Nell’immaginario ci ritroveremo intorno ad una tavola. Aspetteremo il campanello suonare e accoglieremo gli invitati. E poi alzeremo i bicchieri, pronunciando auguri. Magari correremo all’impazzata per scegliere il regalo perfetto. E farà così freddo, che per ristabilire la temperatura avremo bisogno di una tazza di cioccolata. E saremo impazienti nell’attendere l’uscita della vigilia tra baci, abbracci e musica assordante. E poi attenderemo con smania le ‘vacanze lunghe’, quelle che invochiamo da settembre. Prima di leggere la letterina, con tanto di sipario e applausi, daremo il meglio di noi alla recita scolastica. E tutti ci daremo la mano, mentre intoniamo i canti come d’usanza. Fino a ritrovarci stupefatti nel percorrere la città, tra luci e alberi giganteschi. Ci diletteremo nella creazione del presepe in piazza, improvvisandoci maestri del cartone. E poi torneremo a casa: la mamma avrà sfornato biscotti e la cucina avrà l’odore di zenzero e cannella. E poi avremo fretta perché ci sono gli amici che studiano al Nord ad attenderci. Poi però sarà ora di cena e tutti saranno affaccendati ai fornelli. La zia avrà dato il meglio di sé con il suo sformato vegano. La mamma avrà sperimentato nuove cotture di pesce. Mentre la nonna ci farà leccare i baffi con castagnacci e struffoli ricoperti di miele. Giunta la mezzanotte, con indosso i cappotti, ci dirigeremo in Chiesa in attesa della nascita di Gesù. Ma saremo impazienti in vista dell’indomani. I più piccoli lasceranno latte e biscotti per l’omone che verrà giù dal camino. Noi più grandi spacchetteremo quei pacchi rosso fuoco. E poi andremo dagli zii. Mangeremo fino a notte fonda e consoleremo il nostro senso di colpa andando a fare jogging con il cugino che di sport non ne vuole sapere. Il telefono squillerà di continuo, si ricorderà di noi persino il parente in America. Fino a che qualcuno spolvererà quei giochi da tavola ammuffiti, lasciati in garage per 12 mesi. E faremo baldoria con dinanzi arachidi, pistacchi e noci. Solo mia sorella non transige e sgranocchia finocchi. Saremo inondati da panettoni, pandori e cioccolate dalle forme più disparate. Poltriremo sui divani, riscopriremo film e nuovi romanzi.
Peccato che questo spaccato di vita faccia parte del già vissuto. Quel vissuto che non si ripeterà. Ma non lasciamoci invadere dalla nostalgia. Per quanto insolite, queste feste saranno speciali se solo lo vorremo. Partiamo col dire che saluteremo il 2020. Un anno che per alcuni avrebbe significato il cambio casa, per altri il trasferimento, per altri la laurea, per altri ancora la maturità. E poi c’era chi era in attesa della patente, chi di un figlio, chi di un matrimonio. Poi c’era chi aspettava la promozione, chi si sarebbe messo a dieta, chi avrebbe cambiato vita. Invece da fine febbraio ha spiazzato tutti. Abbiamo ridimensionato le nostre vite, creando di continuo nuovi appigli per non morire nell’abitudine. Quegli interrogativi che non riuscivamo a spegnere, li abbiamo posti ad un motore di ricerca. Non c’è da stupirsi se le parole più cercate siano state coronavirus, lockdown, contagi, Dpcm. Abbiamo sperimentato lo smart working e la Dad; abbiamo imparato a starcene in casa, a fare la spesa una volta a settimana, ad uscire solo per necessità; abbiamo fissato nuove priorità, lasciandoci alle spalle il superfluo; ci siamo presi il nostro tempo; sognato mondi possibili. E abbiamo provato anche tanto sconforto al cospetto di un nemico imbattibile. Abbiamo temuto e temiamo la curva dei contagi, i morti, la malattia, la solitudine.
C’è chi farà il suo bilancio. La maggior parte dirà “è stato un anno terribile”. Certamente lo è stato. Nessuno di noi avrebbe immaginato nel 2020 una pandemia di questa portata. Eppure se facciamo spazio nelle nostre coscienze ci accorgiamo che ognuno di noi può ricavarne qualcosa di buono. Per esempio il coraggio di servire gli altri, di reinventarsi nonostante la perdita di un lavoro, di rialzarsi non vedendo prospettive, di truccarsi con le pantofole ai piedi per un colloquio da remoto. Oppure la volontà di ringraziare ogni giorno per quello che si ha, nonostante una velata infelicità. È stato un anno di rinunce. Abbiamo rinunciato al caffè al bar, ai mezzi pubblici, agli uffici, ai nuovi acquisti. E anche questo Natale, nonostante le aspettative, rinunceremo al weekend fuori, alla neve finta, ai nonni, al fidanzato. Rinunceremo alle rimpatriate e ai calici del buonumore. Rinunceremo a quel freddo che gela le mani mentre ci auguriamo buon anno tra milioni di gente. Ma non rinunceremo a sentirci grati. E così ci tireremo su e rispetteremo tutti i crismi della tradizione. Indosseremo un bel sorriso e faremo in modo che sia speciale. E anche se saremo soli, acquisteremo la fragranza al muschio che inonderà la casa di positività. Verseremo bollicine nel servizio buono. Rispolvereremo tutta la filmografia strappalacrime. E ci improvviseremo Mariah Carey mentre canta “All I Want for Christmas is You”. Perché se c’è una cosa che abbiamo imparato è che non vogliamo molto. In fondo, non vogliamo quel regalo che teniamo d’occhio su Amazon. Non vogliamo essere presenti alla festa esclusiva né mettere su un sorriso finto con l’invitato poco gradito. In fondo, fuggiamo da noia, solitudine e abbandono. Sogniamo strette e abbracci di chi ha il potere di farci sentire al posto giusto. Ci sentiamo parte del tutto quando doniamo, senza volere nulla in cambio. In fondo, ci sentiamo appagati anche in quel posto che chiamiamo ‘casa’.
Anais Di Stefano