Quella sera del 23 novembre del 1980, non fu solo l’Irpinia a tremare alle 19:34.
E nemmeno solo la Basilicata.
Quel boato, forte come il verso di un animale sconosciuto, si sentì chiaramente anche in Campania, addirittura nei paesi dell’entroterra cilentano, della Valle del Calore.
Come un caleidoscopio di colori diversi, le testimonianze più disparate si affastellano nel telaio della memoria.
A Felitto, tutta la generazione dei cinquantenni e sessantenni odierni, ricorda chiaramente cosa accadde quella sera.
Certo, anche chi è un po’ più giovane lo ricorda, ma i loro ricordi sono meno nitidi, per quanto attendibili. Alcuni di loro erano bambini molto piccoli, all’epoca, e in circostanze così drammatiche, il ricordo può tingersi con le trame della fantasia.
Molti dei cinquantenni e sessantenni di ora, hanno saputo tratteggiare con precisione il ritratto di quella sera, un po’ come noi più giovani possiamo chiaramente ricordare cosa accadde l’undici settembre, perché esistono date che sono come spartiacque, incise a fuoco nel dipinto della memoria, date che hanno cambiato il mondo per sempre.
C’è chi stava cenando, magari con un piatto di fusilli.
C’è chi stava in compagnia dei propri nonni, davanti alla TV a guardare il compianto “Novantesimo minuto” o un film in bianco e nero.
C’è chi stava passeggiando davanti al bar del paese, chi stava aiutando i propri genitori in campagna e nella stalla, chi stava studiando per la lezione e i compiti del giorno dopo.
D’improvviso, un boato. Un verso di animale, un crepitio, un verso spaventoso che sembrava provenire dal cielo o dal centro della terra.
La reazione dei felittesi fu di shock. Tutti pensarono, istintivamente, a un masso caduto dalla montagna, che sarebbe rotolato giù per il paese e avrebbe travolto tutto e tutti.
In casa, lampadari tremolanti, sedie scricchiolanti e tavoli improvvisamente spostati.
Subito, nei ricordi di tutti, c’è la corsa per uscire fuori, padri eroici pronti a prendere tra le traccia i propri bimbi e a mettere al riparo i più piccoli.
Molti felittesi passarono la notte fuori casa, davanti a un falò di fortuna per ripararsi dal freddo.
Molti, non riuscirono più a dormire per giorni, settimane o forse mesi.
A molti, fu detto anche di ritenersi fortunati a non essere morti.
Il ricordo di quella notte di orrore rimarrà, proprio in questo periodo storico in cui la nostra quotidianità è cambiata.
A dimostrazione che la storia non è fatta di rette parallele, ma di cerchi concentrici, che girano sempre intorno allo stesso punto.
Monica Acito