La consapevolezza di trovarci a vivere la nostra esistenza in un’area protetta è un vantaggio non indifferente rispetto a chi abita in realtà molto urbanizzate sta diventando un fatto che ci inorgoglisce e del quale ci vantiamo in mille occasioni …
Alla TV quando i nostri amministratori sono intervistati e ripresi sul mare imbandierato di “blu”; in montagna con la riscoperta delle faggete e dei sentieri; nei borghi davanti ai palazzi storici, sulle scogliere baciate dal sole e scolpite dalle onde; nelle valli sempre adorne di colori cangianti in ogni stagione …
Tutti sappiamo che dobbiamo pagare un prezzo “salato” nel periodo estivo quando chi è meno fortunato di noi cerca proprio in luoghi belli e ameni di riscattare lo stress della “vita moderna” che si consuma nelle strade, nei quartieri, nei centri commerciali, negli uffici …
Ovviamente, siamo anche consapevoli che anche le nostre famiglie hanno diritto ad avere case comode, palazzine moderne, palestre attrezzate, campi da gioco ben tenuti, strade sicure, chiese restaurate …
Nessuno però ci può costringere a dover condividere in ogni angolo del parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni dei veri e propri “monumenti” all’inettitudine pubblica e privata: solai che spuntano dalla selva, palazzi lasciati ad “essiccare” nel tempo, piloni sui quali non si posano mai i viadotti, villette incomplete che si frappongono tra chi guarda e ciò che si vorrebbe vedere, recinzioni che non proteggono ma occultano alla vista ogni cosa.
Insomma, c’è un termine per completare i lavori e quei termini vanno fatti rispettare altrimenti si imponga di ripristinare la situazione a com’era in origine.
Proprio perché questa “denuncia” non ha alcun intento persecutorio, non metteremo indicazioni di dove sono state scattate le foto messe a corredo dell’articolo. Il vero motivo è quello di far prendere coscienza della problematica e guardare con più attenzione intorno a noi per evitare di doverci abituare al brutto dandolo per scontato come il bello della realtà in cui viviamo.
Certo, l’occhio si abitua a tutto ciò che gli si presenta davanti in modo sistematico e che ha una parvenza di ragionevole necessità, ma fa fatica a non ribellarsi agli obbrobri che si parano davanti ad essi che non hanno motivo di esistere nel bene come nel male.
Ecco perché vorremmo richiamare l’attenzione di chi ha il potere di intervenire a trovare il modo di farlo senza criminalizzare nessuno.
Infatti, è evidente che a monte di quelle costruzioni mancate c’erano i sogni di chi vi ha investito i propri risparmi, la voglia di dare una casa all’altezza dei tempi alla propria famiglia, l’idea di predisporre gli spazi per figli e nipoti per quando sarebbero diventati grandi, la speranza di chi ha passato la vita lontano dalla terra alla quale erano destinati di poterci ritornare …
Come è naturale pensare che anche chi, in qualità di amministratore di un comune, abbia chiesto e ottenuto risorse pubbliche per ristrutturare una scuola, costruire un campo da calcio o una palestra, recuperare un vecchio convento o un antico palazzo …
In ogni caso, sia che le costruzioni siano rimaste a metà o completate e diventate testimonianze viventi di valutazioni errate in merito alla loro effettiva utilità sociale oltre che dalla possibilità di metterle a reddito, oggi sono evidenti “scatole” vuote ed inutilizzabili e, in tanti casi, nemmeno è pensabile di poterle completare perchè ferro e cemento sono corrosi dal tempo.
Allora sarebbe opportuno che si potesse immaginare un piano serio per demolirle e riqualificare quegli spazi restituendoli al decoro dei luoghi in cui sono situati.
Sarebbe un bel modo per le comunità di riprendersi parte del “paesaggio” del parco inserito nel patrimonio UNESCO che è stato occupato da “scatole vuote” che, così come sono, non potranno mai essere “utili” a nessuno, ma sono segni di degrado che potremmo evitare di avere sotto i nostri occhi senza soluzione di continuità ed esibirli agli sguardi di chi arriva nell’area protetta che è tra quelle ha più riconoscimenti internazionali.
Bartolo Scandizzo