con la possibilità di pernottare. Parallelamente, in linea con questi cambiamenti, i rifugi, un tempo semplici e spartani che richiedevano un grande spirito di adattamento, si sono convertiti in strutture sempre più simili a piccoli alberghi.
Forse anche come conseguenza del numero considerevolmente aumentato di fruitori di ogni genere all’insegna di una montagna sempre più a portata di tutti, soprattutto negli ultimissimi anni queste strutture sono oggetto di atti vandalici, cui si associano reiterati gesti di enorme inciviltà, quali l’abbandono dei rifiuti all’esterno dei rifugi o sparsi tra la natura. Un problema che riguarda l’Italia tutta, dalle Alpi agli Appennini e che sta diventando sempre più serio.
Beni che appartengono a tutti sfregiati o maltrattati: cartelli sentieristici divelti, staccionate e tavoli rimossi o danneggiati, vetri rotti, lucchetti forzati, furto di materiale vario, dagli infissi agli impianti elettrici ai cavi.
Ma cosa si può fare contro questi sfregi che si ripetono con sempre più frequenza?
I sistemi di videosorveglianza (quando presenti) non sembrano avere potere deterrente ed è impossibile per le autorità comunali e le forze dell’ordine controllare km di strade e sentieri di montagna. Ne abbiamo parlato con il presidente nazionale FIE, Domenico Pandolfo.
Presidente, un suo punto di vista rispetto al problema.
‹‹Innanzitutto, va detto che il vandalismo che sta interessando sempre più i luoghi cari agli escursionisti, vale a dire sentieri e rifugi, comprendendo in questi anche i bivacchi, non è un problema soltanto italiano, ma investe un po’ in generale anche gli altri Paesi europei e non solo: alcuni in misura minore senz’altro, ma nessuno è indenne da questa piaga. Uno dei souvenir più apprezzati da questi inqualificabili frequentatori dell’ambiente naturale sembra siano diventati i segnavia, di qualsiasi materiale essi siano realizzati (legno, alluminio pressofuso, forex o altro materiale non fa differenza), posti sui sentieri ad indicare il tipo di sentiero, l’identificativo dello stesso, la destinazione, le distanze, i tempi di percorrenza, ecc.
I rifugi o gli edifici in generale, posti in montagna hanno un altro appeal: sembra che passare davanti a una di queste strutture non presidiate e non cercare di accedervi, strattonando la porta di ingresso o qualche finestra, sia un comportamento di cui vergognarsi, da non dover raccontare. Senza volersi addentrare in disquisizioni sociologiche, credo che il problema sia da ricercarsi nella mancanza di educazione al rispetto dei beni comuni da parte di queste persone, anzi, nella carenza totale nel bagaglio culturale di questi individui del concetto di bene comune, di qualcosa che appartiene alla collettività. Mi è capitato di vedere bellissime strutture in montagna, per lo più ex caserme forestali, ristrutturate di recente, vandalizzate per accedervi e derubate delle attrezzature che le Associazioni che le hanno in affidamento avevano acquistato e portate su con grande sacrificio››.
A suo avviso, c’è una correlazione tra l’aumento del numero di persone che frequenta la montagna e l’aumento del numero di atti vandalici di questo tipo?
‹‹Certamente la correlazione esiste. Tuttavia, non sono totalmente d’accordo che il vandalismo sia figlio di una maggiore frequentazione della montagna da parte di una platea escursionistica che senz’altro è cresciuta. Credo che chi si è avvicinato all’ambiente naturale nelle vesti di “escursionista” non venga nemmeno lontanamente sfiorato dall’idea di portare via un segnavia quale souvenir o di entrare in un rifugio non presidiato (perché questo è il problema: lo stato di inutilizzazione di tante strutture realizzate con finanziamenti pubblici, costruiti senza avere una strategia a cui riferirsi, degli obiettivi chiari da perseguire! Ma questo è un problema altrettanto vasto ed importante).
Coloro che si comportano in siffatta maniera sono da ricercare in altri target. Non è tra l’accresciuto numero delle persone che praticano l’escursionismo che si annidano questi comportamenti. Credo, piuttosto, che l’aumentata capacità di modificazione dell’ambiente fisico da parte dell’uomo, grazie alle tecnologie che sono state messe a disposizione dall’industria dei motori (ruspe, bulldozer e altri mezzi pesanti simili), ha determinato una serie di decisioni e di conseguenti interventi su territori vergini, dannosi soprattutto per qualsiasi area di grande pregio ambientale. Queste decisioni, che possono essere senz’altro ascritte a miopia politica e a mancanza di vision, hanno visto incentrare gli sforzi di tanti settori della nostra società per realizzare, ad esempio, nelle aree boscate e lungo le pendici delle montagne, un fitto reticolo di piste in terra battuta che oggi, con l’avvento e la diffusione di massa di veicoli fuoristrada, consentono di raggiungere a bordo di questi veicoli luoghi che altrimenti rimarrebbero fuori dal normale raggio di azione. Chiarisco con forte determinazione e in maniera marcata che non sto affatto dicendo che chi va in montagna in fuoristrada sia persona incivile, me ne guardo bene! Ed aggiungo che ognuno è libero di scegliere la modalità per godere dell’ambiente naturale, considerando questa esperienza qualcosa di unico, per il benessere fisico e psichico della persona in generale. Dico semplicemente che senza un fuoristrada a disposizione, nessuno si sognerebbe di caricarsi sulle spalle una stufa a legna trafugata in un rifugio per portarla a valle!››.
Chi c’è dietro ad atti simili?
‹‹Sicuramente persone che non hanno molta dimestichezza con i concetti riguardanti la convivenza all’interno della società civile. Potrebbe essere utile fare un passo indietro nella formulazione dei programmi scolastici, reintroducendo l’insegnamento delle discipline che riguardano la vecchia ma mai dimenticata Educazione Civica? Chissà… Sicuramente c’è bisogno di chiarire che ciò che appartiene a tutti debba essere rispettato più di quanto appartiene al singolo individuo. Danneggiare una struttura pubblica significa, in buona sostanza, danneggiare sé stessi, in quanto per prima cosa essa ci co-appartiene (non credo che nessuno prenda a martellate la porta della casa di famiglia pur essendo in comproprietà con altri consanguinei! Vero? Sbaglio?) e seconda cosa intervenire sull’immobile (o sul sentiero per apporre di nuovo i segnali trafugati o vandalizzati) significa distogliere risorse economiche da altri possibili interventi che avvantaggerebbero l’intera società di cui si è parte. In ultima analisi noi stessi››.
‹‹La vasta rete di edifici destinati alla funzione di rifugio, allocati per lo più in posti veramente considerevoli per l’ambiente naturale che li caratterizza, per i panorami che offrono, quindi capaci di suscitare interesse nelle persone, è stata oggetto di notevoli investimenti economici, finanziati essenzialmente con interventi a carico della finanza pubblica. Quando ci chiediamo come si sia generato l’enorme ammontare del debito pubblico nazionale, dobbiamo sapere che anche la ristrutturazione di questi edifici ha contribuito a determinare questo macigno che condiziona e condizionerà l’economia e le scelte politiche di questa Nazione.
Sarebbe auspicabile, quindi, che i decisori politici locali comincino a ragionare in termini di “distretto”, abbandonando l’arrocco sulla medioevale posizione dell’azione entro il proprio confine amministrativo. In ogni conferenza sul tema, si auspica l’avvento di forme di turismo sostenibile, legato alla fruizione dell’ambiente naturale, in modo da agire concretamente sulla destagionalizzazione dei flussi turistici. Ma in virtù di quale attrattore i flussi turistici legati all’escursionismo ambientale dovrebbero orientarsi verso la frequentazione sistematica, ad esempio, dell’ambiente montano del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni? Perché sono scrigni di bellezza, semplicemente per questo? Niente di più errato! O quantomeno la sola bellezza estetica non basta a fronteggiare offerte agguerrite e ben strutturate! Attrarre bacini escursionistici evoluti significa mettere a disposizione non solo l’ambiente naturale ma tutto ciò che è organizzazione sul territorio, dai sentieri ai rifugi, dalla logistica alla comunicazione, ai servizi. La presenza degli escursionisti sui sentieri porterebbe alla richiesta di servizi che potrebbero essere forniti… dai rifugi, appunto! Quindi con ampia possibilità delle strutture di essere presidiate (e non vandalizzate, come logica conseguenza) in quanto generatori di economie sostenibili. Certo, sembra un gatto che si morde la coda: non arrivano gli escursionisti, ergo, i rifugi sono chiusi. I rifugi sono chiusi, non arrivano gli escursionisti. E qui entra in discussione il ruolo dei decisori politici locali, la loro visione. Ma questo è un altro capitolo!››.
Un caro augurio di Buone Feste! Mimmo Pandolfo
a cura di Angela Cimino