Era il 3 agosto 1913 quando il Comune e i cittadini di Amalfi donarono la bandiera da combattimento al Regio Incrociatore, che portava il nome dell’antica Repubblica marinara. In una nota esplicativa si legge che la bandiera tricolore è “costituita da un solo pezzo di seta finissima” appositamente realizzata da una filanda di Como, attualmente gelosamente conservata nel Museo Municipale di Amalfi. Al centro riporta lo stemma sabaudo che fu eseguito a ricamo dalla suora amalfitana Stefanina Merola delle Figlie della Carità nel convento di Materdei a Napoli.
Per ben otto anni la bandiera sventolò sul pennone alto della nave facendo ritorno ad Amalfi nel 1921, in seguito al recupero dai fondali marini veneziani dove si era adagiato l’incrociatore dopo essere stato, a tradimento, colpito a morte da un siluro tedesco nelle acque dell’Adriatico durante la prima guerra mondiale. Una pagina di storia di centocinque anni fa! Era, infatti, la notte del 7 luglio 1915 quando il regio incrociatore lasciò Venezia scortato dai cacciatorpediniere Calipso e Procione per un pattugliamento nell’Adriatico quale deterrente contro i sommergibili austro-ungarici di stanza a Pola. Comandante era il Capitano di vascello Giacomo Riaudo. Alle 4,05 la nave fu colpita nella parte centrale da un siluro lanciato dal sommergibile tedesco U26 mascherato da austro-ungarico UB14, comandato dal C.C. Heins von Heimburg. La Germania ancora non era in guerra con l’Italia! Colpita al centro, dove erano le caldaie, la nave in sei minuti si adagiò sul fianco e in dieci minuti affondò nonostante gli sforzi per salvarla del comandante e dell’intero equipaggio. Nel diario di bordo il comandante Riaudo annotò: «Alle tre avevo ordinato che tutta la gente fosse ai posti di combattimento», quindi vi era la massima allerta. Il siluro tedesco arrivò all’improvviso e lanciato da poca distanza. Dopo l’esplosione il comandante ordinò di porre tutta la barra a dritta per evitare un altro siluro, poi, resosi conto che non c’era più niente da fare ordinò l’abbandono della nave. Un superstite così ricordò quei tragici momenti: «Dopo aver dato l’ordine del ‘si salvi chi può’, il comandante, col pianto nella voce, abbandonando per ultimo la nave, disse “Amalfi, addio!”. Poi la nave si abbatté sul fianco ferito e in pochi minuti affondò, mentre dall’equipaggio ormai in mare si alzò l’unanime grido “Viva l’Italia”». Furono i due cacciatorpediniere di scorta a raccogliere i 652 superstiti, 67 perirono.
Varato il 5 maggio 1908 nel Cantiere della Foce di Genova della famiglia Odero, il Regio Incrociatore “Amalfi” era stato assegnato il 30 agosto 1909 come Forza Navale nel Mediterraneo al comando del Capitano di Vascello Carlo Scotti. Costato quasi 19 milioni di lire di allora, era lungo 140 metri e largo 21, navigava ad una velocità di 23 nodi, per l’epoca notevole, era corazzato con lastre d’acciaio di 200 mm. Era armato di sei torri binate di cannoni, tre tubi lanciasiluri ed altri armamenti. Con il motto “Ardimento e impeto”, la nave ebbe il suo primo impiego bellico durante la guerra italo-turca del 1911-12 combattendo nello stretto dei Dardanelli, in Cirenaica, in Tripolitania e nel Mar Egeo.
Con l’unanime consenso del Consiglio Comunale e di tutta la popolazione di Amalfi, il Sindaco della città Antica Repubblica Marinara, il 23 dicembre 1908, inviava una lettera al Ministro della Regia Marina Militare comunicando il desiderio di tutta la cittadinanza di offrire al Regio Incrociatore “Amalfi” la bandiera di combattimento. E richiamava l’evento del 4 novembre 1883 quando, ancorato nella rada di Amalfi, il Regio Incrociatore “Flavio Gioia” ricevette dall’allora sindaco cav. Ferdinando Gambardella la bandiera di combattimento «in seta, con stemma della città di Amalfi nel campo verde e con ricamato a lettere d’oro la leggenda: “Amalfi al Flavio Gioia”».
Di buon grado il Ministro della Regia Marina accettò la proposta del Sindaco di Amalfi e il 3 agosto 1913 la cerimonia di consegna poté concretizzarsi nella cittadina costiera dopo che l’incrociatore era rientrato dalla crociera nel Mar del Nord dove aveva scortato il panfilo “Trinacria” con a bordo i reali d’Italia.
Le cronache dell’epoca raccontano che fu un soleggiato mattino d’estate e il tratto di mare prospiciente Amalfi era pieno di imbarcazioni, mentre sul lungomare si accalcava la folla di amalfitani e cittadini della Costiera giunti ad Amalfi per il fausto evento.
Un cronista di quegli anni scrisse: «Alle dieci, preceduto da un colpo a salve, si è affacciata dal capo di Atrani, la “galeotta” del marchese Mezzacapo, coi 24 vogatori di Maiori in costume e con le bandiere nazionale e amalfitana sulla poppa. Poco dopo, salutata dalle salve di artiglieria, si è ancorata in rada la Reale Nave “Sardegna” con a bordo il contrammiraglio Baggio Ducarne ed il sottosegretario di Stato alla Marina, S.E. Bergamasco i quali, insieme con il sindaco cav. Nicola Casanova, si sono recati subito a bordo dell’Incrociatore per porgere il saluto della città… si sono quindi recati al Comune accoltivi dagli entusiastici applausi del popolo accalcato nelle vie». Prelevato il “cofano” con la bandiera e la pergamena commemorativa, una compagnia da sbarco dell’Amalfi si incaricò di portare il tutto al porto su un affusto di cannone e poi con la “galeotta” a bordo del Regio Incrociatore.
Rifacentesi agli antichi “forzieri” delle navi amalfitane, il cofano di bronzo dorato era stato ispirato da Pietro Scoppetta, pittore di Amalfi e in specie della Valle dei Mulini, e realizzato dallo scultore napoletano Nicola Zavatti. Oltre alla riproduzione dello stemma della città, nelle varie formelle era raccontata l’invenzione della bussola, la fondazione dell’Ordine dei Cavalieri Ospitalieri ad opera di fra Gerardo Sasso di Scala e inoltre le “Pandette” e le “Tavole Amalfitane”, leggi di navigazione che Amalfi aveva donato al mondo dei nauti nel pieno splendore del suo dominio marittimo. Sul coperchio era la riproduzione dell’affresco di Giulio Romano, dipinto in Vaticano nella Sala dell’Incendio di Raffaello che raffigura la Battaglia di Ostia dell’846 contro i Turchi alla quale avevano partecipato anche galee amalfitane. Fu anche preparata una pergamena artistica ad opera di Gennaro Villari e Ludovico Sangermano, con testo del Prof. Enrico Proto di Atrani. “A folle volo” arrivarono sotto l’incrociatore “Amalfi”, accolti dalle salve di cannone, dalla marcia reale e dagli applausi di tutti i rematori delle numerose barche che avevano fatto corona attorno alla nave. Per l’occasione il Prof. Pasquale Gambardella, fine cultore di musica, in occasione dell’inaugurazione della bandiera di combattimento della Real Nave “Amalfi”, scrisse l’“Inno alla Bandiera”.
Giunta a bordo dell’incrociatore, la bandiera fu consegnata dal sindaco all’Arcivescovo di Amalfi Mons. Angelo Maria Dolci, per la benedizione di rito, e dal Presule al comandante della nave che ne ordinò l’alza bandiera, mentre tutt’intorno erano salve di cannoni, applausi e “Viva l’Italia”. Il Ministro della Marina Enrico Millo telegrafò le sue felicitazioni alla patriottica città di Amalfi.
Il 2 agosto 1915, a pochi giorni dall’affondamento, si organizzò una prima immersione di palombari e vi fu un evento eccezionale: la bandiera di combattimento era ancora al suo posto, sull’albero del Regio Incrociatore. Fu subito recuperata e, nel 1921, fu restituita alla Città di Amalfi, dove è ancora custodita a futura memoria.
Vito Pinto