La scuola che cambia
“Nella vita normale scuola, casa e lavoro sono entità separate. Ora tutto è fuso in un unico luogo”: questo afferma Dylann Gold, professoressa di psicologia clinica al Dipartimento di Psichiatria infantile e adolescenziale dell’Hassenfeld Children’s Hospital at N.Y.U. Langone. Al New York Times l’esperta affronta un argomento sempre più sentito dalle mamme e dai papà: la sovrapposizione del ruolo di insegnante e genitore durante la pandemia. L’articolo si intitola “My Son Thinks I’m His Teacher” (“Mio figlio pensa che io sia la sua insegnante”): “Quando scuola e casa sono nello stesso posto – recita la didascalia – è importante tracciare il confine tra genitore ed educatore”.
Quello che accade alla giornalista Michelle Hainer è quello che accade a tante famiglie alle prese con la didattica a distanza: “Una mattina ho sentito la maestra di mio figlio chiedergli come fosse arrivato alla risoluzione di un problema di matematica. Lui ha risposto: ‘Perché vado a scuola da quattro anni’. Dopo la lezione mi sono seduta accanto a lui, gli ho spiegato perché la sua risposta fosse stata inappropriata e poi ho mandato una mail di scuse all’insegnante. Prima che il coronavirus arrivasse nelle nostre vite, non ero consapevole di quello che accadesse a scuola. Ma ora i confini sono diventati una cosa del passato”.
La scuola è entrata a gamba tesa nelle case, le mamme e i papà sono diventati spettatori silenziosi delle lezioni dei figli e quest’ultimi si sono abituati ben presto alla loro presenza defilata, ma costante. Così gli equilibri si sono alterati e le richieste d’aiuto ai genitori sono aumentate: “Ogni mattina sento ‘Mamma, puoi aiutarmi?’”, scrive la Hainer. E la dottoressa Gold spiega: “Quando i bimbi vanno a scuola devono chiedere aiuto alle insegnanti, questo significa esporsi e rendersi vulnerabili. Ma quando le mamme e i papà sono disponibili, è più facile chiedere a loro”.
Dal momento che non si sa per quanto tempo ancora i piccoli saranno soggetti a più o meno brevi periodi di didattica a distanza, è bene stabilire subito dei confini, far capire loro che i genitori sono lì, è vero, ma non sono gli insegnanti, non hanno il ruolo di educatori scolastici. Come fissare questi paletti? Gold consiglia, come prima cosa, di creare una rigida routine nella quale il tempo per la scuola e il tempo per il gioco o per la famiglia siano nettamente distinti. Questo aiuta i piccoli a concentrarsi maggiormente sullo studio quando è il momento di farlo. Si può creare anche uno schema visivo (con disegni per i bambini più piccoli) nel quale vengano indicate tutte le cose da fare prima, durante e dopo la scuola, anche se questa si svolge a casa.
Madeline Levine, psicologa e autrice del libro “Ready or Not: Preparing Our Kids to Thrive in an Uncertain and Rapidly Changing World” afferma che la didattica a distanza e la sua intrusione negli orari che solitamente trascorriamo lontani dai figli possa dare la possibilità ai genitori e ai bambini di imparare di più gli uni sugli altri, generando una maggiore connessione e intimità. “Vivendo, lavorando e andando a scuola nello stesso luogo, i bambini possono avere una percezione migliore del duro lavoro dei genitori e possono vedere come affrontano situazioni stressanti, tra deadline e meeting”, aggiunge.
Secondo Gold, per far sì che la didattica a distanza non venga vista come un grosso ostacolo, i genitori devono abbassare l’asticella delle proprie aspettative e abbandonare la routine di un tempo: inserire altre mansioni, come quella di correggere i compiti la sera, ad esempio, è normale, ed è un cambiamento da accettare. “Le mamme e i papà devono essere realistici – conclude – e perdonare loro stessi se non riescono a spuntare tutte le voci sulla lista delle cose da fare o a mantenere gli standard della vita prima della pandemia”.
fonte: Un articolo dal New York Times di Ilaria Betti Da huffpost