Due anni e mezzo fa, il 19 maggio 2018, nel corso di una significativa cerimonia presieduta dall’Assessore alla Cultura e Turismo di Cetara, Angela Speranza, il professore Adriano Caffaro, emerito dell’Università di Salerno, donò al locale Museo d’arte, collocato nell’antica, restaurata Torre “saracena”, dodici opere serigrafiche sulla pregiata carta a mano di Amalfi (carta bambagina) di altrettanti autori salernitani. Una donazione che il Caffaro compiva con “entusiasmo e commozione”, per impreziosire la sala polifunzionale intitolata al prof. Mario Benincasa, «intellettuale sensibile, attirato dalle cose essenziali dell’esistenza e dei valori fondamentali della vita umana». Le opere erano tutte dedicate ad aspetti della Costiera Amalfitana e avevano fatto parte di una iniziativa del Caffaro risalente al luglio del 1979, “Autori per la costiera amalfitana”, con la quale gli artisti coinvolti “dovevano rappresentare – ricorda l’organizzatore in una memoria manoscritta – non soltanto la tanta celebrata bellezza paesaggistica e monumentale, ma anche affrontare le varie problematiche relative alla tutela, conservazione e valorizzazione urbanistica e ambientale” del territorio.
Riallacciandosi a questa prospettiva voluta dal Caffaro, Nicola Scontrino ricordava, in uno scritto sulla mostra, che «nella gente costiera vi è sempre il travaglio fra la conservazione della propria identità e lo smarrimento delle proprie radici» per cui il lavoro non era di facile esecuzione non dovendosi soffermare soltanto sulle bellezze che impreziosiscono questi luoghi costieri dove, scriveva Domenico Rea, «nel giorno della creazione Dio non ha dimenticato un solo particolare». L’adesione, però, dei dodici artisti partecipanti fu entusiastica, tant’è che risposero “con opere estremamente significative” e con le quali vollero ridare alla Costiera l’antico senso ispiratore. Importante ci sembra, ricordarli in rigoroso ordine alfabetico: M. Bignardi, F. Campolongo, M. Carotenuto, G. Fiumara, F. Lubelli. M. Modica, A. Petti, F.ca Poto, V. Quarta, M. Sabino, P. Signorino e Silvestry (S. Micciariello). Insomma l’elite salernitana dell’arte pittorica.
Due furono i momenti espositivi: il primo a Cetara nell’edificio scolastico e il secondo nella sede comunale di Scala dove fu organizzato anche un piccolo convegno “sull’eterno problema della tutela e valorizzazione di una stupenda penisola ricca di storia e di cultura”.
Durante quelle calde giornate estive, si affrontarono vari argomenti relativi a questo territorio acutamente definito da Francesco D’Episcopo “montuosamente marino”. In specie Mario Carotenuto si soffermò sulla figura di Manfredi Nicoletti, pittore di Cetara, mentre Mario Benincasa fece una ricostruzione storico-urbanistica della Costiera, con tutte le luci ed ombre che da sempre essa riesce a manifestare: gioco che può essere estasi per i pittori, i poeti, i narratori, ma certamente tormento per quanti vi abitano e vi operano.
In un saggio che accompagnò a mo’ di catalogo la mostra, Adriano Caffaro ripercorse, in una sorta di storia (o memoria) dell’arte locale, se pur opportunamente contenuta, il viaggio su questa costa dei vari pittori che avevano fermato con le loro impressioni cromatiche non solo il territorio, i suoi suggestivi squarci, ma anche un momento di cultura varia, sempre in evoluzione, di questo territorio così pregno di umori variegati. I pittori costieri, infatti, sapevano trasmettere con la loro pittura anche i “profumi” costieri. Gaetano Esposito, ricordava infatti Limongelli, «seppe rendere il senso immediato della realtà a tal segno da risvegliare col colore dell’onda il sentore salmastro del mare». E con Esposito rimbalzano alla memoria – e il Caffaro li passa in sintetica rassegna – Giacinto Gigante, Angelo della Mura, Gaetano Capone, Pietro Scoppetta e ancora Antonio Ferrigno, Luca Albino, Guglielmo Beraglia, Clemente Tafuri, i fratelli Pasquale e Mario Avallone, sino a giungere a Guido Gambone pittore ma soprattutto ceramista che lasciò a Vietri una eredità d’arte e di cultura, E poi vi erano i dodici della “sua rassegna” che mettevano in luce i piccoli sogni di innamorati della Costiera che seppero, con il loro segno, tracciare una sottile linea di continuità tra coloro che li avevano preceduti e il loro lavoro: come nei decenni (e secolo) precedenti in quel momento storicizzavano il territorio. «Nella complessità dei suoi livelli diversi – scriveva Enrico Crispolti – il rapporto con una territorialità salda passato e presente».
Precisava Adriano Caffaro che «l’operazione non fu una semplice mostra collettiva, né un convegno di esperti, bensì fu l’inizio di un dibattito teso non tanto alla conoscenza del territorio, bensì alla salvaguardia e conservazione di un patrimonio paesaggistico, storico, culturale, ambientale unico nel suo genere». Non a caso, infatti, nel 1997 l’Unesco ritenne di inserire questo tortuoso quanto meraviglioso esempio di paesaggio mediterraneo nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità. «Il prospettare angoli o marine della Costiera – sottolineava ancora Nicola Scontrino – ricercare dentro questo mondo nuove sensazioni è come ricercare in noi stessi la determinazione di angosce o di desideri”.
Dodici opere, dodici serigrafie pensate con affetto filiale, eseguite con il piglio dell’arte da quelle personalità del salernitano che sapevano dosare il colore, sfruttare la luce, esaltare il segno, sapevano esprimere rispetto e amore per questo tratto costiero dove signoreggia il limone in splendidi giardini sospesi sul salmastro odore di un mare di miti, leggende, storia e storie.
Vito Pinto