L’esperienza del Corona virus e le modalità di gestione della pandemia dovrebbero aiutare a riflettere sulle vere esigenze della popolazione e non essere una continua tentazione per soddisfare indicibili interessi della “politica politicante”, come è solito affermare un noto amministratore, abile negli annunzi ai quali corrispondono però diafani risultati, effimeri e discutibili se sui social questo fine settimana si è letto il seguente annunzio “senza sanità e senza istruzione: benvenuto nel Cilento, la terra senza futuro”! Necessita senz’altro una migliore politica orientata dalla strenua difesa del primato della persona, come abbiamo letto nel passo del vangelo proposto domenica scorsa alla nostra riflessione, meditazione di sorprendente attualità per gli impliciti riferimenti simbolici agli “erodiani” di oggi. Gesù coglie bene la situazione; li apostrofa: “Ipocriti, perché mi tentate?” e li ridicolizza considerandoli dei commedianti. Con poche battute l’evangelista (Mt 22, 15-22) descrive la situazione con implicita ironia per la richiesta della moneta. Gesù non ne possiede; mentre, pur proclamandosi puri osservanti, i farisei violano la norma. Al loro gesto fa seguito la famosa risposta: restituite a Cesare quello che è suo e date a Dio quello che è di Dio, due verbi per sottolineare la differente portata dell’azione. Gesù dimostra di non essere un messia politico e, contemporaneamente, invita i suoi seguaci ad essere leali cittadini. Egli afferma la netta separazione tra sfera religiosa e sfera politica e invita a rispettare le legge ricordando che all’origine e al di sopra dell’autorità umana c’é Dio, quindi i valori politici ed economici non possono prescindere da quelli religiosi, come non è accettabile l’invadenza della religione sulla politica, un equilibrio di elementi posti in dinamica relazione.
L’affermazione conserva la sua evidente attualità. Infatti non bisogna dimenticare di rendere a Dio ciò che è di Dio; quindi a Cesare possono appartenere cose, mentre le persone sono di Dio; nessun potere terreno può condizionare la loro libertà. Gesù evita qualsiasi rischio di politicizzare Dio o di sacralizzare il potere politico. L’uomo è invitato a dare a Dio se stesso interamente e obbedire a lui; a Cesare deve restituire quanto gli appartiene, non il proprio cuore!
Un invito in questo senso a tutti i politici ed amministratori lo rivolge papa Francesco con l’enciclica appena pubblicata. Egli offre una panoramica estremamente attuale della situazione nella quale vive l’umanità e dedica il quinto capitolo alla politica proponendo un’analisi che aiuta ad individuare quale, a suo giudizio, possa risultare la più idonea. Egli parte dalla premessa che la fraternità, animata da amicizia sociale, è il programma più appropriato per realizzare il bene comune. Purtroppo un subdolo populismo, abile nel celare inconfessabili interessi, conculca i più deboli ed insidia le culture alla ricerca di consenso per conservare potere. A questo fine non si esita a sollecitare egoistiche inclinazioni, spesso molto grossolane, per condizionare con la paura e spogliare il popolo delle sue preziose qualità e bloccare la fiducia che consente di allargare prospettive ed arricchirsi di nuove esperienze. Quindi, invece di cavalcare crisi insidiose come quella legata alla pandemia, il buon governo deve impegnarsi innanzitutto a garantire il lavoro a tutti perché l’aiuto migliore per garantire ai poveri irrinunciabile dignità. Lavoro per tutti è le vera misura del progresso di una società; da qui la necessità di superare limitanti visioni liberali. Ad esse è necessario opporre la vera pratica della carità, sempre includente in una società bene organizzata, che si segnala per la propria creatività nell’esaltare la libertà ed attenta ad una realistica analisi delle opportunità. Ovviamente, a base di questa azione programmatica è necessaria la conversione dei cuori e superare ogni fragilità che rimanda alla chiusura egoistica nell’immanenza del proprio io.
Urge un nuovo progetto educativo per radicare abitudini solidali e rivedere il mantra che ritiene il mercato capace di risolvere tutti i problemi; infatti, reiterate ricette neoliberali hanno dimostrato la loro vacuità. Se è evidente la necessità di una attiva politica economica, certamente essa non va identificata con la speculazione finanziaria che rifugge da ogni minima considerazione solidaria praticando reciproca fiducia. La sua applicazione non sa assegnare il giusto valore, riconoscendone l’indispensabile ruolo, ai movimenti popolari che animano un attivo ed efficace volontariato. Solo una solidarietà che parte dal basso s’impegna per realizzare uno sviluppo integrale.
La funzione dei protagonisti della vera pace sociale fornisce anche un grande contributo alla democrazia, che oggi appare sempre più atrofizzata, minacciata dal nominalismo di uno sterile formalismo della prassi che insidia ogni effettiva rappresentatività. Tuttavia, l’umanità, soprattutto i ceti dirigenti non vogliono veramente imparare dalla storia. Ad esempio, la crisi finanziaria del 2007-2008 aveva già dato le avvisaglie sui limiti di un potere internazionale capace di essere provvido, efficiente ed efficace. La pandemia ha confermato tutti i limiti, elevandoli all’ennesima potenza. Nel decennio successivo a quel crack è esploso l’individualismo, è stata minata l’integrazione, l’ingiustizia ha subdolamente esaltato i potenti, i quali sono diventati sempre più ricchi. Non vogliono accorgersi di sedere sul cono di un vulcano pronto ad esplodere o si illudono di rimanere indenni dalle conseguenze.
Urge, quindi, una costante e rapida applicazione del principio di sussidiarietà. Il Signore con molta pazienza e determinazione continua a chiedere a Caino di Abele! Ma dall’inizio della storia la risposta purtroppo è sempre la stessa. Intanto Abele è stato il primo fratello assassinato dando inizio ad una lunghissima teoria, solo in parte ridimensionata dai gesti eroici di chi testimonia la bellezza di cui è comunque capace l’animo umano.
L’interrogativo che il Creatore rivolge a Caino va reiterato a tutti coloro che, a vario titolo, sono classe dirigente nel Cilento ed amministrano la cosa pubblica. Sono convinti che la carità sociale e politica raccomandata da papa Francesco è la ricetta di cui tutti hanno bisogno?
La politica non deve essere condizionata dal paradigma efficientista della tecnocrazia, ma distinguersi per una ampia visione, una sana pratica, un’azione coordinata capace di opporsi ad ogni viziosa pressione o colpevole inerzia, politica dei grandi principi, in grado di progettare in modo valido nel presente e per il futuro. A queste condizioni si può porre riparo alle carenze strutturali senza ricorrere a rattoppi usando vecchi pannicelli che determinano strappi ancora peggiori. La pratica economica richiede impegno politico, sociale, culturale e popolare orientato al bene comune per mettere in moto opportunità in grado di stimolare la reattività umana. Così si pratica anche la vera carità politica, che sollecita l’ordine sociale ed approda nell’esperienza della carità sociale praticando un continuo e costante dialogo tra popolo e persona.
Questo è il criterio per misurare l’efficacia dell’amore sociale, forza che sa individuare nuovi strumenti per rinnovare dall’interno strutture di base, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici illuminati da una diamantina pratica della verità, libera dalle opacità delle passeggere emozioni degli individui e dalle contingenti opinioni di singoli gruppi che generano insidiosi relativismi.
L’amore politico, ribadisce papa Francesco, rimane atteggiamento preferenziale verso gli ultimi, oppressi nella loro dignità; integrali nella società é autentica missione della politica, educata al servizio perché ciascuno diventi artefice del proprio destino, sussidiarietà che si accompagna inscindibilmente alla solidarietà.
A queste condizioni il politico diventa un grande realizzatore; con sguardo realistico e con azioni pragmatiche egli può perseguire grandi obiettivi che, in fin dei conti, si propongono la globalizzazione dei diritti umani a partire dall’eliminazione della fame, condizione criminale nella quale si fa precipitare il proprio simile. Infatti, il diritto all’alimentazione rimane una prerogativa inalienabile; non è ingenua utopia, ma il minimo indispensabile per saper integrare tutti i componenti della famiglia umana ed eliminare differenze che generano conflitti; inoltre, si supera ogni asfissiante uniformità per godere della coralità di uomini e donne le cui voci cantano il bello. La buona politica contribuisce a tutto ciò affiancando all’amore la speranza e, così, fa aumentare la fiducia nella riserve di bontà presente nel cuore umano perché uomini e donne di ogni generazione custodiscono in se stessi una promessa di futuro migliore fondato su nuove energie relazionali, una riscoperta dimensione spirituale, una critica riflessione intellettuale, elementi che generano una cultura impegnata a realizzare una nuova civiltà.
Sarebbe interessante proporre a politici, amministratori, gestori di enti pubblici, banche e fondazioni che operano nel nostro territorio un questionario nel quale non chiedere quanti tra gli abitanti nel nostro territorio nutrono un ricordo positivo di loro, ma chiedere se hanno messo amore nell’espletare la propria funzione, se hanno fatto progredire il popolo, se ha costruito legami stabili, se ha seminato concordia. La percentuale positiva delle risposte autorizza a continuare il loro lavoro; invece, se non dovessero raggiungere il 50%, dovrebbero con coerenza trarne le conseguenze per il bene comune ed anche per il loro bene!
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