Un gesto che assurge a simbolo acquista un potere rivoluzionario. È l’impeto a una ribellione verso ciò che non può essere mai giustificato.
Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. La ricorrenza è stata istituita il 17 dicembre del 1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ma, come molte altre celebrazioni istituzionali, riceve la sua legittimazione da un fatto storico risalente al 1960: l’uccisione delle sorelle Mirabal. Tre donne della Repubblica Dominicana, considerate scomode dal regime del generale di brigata Guardia Nazionale Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), dittatore.
Quella di Trujillo fu tra le dittature più sanguinose dell’età contemporanea e la vicenda delle sorelle Mirabal è solo una delle vicende di sopruso, oppressione e violenza che i suoi oppositori subirono.
Recandosi a far visita ai loro mariti in carcere, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Furono portate in un luogo isolato, e qui, a bordo dell’auto, torturate, stuprate, massacrate a colpi di bastone e strangolate.
Il brutale assassinio fu fortemente sentito dall’opinione pubblica, tanto che “il caso Mirabal” divenne simbolo della rivoluzione al regime.
La memoria dell’atrocità del trattamento ricorda a chiunque che qualsiasi forma di violenza va contrastata. Ad oggi il numero di donne che ha subìto almeno una forma di violenza fisica o sessuale ammonta a 2 milioni 435 mila, l’11,3% delle donne dai 16 ai 70 anni.
Sono 1 milione 517 mila (il 7%) le donne che hanno subìto violenza fisica. Le vittime della violenza sessuale sono 1 milione 369 mila (il 6,4%); le donne che hanno subìto stupri o tentati stupri sono 246 mila, (1,2%) (fonte Istat).
Una scarpetta rossa e ancora: le donne di Juarez, la città femminicida, idea dell’artista messicana Elina Chauvet. E il colore del sangue versato, senza avere nessuna colpa.
Largo Mirabal a San Giovanni è solo un angolo regalato alla memoria. Una panchina, una fontana, una scultura. Un posto in cui sedersi, lasciare il ricordo fluire, e fissarne gli esiti in un’immagine sola, che rifiuta ogni forma di abuso sulle donne. Lo spazio è stato inoltre donato al paese dall’intera comunità, in modo totalmente gratuito, moltissime sono state le collaborazioni, sia nella sistemazione dell’area che nel suo allestimento. Chi ha potuto e voluto ha partecipato attivamente, e così, Largo Mirabal è anche diventato un esempio di cittadinanza condivisa, di comune impegno per arricchire il borgo di un percorso della memoria. Come i suoi vicoli, anche largo Mirabal conduce ad un’altra prospettiva sul mondo, e sulle modalità di pensare alla donna e alla sua persona. La violenza esercitata in modo massivo su una categoria sociale è dominanza e la parità di genere non dovrebbe più essere messa in discussione. Un paese che sperimenta la bellezza del prendersi cura del suo territorio e contemporaneamente sceglie di dire “no” alla violenza di genere, seppur con un piccolo simbolo, ha fatto due volte bene.
Francesca Schiavo Rappo