È certamente il paesaggio immaginifico della Diva Costa, l’ospitalità della gente che vi abita, l’atmosfera particolare, tiepida, affabulante, che ti prende, coccola, rapisce i sensi e sa solo sussurrare “amami”, a favorire un amore intenso cui non sono sfuggiti personaggi celebri della letteratura, dello spettacolo, dell’arte. Basti ricordare l’idillio, a volte “vivace”, tra Roberto Rossellini e Anna Magnani al fiordo di Furore, di Greta Garbo e Leopold Stokowsky, nonché di Maurits Cornelius Escher e Jella Umiker a Ravello, di Irene Kowaliska e Armin T. Wegner, di Andreina Pagnani e Alberto Sordi ambedue a Positano.
E poi c’è l’amore tra Osvaldo Valenti e Luisa Ferida (nome d’arte di Luisa Manfrini Farnè), due attori che furoreggiarono negli anni trenta e primi quaranta del novecento, e di cui si è sempre tentato di far dimenticare la loro storia d’amore vissuta sino alla morte.
Osvaldo Valenti e Luisa Ferida era la coppia più famosa del Cinema dei telefoni bianchi e grandiose furono le loro interpretazioni. Tra i tanti film girati insieme ricordiamo “La Corona di Ferro” di Blasetti, “La Bella Addormentata” di Chiarini, “Fari nella nebbia” di Franciolini, “Gelosia” di Poggiali. E ancora: “Ettore Fieramosca”, Un’avventura di Salvator Rosa” del 1939 in cui la coppia recitò per la prima volta insieme, “La cena delle beffe”, “La Locandiera”. Lungo è l’elenco dei film da loro interpretati, uniti come erano non soltanto sul set, ma anche nella vita.
Due attori con caratteristiche diverse, provenienti da mondi diversi, eppure così appassionatamente uniti, tanto da diventare inaccettabili per quel lieve e spesso fatuo mondo di celluloide di quegli anni. Lui, nato a Costantinopoli nel 1906, era l’interprete dei ruoli del bello e crudele, dell’affascinante perverso, fatale e spietato, lei di Castel S. Pietro Terme, nel bolognese, era la diva sensuale e torbida, la bellissima dai grandi fianchi, dai grandi seni, dagli occhi di fuoco, dal temperamento passionale, la più popolare di allora, più delle rivali: Calamai, Duranti, Valli. Tutti e due, però, amavano profondamente la Costiera Amalfitana, dove venivano spesso e forse furono tra i primi a giungere in quegli anni su quest’ansa di costa. La cittadina che più amavano e frequentarono fu Maiori, ospiti in casa di un “certo D’Amato di cui erano diventati amici”. Il dottor Giuseppe Della Pietra, già sindaco di Maiori, ricordava: “In effetti tutti li trattavamo da amici a Maiori, perché erano sempre gentili con tutti. Io ho un ricordo, seppur nebuloso, di un episodio cui fui presente: mi trovavo al Circolo Sociale, quando la coppia entrò e chiese, con estrema gentilezza, se potesse farlo; le fu risposto che, non essendo un Circolo a scopo di lucro e tantomeno privato, erano colà benvenuti tutti coloro che venivano in pace e serenità d’animo. Entrambi vollero ringraziare i presenti con una calorosa stretta di mano”. E a Maiori decisero di costruirsi una villa, il loro “nido d’amore” su un piccolo ripiano di terra a riparo di roccia e con affaccio sul mare, distante pochi metri da quella storica Abbazia di Santa Maria de Olearia, allora ridotta a poco più di sacrario di antiche sepolture di monaci santi.
“Peccato – ricordava Vincenzo Savastano, ex guardiano dello speco e della Villa – che i due artisti non siano riusciti ad abitarla. Infatti, poco prima che i lavori fossero definitivamente terminati, i due dovettero andar via da Maiori, perché era imminente lo sbarco degli alleati”.
Osvaldo Valenti e Luisa Ferida ritornarono nella loro casa di Milano, in attesa dello svolgersi degli eventi… Eventi che portarono i due, ancor giovani, avanti ad un plotone di esecuzione, dopo un sommario processo. Maria Mercader, ex moglie di Vittorio De Sica, raccontando di quegli anni, ebbe più volte a dire: “Dopo il 1943 la Repubblica di Salò cercò di ricostruire una specie di Cinecittà a Venezia e pertanto tentò di portarsi i registi e gli attori più famosi. Ma abboccarono all’amo solo Valenti e la Ferida”. Troppo poco per giustificare la “giustizia storica”. Cosa li aveva spinti ad aderire alla richiesta di Mussolini, non avendo mai avuto la tessera fascista? Non obblighi, quindi, né lusinghiere prospettive, ma semplicemente non avevano più una lira, solo debiti e crediti difficilmente esigibili, in un settore entrato in coma il 25 luglio. Qualcuno li convinse che a Nord sarebbe ricominciato tutto, che avrebbero fatto altri film, guadagnato altri milioni. Bastava. Inoltre Valenti fece molti passi falsi dovuti alla sua vanità e sventatezza. Fu così che i due, sicuri di non aver commesso alcun crimine, si consegnarono ai partigiani. Capitarono, però, nelle mani di Vero Marozin, più che un partigiano un bandito che prima di disfarsi dei due prigionieri provvide a depredarli di tutto quanto avevano con loro. Il 21 aprile del 1945 Marozin incontra Pertini membro del CLN il quale chiede notizie dei due; avutane assicurazione rispose: “Allora fucilali e non perdere tempo. Questo è un ordine tassativo del CLN. Vedi di ricordartene”. Un ordine che nessuno ha mai visto, ma a Marozin, in quegli anni, due cadaveri in più non pesavano di certo.
È il 30 aprile 1945, un partigiano con il fazzoletto rosso intorno al collo disse loro che li trasferivano a San Vittore. Invece… Dopo averli fatti salire su un camion coperto, li fecero scendere avanti al nr.15 di via Poliziano a Milano. A soli 31 anni Luisa Ferida, bellissima attrice, si trova così ingiustamente faccia al muro, davanti al plotone di esecuzione comandato da Marozin, capo della Brigata partigiana Pasubio. In una mano stringeva una scarpina azzurra, che aveva acquistata per il figlio Kim, morto poco dopo la sua nascita e che doveva riscaldare i piedi del futuro bimbo che aveva in grembo. Al suo fianco, è Osvaldo Valenti, 39 anni, che cerca di farla inutilmente sorridere, pur consapevole del destino ormai segnato. Quasi in un sussurro d’amore dice: «Hai detto che volevi seguirmi dovunque, fino alla morte. Questo è il momento».
La notte era fredda e umida, era rimasta nell’aria una lieve cortina di nebbia: furono i fari di un camion ad illuminare i loro volti che si guardavano con intensità mentre partiva la scarica di mitra. Caddero riversi nel sangue, erano già pronti i cartelli con la scritta in matita rossa: «I partigiani della Pasubio hanno giustiziato Osvaldo Valenti e Luisa Ferida». Accorse un prete richiamato dagli spari, tracciò il segno di croce, poi chiamò un’ambulanza per far portare via i due cadaveri. Erano le 23,35, da una casa poco distante venivano le note di una canzone allora famosa: «Illusione».
Un processo si aprì dopo la guerra e in sede di interrogatorio lo stesso Marozin affermò: “La Ferida non aveva fatto niente, veramente niente”. Nella sentenza della Corte d’Appello di Milano si legge che Osvaldo Valenti e Luisa Ferida non furono giustiziati, ma assassinati. Sovviene alla memoria quanto Voltaire scriveva nelle sue lettere: “ai vivi si devono dei riguardi, ma ai morti si deve soltanto la verità”.
Voci sommesse di popolo dicono che, nelle notti di luna piena, a volte sulla strada costiera, nei pressi dell’Abbazia di S. Maria de Olearia, si vede la figura di una giovane e bella donna che guarda la villa e piange…
Vito Pinto