È decisamente una emozione ascoltare, nel silenzio della natura, lo scorrere del vento tra fronde in leggero stormire, carezza sulle guance, quasi tocco di amante per la sua donna.
È certamente un vibrare dell’anima stendere lo sguardo verso paesaggi noti eppur nuovi, mai stancanti, e immaginare oltre i loro finiti orizzonti, infiniti spazi ove il cuore si allegra. Corre il pensiero a quell’immensità leopardiano «ove per poco il cor non si spaura», perché sovviene alla umana mente il pensiero dell’eterno, portato da quel soffio di vento che parla piano con una voce che persuade.
“Scorre il vento” è l’ultima di quelle tessere di un infinito mosaico letterario e artistico che senza soste, da anni, con periodicità di estro, Antonio Baglivo realizza in paziente composizione di armonie varie in un “fare” senza sosta, a corona di operosità manuale e d’arte.
Poche copie, rigorosamente numerate, nelle quali, con la sua calcografia, Baglivo ha inserito due foto, in splendido, esaltante bianconero, di Armando Cerzosimo e tre poesie, intime, di Gerardo Pedicini, poeta vero, per tutte le stagioni e non solo, come tanti, della domenica. Pedicini è cantore dell’anima, che guarda con occhi sognanti oltre il limitato spazio a lui dappresso: e son parole che non fanno parte del suo quotidiano di quel “cimitero di parole vane”, a richiamo di Francesco D’Episcopo, ma che sanno dare il giusto nome alle cose: «il mio esserci è il tuo essere / che quivi traluce come eterna face / nell’aria che dardeggia il giorno» quasi portavoce in altrui dialogo con Baglivo artista e Cerzosimo fotografo.
Un artista, un poeta, un fotografo raccolti in poche pagine sciolte di un “ibridolibro” a raccontare semplicemente l’anima di una sedia vuota che l’artista sembra voler preservare da eventuali altre occupazioni, forse in attesa di un qualcuno da venire al quale raccontare emozioni che si fanno segni d’arte. Misteri riposti nell’intimo, colti dal fotografo su quella striscia di lungomare tra la spiaggia di Santa Teresa, tanto cara alla gente salernitana, e l’antico castello longobardo, “in cima alla collinetta” ricorda Alessandro Carandente in prefazione, dimora antica così vicina al sentire poetico di Alfonso Gatto: «Al Castello di Arechi / in quel grande passato / nella città ove fui / la vetta solitaria dell’ultimo chiarore / vedrò nei baci bui notturni lo stellato». È l’immagine eterna della poesia che ritorna nei versi di Pedicini: «In alto, nello specchio del cielo / del castello longobardo / gravida di luce / l’ombra della tua assenza». Ecco la sedia vuota, compagna dei segreti pensieri di Baglivo, che tiene per mano l’attesa. Ecco le due foto di Cerzosimo, una nel pieno dardeggiar del sole e l’altra sul far della sera quando «si sbianca a poco a poco / il cielo all’orizzonte» chiosano i versi di Pedicini. Intanto sfuma, nell’immaginifico bianconero di Cerzosimo e nei sereni versi di Pedicini, il profilo ondulante della costa nota, sulla quale si alimentò il pensiero filosofico di Parmenide e Zenone: Elea docet.
Lo sfogliare le sciolte pagine è un procedere con ritmo musicale adagio, non lento, sì da conciliare l’anima con il creato, le parole con la memoria di un proprio vissuto. Solitario nel suo silenzio, medita Baglivo in compagnia del mare e di un alito leggero di vento che porta nello stormir di foglie i versi di Pedicini. Ruba Cerzosimo il momento centrale di un attimo di vissuto e lo consegna al futuro. Si perdono nell’ultimo chiarore del giorno quei templi antichi che coloni greci vollero innalzare, a segno di divino, al dio del mare, che aveva bene accompagnato il loro navigare.
Ed è la sera: l’artista è in controluce fotografico «sull’acqua che si spande / nella luce della sera». Con gli ultimi bagliori il giorno lascia il passo alla notte ove si rinnovano gli amori in docile donazione, i sospiri del cuore, i fremiti del corpo. Intrecci della vita, come quel reticolato di Baglivo, a richiamo di inconsuete immagini di sogno e, si sa, i poeti (e, perché no! gli artisti) sono fatti della stessa sostanza dei sogni. Basta chiamarli e saranno di chi li vuole nel vento della chiara notte.
Vito Pinto