Per anni i partiti della seconda Repubblica hanno tentato di rivoluzionare la costituzione e nello specifico il meccanismo parlamentare propinandoci come indispensabile la condizione del taglio del numero dei parlamentari. Ci aveva provato Berlusconi nel 2006 e Renzi nel 2016 il quale addirittura ambiva ad abolire il Senato conservando i senatori che venivano nominati dai consigli regionali. In barba alla rappresentanza. Nessuno mai in questi anni ha tentato di reintrodurre le preferenze nella legge elettorale per garantire quella dose di rappresentatività e togliere alle segreterie dei partiti quel sistema di selezione di perfetti sconosciuti che popolano il Parlamento Italiano. Quello sì che avrebbe migliorato inevitabilmente la qualità dei parlamentari. E non sarebbe stato necessario neanche una maggioranza dei due terzi, siccome sarebbe bastata una maggioranza semplice per cambiare la legge elettorale. Ma purtroppo non tutte le ciambelle riescono col buco.
Eppure il referendum del 20 settembre ci viene presentato come indispensabile per garantire uno snellimento del processo legislativo. E magari, forse, potrebbe persino migliorare di poco la qualità dei parlamentari dandogli maggiore peso decisionale e dunque caricandoli anche di maggiori responsabilità al cospetto dell’opinione pubblica; quelli che almeno l’opinione pubblica conosce e riconosce. Scoraggiando così i vari giochetti di palazzo che spesso i perfetti sconosciuti, utilizzati per il lavoro sporco, attuano alterando il processo parlamentare e legislativo. Come fecero Scilipoti e Razzi. O come ha fatto Renzi con un nuovo gruppo parlamentare. Che non è uno sconosciuto come gli altri e proprio per questo sta pagando il prezzo più caro al cospetto dell’opinione pubblica. Passare da 630 deputati a 400 e da 315 senatori a 200 vorrebbe dire allinearci come numero di grandi elettori alla media dei paesi europei. Infatti la Germania, secondo Paese per numero di parlamentari dietro all’Italia, ne conta 700. Segue la Gran Bretagna con 650 e la Francia con 600.
Forse sbagliano gli altri, ma chi in Italia gioca contro questo referendum e patteggia per il NO non sono dei partiti i quali hanno una corposa discussione interna. Per essere più precisi, i partiti i quali contrastano la riduzione del numero dei parlamentari con l’ unica motivazione della minore rappresentanza, e di conseguenza la minore discussione all’interno del parlamento, sono gli stessi che sono governati e amministrati da un solo capo o Capitano politico. Che di fatto impone la linea al partito, smorza la discussione interna giocando la carta della rielezione decisa da lui medesimo. Insomma una pattuglia di yes man fedeli al capo che invece di essere di più sono di meno. Ma poco cambia. Perché sebbene si ridurrebbe presumibilmente la dose di sconosciuti, quelli conosciuti non sono tutti trascinatori di folle. Anzi, spesso sono show man che zimbellano da un programma televisivo all’altro ripetendo a pappagallo i diktat del loro solo e unico elettore: il capo politico.