La popolazione mondiale è costituita da 703 milioni di anziani (età ≥ 65 anni) dei quali 200 milioni distribuiti fra Europa e Nord America. Un numero che tenderà a raddoppiare e che colora di grigio il tessuto sociale risultando in un carico gravoso per l’intero apparato dei servizi sanitari. È una cruda verità, ma quella longevità, alla quale tutti aspiriamo e per la quale investiamo in ricerca ha finito per diventare un problema in tempi fragili come questi. La pandemia Covid-19 ha riempito i reparti ospedalieri di comorbilità, acuito l’isolamento di una fetta di popolazione già spesso trascurata, e mostrato i limiti strutturali di uno dei sistemi cardine di una nazione, l’Italia, che ad oggi registra una media della speranza di vita di 82,7 anni. L’infezione da coronavirus, è ormai dato acquisito, ha un più alto impatto di incidenza e mortalità sugli over 65, ed è questa categoria, pertanto, che sta pagando il prezzo più caro: da ultima ruota di un carro senza la quale l’economia degli ammortizzatori sociali finirebbe nel pantano e una grande fetta del patrimonio di saggezza ed esperienza collettiva nel dimenticatoio.
Una popolazione che vive spesso nella dedizione per i figli, i quali assistono inermi e impotenti al progressivo isolamento psicologico del proprio genitore. Essere categoria a rischio è essere potenzialmente il prossimo in turno per l’ospedalizzazione. Messi a carico della società, più di quanto non vengano già percepiti, gli anziani si abbandonano alla morte, con la facilità dovuta alle conseguenze di una sofferenza cronica e di quell’isolamento che è “necessario” alle misure di contenimento. É chiaro, le misure di distanziamento sociale hanno fortemente penalizzato gli anziani. Essendo le persone più a rischio erano persone da isolare in quanto potevano fungere da portatori sani per la comunità e, nel caso si fossero ammalati, avrebbero prodotto una pressione straordinaria sulle terapie intensive. Ne consegue che il raggiungimento dell’obiettivo di contenimento della pandemia è risultato in un azzeramento dei servizi di assistenza territoriale, che ha confinato i pazienti più fragili e sofferenti per problemi cronici (cardiaci, renali, di deambulazione, etc.) tra le mura di casa.
Non ci sono soluzioni per una tale impasse. La coscienza collettiva di un ammortizzatore che è tale anche per l’emergenza Covid non dovrebbe mancare. La molla di scarico, l’ultima ruota di un carro, che in quanto tale merita il rispetto della dignità di un’età già stanca di subire i colpi della responsabilità sociale. Da qui potrebbe poi sorgere la tutela. I nonni civici agropolesi ne sono una dimensione. Che non manchino altre forme, filiali, amicali, assistenziali atte a compensare quella loro intrinseca esposizione al rischio che fa da paravento a noi altri.
Francesca Schiavo Rappo