Occhi chiusi, orecchie tappate, mani sulla bocca. È stato il silenzio a tenere viva la fiamma di una criminalità diffusa che a lungo ha messo a repentaglio la viabilità di una città. Agropoli, che mai prima era stata stretta così tanto nella morsa di una delinquenza sottile e diffusa, annidata nel suo cuore. È stato necessario che accadesse qualcosa di davvero forte affinché chi poteva prendesse provvedimenti, perché si smettessero di tollerare il “pizzo” al parcheggio, gli scippi ai turisti. I furti d’auto e nelle case. È come se la città si fosse all’improvviso svegliata da un lungo sonno, decidendo finalmente di reagire. Ad Agropoli gli zingari hanno un quartiere tutto loro, a due passi dalle scuole e dal palazzetto dello sport. Eppure non è giusto fare di tutta l’erba un fascio: ‘Ad Agropoli,’ ci dicono alcuni cittadini ‘ci sono anche zingari perfettamente integrati, che lavorano e vivono onestamente.’. Ma il dito accusatorio viene puntato verso l’intera comunità, perché sono alcuni di loro ad avere monopolizzato i parcheggi, sono loro ad essere stati sorpresi a rubare diverse volte, sono stati loro infine ad aggredire sul corso gremito di gente la massima autorità dell’Arma di Agropoli.
“Il degrado non è stato contrastato ed è scoppiato”. Intervista a Maria Grazio Caso, giornalista, si occupa di programmazione di eventi culturali nel Cilento, a Napoli e a Roma, è specializzata in audiovisivi e paesaggio. Agropolese doc.
L’aggressione a Genovese era un evento annunciato. Era in qualche modo nell’aria?
Gli episodi violenti non possono essere mai annunciati. Nessuno, ovviamente, se li aspetta. Sì, c’era uno stato di abbandono rispetto alle cose. C’erano tanti tasselli che non quadravano. Agropoli è una piccola società e questo si vedeva ad occhio nudo. La disattenzione, l’indifferenza possono produrre fenomeni che poi possono esplodere così come li abbiamo visti. È una situazione sfuggita al controllo, non solo delle forze dell’ordine, ma di tutta la nostra comunità. C’è stato un lasciarsi andare generale, rispetto al problema.
Qualcuno ha detto che le forze dell’ordine hanno temporeggiato troppo a lungo. Si doveva intervenire prima. I negozianti, chi usava i parcheggi, subiva piccoli ma antipatici taglieggiamenti…
Attenzione a non scadere subito in un facile e grossolano razzismo. L’integrazione degli estranei non è mai cosa facile e scontata. Nel caso in discussione va detto che è gente che è nata qui. Molti di loro nella nostra società ci stanno bene. Le cellule di microcriminalità nascono da fatti sociali di ben più ampia portata. Non possono riferirsi obbligatoriamente ad una sola etnia. La sorveglianza sociale deve cominciare dall’obbligo scolastico. Sono situazioni generali di degrado proprio di tante, troppe, aree del mezzogiorno.
Agropoli cresce…
Sì, soprattutto che c’è gente che viene da fuori. Che fa crescere anche i problemi. Qui, la qualità della vita non è esaltante. Mancano cinema e centri polifunzionali. Non ci sono spazi da mettere a disposizione di chi fa teatro e musica. Rimane la piazza, i vicoli, i bar ed i videogiochi. E spesso sono questi gli spazi prediletti da chi è deviante.
Intervista a Gianni Colucci, giornalista de “Il Mattino”, di origine avellinese, da anni lavora alla redazione di Salerno de “Il Mattino” e frequenta assiduamente Agropoli.
La recente aggressione al capitano Genovese è un episodio isolato o la punta di un iceberg di una “Agropoli ai margini” che vuole dimostrare, anche simbolicamente, il “chi è che comanda”?
Certo che fa impressione vedere il comandante dei carabinieri aggredito e picchiato, un episodio del genere suscita un moto di rabbia, è una prova di impunità, quasi una sfida all’intera comunità. Ma è anche un richiamo al principio di realtà, non è detto che quel che è diventata Agropoli corrisponda all’idea che ognuno di noi che la vive stabilmente o periodicamente vorrebbe che fosse. Dato che per rendere un territorio confacente alle nostre aspettative sarebbe necessario da parte di tutti un impegno concreto e costante. Come dire? Una crisi comunale non nasce dal nulla, ma è accaduto qualcosa che l’ha causata e spesso s’è stati a guardare invece che ad agire. Una città sporca lo è perché non si fa la raccolta differenziata in casa e si accetta l’immondizia sulla spiaggia senza batter ciglio. Insomma quel che è accaduto è perché ci si volta, per pigrizia o convenienza, dall’altra parte. Forse la dimensione di “paese” è venuta meno, la solidarietà e il controllo sociale propria delle piccole comunità non c’è più, nemmeno qui. Ma si può ricostruire a cominciare dalle parrocchie e dai partiti politici, i circoli culturali e lo sport. Un amministratore locale dovrebbe puntare sostanzialmente su questo per recuperare.
Le trasformazioni nella composizione sociale della popolazione agropolese sono aumentante nell’ultimo decennio. Rispetto a “chi è arrivato da fuori” quale integrazione sociale è stata offerta?
L’esempio più eclatante è il centro storico: chi viene da fuori da fatto anche forti investimenti per riqualificare il tessuto abitativo ma ottiene ben pochi servizi in cambio: mentre chi ci vive da sempre mira ad uno sfruttamento di rapina: imbottisce di villeggianti catapecchie e trasforma le piazze in pizzerie di scarsa qualità e di esoso conto che durano lo spazio dell’estate. La colonia Rom è qui invece, così mi risulta, da lunga data, e si è integrata perfettamente anche grazie alla commovente tolleranza locale. Sono i marginali alla stessa etnia Rom quelli che si mettono fuori dalla legge.
Maria Grazio Caso mette sotto accusa le politiche comunali “a tolleranza alta” su parcheggi e mercato. Sei d’accordo?
È un problema che esiste dappertutto: a Salerno hanno proposto aree delimitate anche per consentire agli extracomunitari di vendere la propria mercanzia, a patto che si mettano in regole con le leggi del commercio. Ma se chi stacca il biglietto del parcheggio davanti al municipio utilizza falsi ticket con su scritto “comune di Agropoli” come minimo c’è “culpa in vigilando”. Si tollera pensando di integrare come si può, per via di amicizie e rapporti consolidati, chi non ce la fa; ma si impone una tassa illegale, si avalla un comportamento deviante per quieto vivere. O per non vedere la natura vera del problema. Non è uno “zingaro”, anzi è un “agropolese infelice” quello che da anni mi fa pagare il parcheggio in una piazzetta della città (e l’ho visto frequentare i tribunali); è uno “zingaro felice” invece un signore che sulla spiaggia di Pollica vende gelati e torna a sera a casa in paese. Mi aspetterei cooperative che gestiscano i parcheggi, curino l’arredo urbano (sic!), puliscano le spiagge, facciano escursionismo e lascino aperto qualche baretto in più sul litorale.
Cosa fare allora?
Resto dell’idea che civiltà vuole che non ci si limite a tenere decoroso il cuore del cuore della città, ma a fare qualcosa perché la periferia non degradi. Ho visto pascolare i cavalli davanti alla sede dell’Asl e non ho visto un gettacarte sul corso principale; è indispensabile ampliare la zona pedonale e creare un’area parcheggi più ampia, ristrutturare pesantemente il centro storico sul modello di Castellabate e imporre un rigoroso regolamento edilizio nel resto del comune. Infine bisogna credere di più a messaggi positivi, quali cultura, ecologia, evitando iniziative saltuarie come quel festival etnico che l’anno scorso ha pateticamente scimmiottato le grandi rassegne.
E sull’ambiente?
C’è bisogno di maggiore rigore nella difesa dell’ambiente, delle colline circostanti e del litorale. A Trentova c’è ancora un privato che crede di essere proprietario della scogliera a mare e ha messo una recinzione di ferro e cemento impedendo l’utilizzo di uno splendido costone. Non so se qualcuno alle piccole e grandi denunce darà seguito.
Ci vuole anche una classe dirigente locale che dimostri di avere un po’ di polso…
Il timore di rompere un’amicizia, di perdere qualche voto finirà per prevalere. Le centinaia di candidati che si presentarono alle passate lezioni amministrative credo abbiamo ancora un ruolo. Sconfitti (o quasi) dal voto, dovrebbero vestire i panni dei controllori del territorio e denunciare con spirito costruttivo i loro colleghi che amministrano le cose che non vanno. Altrimenti non avranno speranze, la prossima volta, di ottenere un seggio in comune.
IL FATTO
Il 9 maggio, mentre è in borghese sul corso principale di Agropoli, seduto al bar per scambiare qualche chiacchiera con degli amici, il capitano dei carabinieri Giuseppe Genovese assiste personalmente ad un tentativo di scippo da parte di uno zingarello ad una turista. L’autore è poco più di un ragazzino, eppure mostra di non temere il capitano. Quello che si verifica pochi minuti dopo è una sorta di raid punitivo. Il padre del ragazzo, assieme ad altre tre persone, accerchia il capitano. Lo riconoscano, sanno chi è e cosa rappresenta. Eppure non ci pensano due volte ad aggredirlo e picchiarlo con violenza. Non hanno paura di lui, della sua autorità e se ne infischiano: è questo il loro messaggio. Genovese viene ricoverato in clinica, ne avrà per alcuni giorni. La sera stessa inizia la caccia agli aggressori, dileguatisi prima che arrivassero le pattuglie dei carabinieri.