Quest’anno ricorre il quarantennale dal tragico terremoto del 23 novembre 1980. Sembra sia passato tanto tempo, ma se analizziamo le ferite che questo tragico avvenimento ha prodotto nella coscienza di ognuno di noi, il tempo sembra essersi fermato proprio a quel 23 novembre. Chi oggi ha superato una certa età, non può non ripercorrere con la memoria quei tragici istanti, avendo perfetta consapevolezza di come era la vita prima e di come non sarebbe poi più stata la stessa…
Era il 1979. Appena diplomato presso l’Accademia di BB.AA. di Napoli, nel corso di pittura con il maestro A. De Stefano, avevo seguito, con particolare interesse, il corso di fotografia.
Come tanti universitari, per motivi di studio avevo chiesto il rinvio del servizio militare, allora obbligatorio, fino a che, nell’ agosto del 1980, sono partito per la leva. Prima Arezzo e poi Scandicci, la vita militare mostrò il suo volto duro e implacabile. Il 22 novembre, per la prima volta ho tirato un sospiro di sollievo: mi venne concessa un permesso “5+2”. Non fosse stato per quella prima licenza, forse, la mia vita avrebbe avuto un altro corso. Perché tutto è partito da lì. Il destino ha voluto che io vivessi in pieno e in prima persona tutto il dramma, fatto di morte e distruzione, generato dal terremoto del giorno successivo, il 23 novembre 1980. Non feci più rientro in caserma.
Paradossalmente, in un momento in cui televisioni e giornali seguivano gli accadimenti giorno e notte, avrei potuto mettere in evidenza la mia abilità di fotografo: bastava imbracciare la macchina fotografica e percorrere le strade della tragedia per documentare lo stato di morte e di distruzione che il sisma aveva prodotto. Ammetto di non aver avuto il coraggio necessario per fare ciò. L’emergenza imponeva di collaborare con le poche strutture di soccorso presenti, così, anche se innamorato della fotografia deciso a seguire un giorno le orme del mio maestro, al posto della macchina fotografica, ho imbracciato gli attrezzi da lavoro necessari per soccorrere chi si trovava in difficoltà. Ancora oggi non mi pento di quella scelta.
I giorni passarono e il senso dell’evento assumeva ogni giorno di più la dimensione di una vera e propria tragedia. Mi piace ricordare in quella fase lo slancio di solidarietà che si era attivato in tutto il paese, senza distinzione di classe, ognuno contribuiva nel modo che più gli era congeniale. Si andava avanti senza sosta e nei momenti di tranquillità riuscivo a ricavare tempo da dedicare alla mia attività di fotografo, soprattutto nel documentare ed essere testimone degli eventi più significativi.
Tra i tanti eventi non posso non ricordare la visita, a Castelnuovo di Conza, dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini e del direttore del quotidiano “il Giornale”, Indro Montanelli. Ci fu una grande partecipazione di massa e tutti vollero, con la propria presenza, ringraziare il presidente Pertini che aveva lanciato un grido d’allarme per il ritardo con cui erano arrivati i primi soccorsi.
La visita a Valva del Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, sua Eccellenza Frà Angelo de Mojana, attirò grande attenzione e stupore per il solo fatto che una personalità così importante avesse voluto visitare e omaggiare tutti gli operatori della nostra comunità. L’Ordine di Malta, nei locali dell’asilo gestito dalle suore, aveva allestito una cucina da campo che forniva pasti caldi a tutta la popolazione, mentre il complesso di Villa d’Ayala, con il parco e il castello, sempre proprietà dell’Ordine di Malta, ospitava il campo base di volontari intervenuti da tutte le parti del mondo.
Inoltre, l’evento che più di tutti ha lasciato un segno importante nella memoria di tutti, è stata la visita nelle zone terremotate del segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, il quale, insieme a tanti altri politici, tra cui Pio La Torre, volle visitare i paesi maggiormente colpiti e intrattenersi a parlare con la gente del posto. Successivamente, dopo la sua scomparsa, le foto di questa visita e quelle del suo funerale furono raccolte in un libro dal titolo “La presenza e l’addio”, con le foto di un altro fotografo: Antonio Tateo.
Gli sforzi per ritornare ad una vita quasi normale si intensificavano. Arrivò la primavera e con essa i primi segnali di speranza e di rinascita. La vita sembrava lentamente riprendere i suoi ritmi abituali. Dopo la fase di emergenza iniziò la fase della ricostruzione delle prime case e dei centri abitati insieme a tutte quelle opere necessarie per ricostituire il tessuto sociale delle nostre comunità.
È in questa fase che la fotografia divenne sempre più la mia attività principale.
Iniziai un percorso a ritroso ricercando e documentando i luoghi abbandonati a causa del terremoto. La semplicità delle case rivelava al proprio interno i segni ancora visibili di una civiltà ormai scomparsa per sempre: la civiltà del mondo contadino. Le fotografie scattate fanno parte di un lavoro, una raccolta di immagini, “Memoria sui muri”, ancora oggi in gran parte inedito.
Lo scorrere del tempo ci porta lentamente ai giorni nostri.
Nel 2000, in occasione del ventesimo anniversario, per ricordare quel tragico evento, la Provincia di Salerno incarica il maestro Mimmo Jodice di organizzare un evento fotografico. Il maestro Jodice coinvolge i fotografi più importanti che avevano raccontato con le loro immagini il dramma di quella tragedia quindi dà vita ad una bellissima mostra ed un catalogo della Motta editore, dal titolo “Fate presto”. Sarà inaugurata il 23 novembre 2000 a Santomenna, alla presenza del maestro Jodice, del Presidente del Senato Nicola Mancino, del Presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, del Presidente della Provincia Alfonso Andria e tante altre autorità civili e militari.
Il titolo della mostra “Fate presto” ricorda la prima pagina del quotidiano “Il Mattino” del 26 novembre 1980. L’artista Andy Warhol ne fece un’opera d’arte che fa parte di un’altra splendida collezione “Terrae Motus”, ideata dal gallerista napoletano Gianni Amelio e attualmente ospitata presso la Reggia di Caserta.
Oggi, a 40 anni di distanza, queste immagini ci ricordano, con la stessa forza evocatrice, quanto dolore, morte e distruzione abbia creato il terremoto del 23 novembre del 1980, determinando per sempre la distruzione del nostro passato, delle nostre radici, lacerando le nostre coscienze.
La speranza è che proprio queste immagini lascino, in ognuno di noi, un segno profondo nella nostra memoria.
Vito Falcone