Vivono realmente di disagi le piccole comunità di montagna? Trovarsi fuori dai grandi circuiti indica isolamento culturale, sociale, politico e di quale benessere sarà portatrice la Fondovalle? Hanno espresso la loro opinione un docente universitario, un poeta, un parroco. Tre contribuiti non identici, non contrapposti ma che rappresentano la memoria storica, la sensibilità, l’umanità di chi vive, di chi è radicato e ama un territorio. Il professore Francesco D’Episcopo, docente di Letteratura Italiana all’Università Federico II di Napoli non è salernitano, le sue origini sono abruzzesi, ma ci vive da anni ed ha imparato ad apprezzare la storia e i paesaggi del suo entroterra. ‘I viaggi per gli Alburni’ riferisce ‘sono sempre lunghissimi ma ricompensati da una grande umanità. Ricordo in particolare la testimonianza di un abitante di questi paesi lontani il quale mi raccontò di avere sempre sognato durante la sua emigrazione in America la montagna che aveva di fronte. Desiderio che si è poi realizzato in un ritorno. Io mi auguro che le nuove strade, correndo troppo in fretta, non violentino mai comunque insieme ai miti della nostra civiltà, la lentezza del tempo, la lentezza interiore delle nostre genti, che custodiscono dei grandissimi valori. È importante conservare e custodire quando di meglio il mondo passato è riuscito a creare non solo per se stesso ma anche per noi. Non vorrei si passasse con rulli di violenza sul patrimonio straordinario che queste genti custodiscono con tanto amore, ma soprattutto con tanta sacralità.’. Lucio Mandia, poeta autodidatta, vive a Sicignano degli Alburni. I suoi esempi sono soprattutto stranieri, poeti sud americani, russi impegnati, che hanno sofferto e la cui vita è stata un mezzo disastro. ‘Credo sempre, come scrissi nel 1994, che strade come di questo tipo siano bretelle fatte apposta per mantenere affaticate pance di politici. E poi ho a cuore la vita dei fratelli e delle sorelle minori o maggiori: animali, piante che verrebbero spazzati via. Se servisse a liberare una parte di popolazione alburnina dall’isolamento, dall’ombra di un recinto di montagna, anche se luminose ed illuminanti, potrei anche dire di sì: miriamo e introduciamoci nella city, sperando poi di non andare nella città solo a ingrassare cortei, a servire padroni e un falso progresso. Se vogliamo soffermarci sulla parola isolamento bisogna dire che sì certamente la nostra posizione geografica ci prima di una lettura approfondita della vita, di una partecipazione ad essa più ampia, ma non si può dire che crei isolamento culturale. Noi ci siamo isolati da soli nell’ansia e nell’indifferenza, lasciando alle spalle tradizioni, dialetti, il semplice stare insieme. Non è certamente colpa delle montagne, delle loro ombre, l’immobilità pesante come tomba. Anzi esse con le loro altezze-saggezze hanno sempre inspirato poesia e filosofia: ragionamento e cambiamento in meglio. Infine non credo che mettendoci in corpo quest’altra vena si possa sperare di stare meglio, come se la felicità passasse per il quarto, quinto piatto (terza o quarta corsia). La felicità non va ad abitare in quei corpi che vivono velocemente solo orizzontalmente. Preferirei che non giungesse questo sfregio sulle nostre terre, questa cassa da morto.’. Gli Alburni ospitano da ventotto anni Don Luigi Terranova. Santarsenese è ad Ottati che nel lontano ’76 ha iniziato il suo mandato da parroco. Ricordo benissimo le sveglie di primo mattino e le corse verso la stazione ferroviaria di Battipaglia, viaggiava tutti i giorni per frequentare delle lezioni a Roma. Così come all’ospedale, la sua Fiat 128 era ormai diventata ufficialmente l’auto del pronto soccorso. ‘All’epoca.’ racconta ‘un’autoambulanza su una strada piena di curve non andava più veloce di una vettura normale. L’idea di una Fondovalle non l’abbiamo inventata noi. Già da circa due secoli se ne parlava in una delibera del Comune di Controne, in cui si abbozzava all’intendenza di finanza, così si chiamava il ministero, il progetto di un passaggio che facilitasse l’accesso verso le zone più interne. Il problema è che su questa questione stanno alzando polveroni persone che non hanno vissuto tale condizione di disagio. Oggi non decidersi sul punto da cui farla partire è un discorso davvero politicamente ottuso.’.
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