“Senza se e senza ma. Vogliamo vaccinare le nostre bufale con il Rb51”. È questa la parola d’ordine sulla quale nasce l’associazione “Utat”, Unione per la tutela degli allevamenti zootecnici della Piana del Sele e delle Aziende di Trasformazione. L’Utat raccoglie gli allevatori zootecnici e gli imprenditori facenti parte della filiera agroalimentare zootecnica. Sulla falsariga dei Cobas del latte, L’Utat, capeggiata dal professore Franco Peduto, presidente de “La Castellese” di Albanella, si muove su di una linea di forte contestazione alle attuali organizzazioni professionali agricole ed allo stesso modo scientifico che ruota intorno al settore. ‘E’ venuto il momento di fare da soli per difendere le nostre bufale. Aziende costruite in decenni di sacrifici non possono andare in fumo per l’acritica adesione al credo di professoroni che ad oggi non ci hanno risolto i nostri problemi.’ ha detto Peduto. Sulla stessa lunghezza d’onda è il veterinario Sergio Gallo: ‘Nessuno ha finora dimostrato come i vaccini che hanno funzionato altrove possano fallire sulle bufale.’ ‘Vogliamo essere uguali a Caserta.’ ha detto un altro allevatore. ‘Vogliamo vaccinare ma nella legalità. Lo dice l’Europa, lo ha appena recepito il parlamento italiano, la regione ha accettato. È ora di passare all’azione.’ continua a dire Peduto. Perché il fatto è che mentre si discute c’è chi, usando i canali paralleli dell’importazione ha già vaccinato i propri allevamenti. La “dose”, ancorché di contrabbando costa appena 7 euro e mezzo e arriva, tramite i corrieri, da una grossa industria specializzata straniera. Quegli allevatori che insistono sulla linea degli abbattimenti generalizzati dei capi malati secondo me hanno già vaccinato. Sono lì in agguato pronti a venderci le giovenche di bufala “ufficialmente indennni” a 3 o 4 mila euro. Altro che lungimiranti benefattori.’ Denuncia un altro anonimo bufalaro. ‘Spiegatemi perché solo gli allevamenti di Altavilla ed Albanella sono presi di mira dalla brucellosi.’ dice un altro. ‘E’ il successo commerciale dei nostri caseifici che ha scatenato veri e propri untori della malattia. Vogliono farci pagare caro il fatto che siamo diventati bravi ed abbiamo imposto al mercato la mozzarella di qualità.’. Insomma, come avevamo già emblematicamente titolato nella prima pagina dello scorso numero di questo giornale: “Vogliono rubarti la mozzarella”. Rimane ancora sul tappeto il tema di cosa farne delle bufale già attaccate dalla brucellosi. Già, perché più di uno ha continuato a ripetere la ricetta “casertana”, ovvero l’abbattimento dei soli livelli di controllo sul settore. Una scorciatoia pericolosa. Perché tagliare il ramo sul quale si sta comodamente seduti porta sempre allo stesso risultato. E in gioco c’è anche un indotto da 20 mila posti di lavoro.
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