Interprete di alcuni tra i principali film italiani ed europei, sceneggiatore e regista, Sergio Castellitto è stato ospite, della 50esima edizione del Giffoni Film Festival per incontrare i masterclasser della sezione CULT e ricevere il premio speciale #Giffoni50. Insignito per ben tre volte del David di Donatello (Il grande cocomero di Francesca Archibugi, Non ti muovere che lo ha visto anche nelle vesti di regista eTre colonne in cronaca di Carlo Vanzina) è stato già ospite del Festival nel 2009, in occasione della 39esima edizione, per un viaggio nella creatività e nell’espressione artistica. Castellitto, che nel 1999 è passato dietro la macchina da presa con Libero Burro, ha negli anni ricoperto differenti ruoli sia per il cinema che per la televisione, dando sempre prova di grande professionalità e di rara versatilità. Strepitoso Joe Morelli in L’uomo delle stelle di Giuseppe Tornatore (premio speciale della giuria alla 52esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia) e iconico quanto malvagio re Miraz, l’usurpatore del trono dei Telemarini, in Le cronache di Narnia: il principe Caspian di Andrew Adamson. L’attore romano per il piccolo schermo ha interpretato diversi film tra cui: Il grande Fausto (Coppi) di Alberto Sironi (1993); Il Priore di Barbiana (Don Milani) di Antonio e Andrea Frazzi (1997); Padre Pio di Carlo Carlei (1999) e Ferrari (2001) sempre per la regia di Carlo Carlei, prodotto da Angelo Rizzoli per Mediaset. Per la regia di Maurizio Zaccaro, è il protagonista del film Il Sindaco pescatore, trasmesso da Rai 1 nel 2016.
Cosa rappresenta per lei il Giffoni Film Festival?
Per un artista parlare di sé e del proprio lavoro è prezioso, mi permette di storicizzare la mia vita, vederla a due metri di distanza, quindi, sono molto contento di chiacchierare con i giurati, dopo 11 anni, in cui sono venuto la prima volta, a Giffoni ritrovo la stessa atmosfera, la stessa competenza, e la stessa emozione con cui i ragazzi si rivolgono a me, dopo questo incontro ho imparato tanto dai giovani.
Riguardo i festival in generale, cosa si sente di esprimere?
I festival di cinema, servono a concentrare l’attenzione su quest’arte, e a consentire alle persone appassionante di ritrovarsi, non so, invece, quanto servano i premi, perché l’arte è molto opinabile e soggettiva, l’arte è un flusso come l’acqua.
Uscirà nelle sale prossimamente, in cui è protagonista nei panni di Gabriele D’Annunzio, cosa si sente di esprimere riguardo questo grande Uomo?
In un’epoca in cui crediamo di essere moderni e a stento siamo contemporanei, leggere i classici è doveroso. Questi miti sono di un’attualità impressionante. Cosa c’è di più utile della poesia? Durante il periodo di chiusura totale – che mi rifiuto di chiamare lockdown – a chi mi chiedeva consigli su attività da fare consigliavo di leggere una poesia al giorno. Ungaretti, Pascoli, Saba… insomma tutti quelli che a scuola non sopportavate, riscopriteli. Perché nella poesia – come nel cinema – c’è il naufragio.
Quale deve essere secondo lei, l’obiettivo per il cinema?
Andare oltre la verità: il cinema è finto ma se bene fatto sembra vero. E spetta poi alla sensibilità di ciascuno che esce dalla sala completarlo.
Qual è il segreto del suo successo?
Realizzo solo quello che mi piacerebbe guardare da spettatore.
Intervista a cura di Lucrezia Romussi