Caro Presidente,
in questi giorni il racconto fatto dal Palazzo dice che “quelli di Italia Viva” vogliono le poltrone. È il populismo applicato alla comunicazione. Ma è soprattutto una grande bugia. Noi Ti abbiamo detto in Parlamento che quando un Paese può spendere 209 miliardi di € non si organizzano task force cui dare poteri sostitutivi rispetto al Governo. Non si scambia una sessione del Parlamento con una diretta Facebook. Non si chiede al Consiglio dei Ministri di approvare un documento condiviso all’ultimo momento. Perché questi duecento miliardi di € sono l’ultima chance che abbiamo. Come nota acutamente Mario Draghi: “Il problema è peggiore di quello che appare e le autorità devono agire urgentemente”
La situazione è seria, Presidente. Abbiamo il più alto numero di morti da Covid in Europa. È inutile continuare con la retorica del “va tutto bene”. Nonostante la dedizione e la qualità dei nostri medici, infermieri, farmacisti, volontari siamo purtroppo sul gradino più alto di questo tragico podio. Non dobbiamo colpevolizzare i cittadini che hanno seguito con disciplina le indicazioni del Governo ma dobbiamo riflettere su che cosa non ha funzionato, a cominciare dal difficile rapporto Stato Regioni. Abbiamo sostenuto le Tue misure, anche quando non le condividevamo, perché in una fase terribile di emergenza non ci si può dividere. Possiamo soltanto auspicare che sul vaccino non si ripetano i ritardi dei tamponi o dei banchi a rotelle: l’Italia deve essere in prima fila per efficienza nella distribuzione.
Adesso cerchiamo di non essere i peggiori anche sulla ripresa economica.
Noi, Presidente, vogliamo dare una mano sui contenuti. Perché in discussione sono le idee, non gli incarichi di governo. Teresa, Elena, Ivan – che hanno lavorato bene su agricoltura, famiglie e politiche di genere, export – sono pronti a dimettersi domani, se serve. Noi infatti non concepiamo la politica come occupazione di posti. Non tiriamo a campare, vogliamo cambiare. Non ci basta uno strapuntino, vogliamo la politica.
Sfruttiamo questa opportunità. Decidiamo insieme qual è il posto dell’Italia nel nuovo mondo dell’America di Biden e della nuova Europa. E come ci posizioniamo davanti alle grandi sfide della Pace di Abramo e del secolo asiatico. Andiamo in Africa per creare sviluppo e cooperazione e non con la retorica dei decreti sicurezza del Conte-I. E giochiamo un ruolo nel Mediterraneo dove negli ultimi anni si è fatta meno palpabile la nostra presenza e più forte l’impatto di Turchia e Russia. Tutte sfide che la presidenza di turno del G20, altissimo onore cui sei chiamato, deve affrontare.
Investiamo davvero sulla sostenibilità ambientale. Ma questo non vuol dire richiamare sempre e comunque solo il super bonus del 110%. Eni, Enel, Snam, Saipem sono nel loro settore leader mondiali. Come fare a creare posti di lavoro verdi? Come rilanciare sull’economia circolare partendo da straordinarie esperienze di successo anche italiane, magari legandole alle public utilities? Come guidare il processo di COP26 che Biden ha affidato a Kerry mentre noi in Italia abbiamo uno spezzatino di competenze tra Ambiente, Farnesina e Chigi? Eppure tocca a noi guidare la COP26 quest’anno. Ricordo ciò che ha fatto Hollande quando ospitò i leader a Parigi nel 2015: noi come ci stiamo preparando? La grande sfida dell’idrogeno, la piantumazione di nuovi alberi, la lotta al dissesto idrogeologico, le nuove tecnologie a servizio della sostenibilità: su questo ci trovi appassionati e pronti alla discussione.
Ti facciamo questi esempi, Presidente, perché te li abbiamo già citati in Parlamento. Ma anche perché ti dimostrano che nel piano che hai inviato alle ministre alle due di notte, senza averlo condiviso, c’è un collage di buone proposte senza un’anima, senza una visione, senza un’idea di come vogliamo essere tra vent’anni.
Il Next Generation UE non è un cesto di risorse gratis al quale tutti possiamo attingere a piene mani, con criteri di distribuzione parcellizzati. Le risorse sono vincolate in numerose dimensioni: la destinazione, la tempistica, i risultati, le riforme di sistema che si accompagnano alla spesa. Non è un fondo di 209 miliardi, perché i trasferimenti a fondo perduto sono circa 82 miliardi. Il resto sono prestiti, e quindi equivalgono a risorse a debito. Seppur con due differenze: costeranno meno del nostro debito tradizionale e il rapporto con gli investitori privati è mediato dal bilancio comunitario.
Che senso ha spendere 88 dei 127 miliardi dei prestiti europei solo per finanziare progetti che già esistevano? Abbiamo una visione o abbiamo solo svuotato i cassetti dei ministeri con le vecchie proposte? Pensiamo di non avere idee buone da coltivare oggi? Che fine hanno fatto i documenti di Colao che avevi coinvolto con grande eco mediatica? Hai letto i tanti contenuti ottimi che la società civile ti sta mandando, a cominciare da M&M che riunisce un bel gruppo di professionisti che conoscono lo Stato e che Ti allego per comodità? Ci sono progetti che avrebbero bisogno di prendere tutti e 128 i miliardi dei prestiti. Il Tuo Governo, il Mef, ha deciso di utilizzare solo 40 miliardi per nuovi progetti: sicuro che questo sia la scelta giusta? Noi pensiamo che se ci sono buone idee, questo è il momento per finanziarle. Si fa debito? Certo. Ma l’unico modo di combattere il debito è la crescita, non i sussidi.
In questo senso ci giochiamo la carta delle infrastrutture. Il nostro Piano Shock è stato approvato solo a parole. Le lentezze non sono solo burocratiche ma anche politiche, frutto di indecisioni. Presidente, non importa essere keynesiani per capire che l’unica strada per crescere sono gli investimenti pubblici e privati. Perché non parte la Gronda a Genova? Siamo ancora vittime dell’ideologia di chi come Beppe Grillo voleva mandare l’esercito per bloccarla? E ancora: nel piano che abbiamo letto con attenzione sono scartate inspiegabilmente molte opere. Innanzitutto le metropolitane a cominciare dalla prosecuzione delle linee B1 e C di Roma e della Metro 5 di Milano. Ma tanto è ancora da fare – sia al Nord con la Venezia Trieste – sia al Sud dove tra i lotti mancanti della SS106 e l’alta velocità Salerno Palermo ci sono ancora dieci miliardi pronti da investire. Soldi che creano posti di lavoro, non redditi di cittadinanza. E che fanno PIL molto più di tante altre scelte.
Ma le infrastrutture sono un campo enorme: treni, aeroporti, porti, scuole, ospedali, fibra, carceri dove i detenuti vivono in condizioni disumane. Non è un caso se il più brillante politico della nuova generazione americana, Pete Buttigieg, sia stato indicato ieri come Segretario ai Trasporti. Su questo settore ci giochiamo il futuro più che di ogni altro. Te lo abbiamo detto assieme a Nicola Zingaretti un mese fa a Palazzo Chigi: chi come noi ha amministrato sa che una cosa è approvare un decreto, una cosa è veder partire un cantiere. Ci vuole cura per i procedimenti e per i dettagli: non bastano i like su facebook per amministrare un territorio.
Nel mese di agosto un tuo Ministro, Patuanelli, ha chiesto al professor Cingolani, già fondatore dell’IIT di Genova e tra i massimi esperti mondiali di innovazione, di contribuire con un documento che Cingolani ha inviato poi ad altri cinque ministri sul digitale. Personalmente credo che tutto ciò che Cingolani scrive, dall’intelligenza artificiale alla cyber security sia ricco di spunti di grande interesse e pronto a divenire progetto finanziabile a Bruxelles. È chiaro che su questi temi occorrono i professionisti veri. Non possiamo permetterci le figuracce che abbiamo fatto anche solo nella gestione dei siti dell’INPS durante la pandemia perché un Paese che vuole costruire il futuro con il digitale e poi si affida alla logica del click day mostra una contraddizione insanabile. Ti aggiungo che collaborando con varie istituzioni in tutto il mondo è impressionante vedere come molti Paesi stiano investendo grandi risorse – umane prima che economiche – sui temi chiave di AI, IOT, Big Data, bioscienze, robotica. Il mondo corre: noi abbiamo bisogno di una visione come quella espressa da Cingolani, non da una gestione che si perde in mille rivoli e uffici separati. Nel testo che abbiamo letto, invece, il disegno di Cingolani è annacquato e spezzettato, privo di quella unità di fondo indispensabile per una corretta execution.
E come è possibile mettere solo nove miliardi sulla sanità? In tre anni il mio Governo ha messo sette miliardi in più, senza pandemia: ancora oggi i Cinque Stelle definiscono “tagli” questo maggior investimento di sette miliardi in tre anni. Dopo una pandemia e con risorse eccezionali mettiamo solo nove miliardi in cinque anni? E come possiamo dire NO al Mes che ha meno condizionalità del Recovery Fund? Qual è la ragione del nostro rifiuto? I nostri parlamentari hanno proposto una precisa allocazione dei 36 miliardi del MES. Come si può dire no agli investimenti sulla sanità, caro Presidente? Se siamo in emergenza e abbiamo il maggior numero di morti in Europa forse dobbiamo investire di più in Sanità, non credi? Questo rifiuto ideologico del MES mi appare ogni giorno più incomprensibile.
Recuperando i denari del MES, possiamo allocare i nove miliardi originariamente previsti per la sanità su un settore decisivo per il nostro futuro: la cultura e il turismo. Bisogna smetterla con una visione ottocentesca di musei e teatri, come se questi possano essere considerati meri divertissements per annoiati signori: sono la base della nostra identità. E i professionisti che vi lavorano meritano di essere trattati come tali: gli operatori della cultura non sono quelli “che ci fanno divertire” ma coloro che ci ricordano chi siamo, perché viviamo, perché amiamo, perché siamo ancora capaci di sognare. Se davanti a un piano di 200 miliardi l’Italia mette solo 3 miliardi sulla cultura e sul turismo stiamo perdendo noi stessi. Presidente, hai idea di come stanno soffrendo alberghi, ristoranti, città d’arte, operatori?
Perché è il fattore umano a essere decisivo. E questo ci porta a richiamarTi alle responsabilità che tutti abbiamo sulla scuola. Da due mesi i nostri ragazzi non vanno più a scuola: è una tragedia, Presidente, una tragedia. Sussistono le responsabilità delle Regioni, certo; quelle del trasporto pubblico non organizzato per tempo; il grave errore di aver chiuso l’unità di missione sull’edilizia scolastica che oggi tutti dicono di voler riaprire. Ma c’è un dato di fatto: i nostri figli hanno perso un anno rispetto ai ragazzi tedeschi o francesi. Perché loro tengono aperte le scuole, a differenza nostra. È un patrimonio di competenze perse, di relazioni smarrite, di umanità infranta. Misureremo negli anni i danni psicologici per questa generazione condannata alla solitudine in una stagione in cui la relazione è tutto. Ma adesso lavoriamo per riaprire le scuole. I tedeschi e i francesi, non sono migliori di noi: se loro hanno gestito per tempo l’emergenza scolastica, cerchiamo di farlo anche noi. Prendiamo atto che servono i tamponi e i vaccini, non i banchi a rotelle e le autocertificazioni. La didattica a distanza, Presidente, è una sconfitta per tutti. Ma per noi, politici e genitori, è una sconfitta doppia.
Abbiamo il tavolo delle riforme da affrontare. Noi siamo per il maggioritario. Vogliamo sapere la sera delle elezioni chi governa. Vogliamo che governi per cinque anni. Vogliamo che abbia stabilità. Se le altre forze politiche preferiscono un sistema diverso, siamo pronti a sederci e a discuterne. Ma vogliamo farlo in modo serio. Mettendo in campo tutti i correttivi che servono, a cominciare dal superamento del Titolo V della Costituzione sul rapporto Stato Regioni che ha mostrato i limiti più evidenti proprio in questa pandemia.
È vero, come dici spesso, che la prima riforma che dobbiamo fare è quella legata ai tempi della giustizia civile. E pensare di risolverla cancellando la parola prescrizione è un controsenso. Ma è anche vero che nessuna riforma è possibile finché non torniamo alla lettera e allo spirito della Costituzione che prevede una netta differenza – troppo spesso ignorata – tra il garantismo e il giustizialismo. Non si tratta dello stesso -ismo come talvolta purtroppo hai detto anche tu, caro Presidente. Tra garantismo e giustizialismo c’è un abisso. I provvedimenti di riforma o saranno garantisti o non saranno credibili, in Europa come in Italia. E non servono task force contro la corruzione: c’è l’ANAC. E non servono unità di missione al Ministero della Giustizia: basta far funzionare gli uffici che già ci sono.
Nella mia esperienza a Palazzo Chigi il momento più esaltante è stata la scrittura di una nuova pagina sui diritti. Dal terzo settore all’autismo, dal caporalato alla cooperazione internazionale, dai diritti civili al dopo di noi. Oggi però occorre uno sforzo in più. Andare oltre la sfera dei diritti per capire che il presunto Terzo Settore è già il Primo. Rappresenta infatti i valori fondanti del Paese.
L’economia sociale è già una realtà in Italia, rappresentando oltre 360mila organizzazioni e il 5% del nostro prodotto interno lordo. Il cosiddetto non profit, con quasi sei milioni di volontari e un milione di occupati, rappresenta per la sua capillarità, flessibilità e pluralità di intervento il motore sul quale fare leva per attuare un sistema davvero resiliente.
Non si tratta di un settore cui destinare risorse in modo residuale e assistenzialistico, bensì un modello economico stabile su cui innestare i pilastri della ripartenza nel solco della sostenibilità, della transizione ecologica e sostenibile, e dell’innovazione.
Per sua natura, si tratta di un ambito produttivo finalizzato alla generazione di valore sociale in molti ambiti di interesse generale con la precipua caratteristica dell’assenza di scopo di lucro, dove la cura e la presa in carico si esplicano in attività di assistenza socio sanitaria, educazione e formazione, cultura, sport, ambiente e valorizzazione del territorio e dei beni comuni.
E questo ci porta a riflettere sulla vera emergenza di questa stagione: la crisi occupazionale. Quando saranno rimossi i divieti di licenziare vivremo una stagione di crisi senza precedenti. Abbiamo molto apprezzato che Tu abbia scelto la strada della decontribuzione, pilastro di quel JobsAct ingiustamente criticato ma che ha permesso di creare oltre un milione di posti di lavoro. E tuttavia la decontribuzione non basta. Bene la scelta di puntare su Industria 4.0, iniziativa che si deve ai ministri del mio governo Guidi e Calenda. Ma occorre anche e soprattutto una politica industriale che non può essere delegata alla sola Cassa Depositi e Prestiti, Una politica industriale coerente, dall’acciaio alle autostrade, ma ispirata da una visione non populista. E capace di creare posti di lavoro, non sussidi. Perché l’Italia torni a essere davvero una Repubblica democratica fondata sul lavoro. E non sul reddito di cittadinanza.
Permettimi di dire che i sindaci vanno sfidati su progetti di trasformazione urbana come abbiamo fatto con il piano periferie. Se dai i soldi, finiscono nella spesa corrente. Metti i soldi a disposizione dei comuni che hanno i progetti pronti e la musica cambia. La filosofia del rammendo ha ispirato i progetti di ripartenza di molte città che oggi si stanno trasformando. Mettiamo a disposizione dei sindaci un fondo lasciando alle città la responsabilità di spenderli per investimenti: dalla Roma del Giubileo 2025 fino al piccolo comune di montagna, i nostri primi cittadini devono essere sostenuti su progetti di sviluppo reali.
Infine una nota sul passato: spesso citi i Governi precedenti come parte del Problema. Se ti riferisci all’esperienza del governo gialloverde, siamo con Te: gli errori fatti, a cominciare da quota100, sono ancora oggi una pesante eredità per i conti pubblici. Ma se ti riferisci ai nostri a solo scopo di riaffermare la verità ti allego lo studio del professor Fortis sul periodo 2014-2017. Amicus Plato, sed magis amica veritas.
Ti abbiamo detto, caro Presidente, che abbiamo fatto un Governo per evitare i pieni poteri a Salvini. Non li affideremo a altri. L’insistenza con cui non ti apri a un confronto di maggioranza sul ruolo dell’Autorità Delegata è inspiegabile. L’intelligence appartiene a tutti, non è la struttura privata di qualcuno: per questo Ti chiediamo di indicare un nome autorevole per gestire questo settore. Io mi sono avvalso della collaborazione istituzionale di Minniti, Monti ha lavorato con De Gennaro, Berlusconi con Letta: tu non puoi lavorare con te stesso anche in questo settore.
Ci hai sempre chiesto di essere trasparenti e di dire le cose alla luce del sole.
Come vedi lo facciamo animati solo da un desiderio: che l’Italia torni a correre.
Di questi argomenti vogliamo parlare e su questi temi siamo pronti a confrontarci.
Un caro saluto, ci vediamo domani.
Matteo Renzi