EPIGRAFE
Nel novero complessivo dei pitagorici molti, come è ovvio, sono rimasti sconosciuti e anonimi, ma di quelli che si conoscono, i nomi sono i seguenti. Di Posidonia: Atamante, Simo, Prosseno, Cranao, Mie, Batilao, Fedone.
(Giamblico “Vita Pitagorica”)
Ed anche per te, maestro Atamante, figlio della città di Posidonia che dei duecentodiciotto di Giamblico traesti il nome … canterò il mio canto che oltre spiegandosi le fonti che non dicono, alto si leverà al vento impetuoso della tua sapienza pitagorica e vantando alla tua nobile città le radici io nel tempo degli dei benigni, mi farà tuo discepolo fedele e tu sarai per me, o Atamante, il novello maestro!
Tu che, come tramanda Giamblico, su tutti coloro che chiedevano di “andare a vivere con Lui”, il Maestro “informandosi” su quali erano stati con i genitori e gli altri parenti i tuoi rapporti tutte le vinceste le prove e con il non “ridere inopportunamente, tacere, parlare a sproposito” e coltivando opportune passioni con gli amici dedicando “la maggior parte della giornata” alla perfezione dell’anima alla sua scuola fosti ammesso. E dimostrando “fermezza ed amore sincero del sapere e… quanto sufficientemente contro la gloria tu fossi premunito al punto da restare indifferenti agli onori” il Maestro, che oltre il visibile vedeva l’invisibile, tutto ti valutò anche nell’ aspetto, (ricordo ancora, meraviglia delle radici, nella mia lontana infanzia le nostre nonne che per indicare qualcuno con un difetto fisico lo chiamavano “il segnalato di Dio”) chè anche l’aspetto era un “segno” del dio e tu, maestro Atamante, nel tuo portamento mostrasti quell’indole spirituale ed affidando tutti i tuoi beni ai “sodali” della scuola per tre anni non esistesti rimanesti chiuso in silenzio fuori dalla tenda del Maestro fino a quando, era la regola dopo cinque anni ancora di silenzio per mettere alla prova la tua padronanza di te, “perché fra tutte le prove di autocontrollo, tenere a freno la lingua era la più dura, com’è dimostrato dai fondatori dei riti misterici” finalmente fosti ammesso alla luce del Maestro e puro e degno della prova appena superata fosti messo “a parte delle segrete dottrine…diventando per sempre un “esoterico” con facoltà di ascoltare il Maestro all’interno della tenda” e consegnandoti alla fatica ed alla gloria della sapienza per sempre, o Atamante, fosti con i figli di Pitagora, filosofo e pitagorico! E fu da allora, che informandomi Giamblico con il suo “Catalogo” della tua vita, io ogni volta che, pellegrino, nella tua città vengo, o maestro Atamante, come per incantamento, ti vedo nella tua lunga veste candida, chè non competeva ai pitagorici vestirsi di pelli, passeggiare tra i “luoghi dove regna la solitudine ed adeguata tranquillità” andando solitario incontro al sole nascente, chè non era cosa convenevole intrattenersi con qualcuno prima di non avere predisposto l’animo alla “memoria” del giorno prima ed all’emendazione del carattere. E poi di continuare, maestro, prestandoti alla cura del corpo ed esercitandoti con i “manubri” o la corsa che sicuramente amavi, annoverando la Magna Grecia con la tua città tanti atleti alla gloria di Olimpia, o ancora con il pugilato “senza avversari” per poi ritrovarvi tutti insieme senza mai “bere vino per tutta la giornata” al banchetto comune di solo“ di pane, miele, o miele misto a cera” e lì lungamente ragionare appassionatamente della patria comune e delle sue leggi chè, ed è sempre Giamblico a ricordarcelo, molte città presero “da Pitagora leggi e prescrizioni che consideravano precetti divini e non violavano mai!” E tanto queste leggi furono giuste, onorevoli e fonte di libertà che molte città ribellandosi si affrancarono dalla schiavitù dei tiranni e tanto le “pervase di ardore per la libertà” che tutte sono alla gloria della storia passate e “si trattava, continua sempre il Nostro, di Crotone ,Sibari, Reggio, Imera, Agrigento, Taormina e altre. A esse diede le leggi servendosi (dei codici) di Caronda di Catania e di Zaleuco di Locri e fu grazie a queste che tali città furono a lungo esempio di perfetto ordine interno e oggetto di invidia da parte dei centri circostanti. Gli riuscì di eliminare completamente la sedizione e la discordia … nei rapporti reciproci di tutte le città della Sicilia e d’Italia” e… tu, o nobile città di Posidonia, da Giamblico non citata, forse che non fosti anche tu pitagorica e della libertà amica? E tu, maestro Atamante, anche se le fonti sono avare forse che non partecipasti, insieme ai tuoi sette compagni pitagorici, al governo della città rendendole non solo libera ma anche forte e potente fino a quando, mancando poi la tua scuola, ed avanzando con il Lucano il Romano, come scrive Ateneo e canta il greco poeta di Alessandria d’Egitto decadesti e nella desolazione di una festa così piangevi: “Dimenticarono mescolati com’erano /ai Tirreni, ai Latini e a tutte le altre genti /i Poseidonati la loro lingua greca./Della antica grandezza non rimaneva /altro che una festa: lire,flauti, lotte,/ corone, libagioni e alla fine /(abitudine di pochi!) /si riunivano in qualche luogo e lì piangendo /sugli usi aviti, ricordavano, /chiamandosi alla maniera greca e tutta per ogni /nella melanconia si consumava la loro festa, /chè un tempo anche loro furono Greci, / favorevoli, alla sorte dell’Italia. /Come abbiamo potuto mai decadere, /vivere e parlare barbaro?/ Com’è potuto mai succedere ? /A noi che pure sfortunati tenemmo radici greche? Eppure se tutto passò e con la fine della tua scuola la città si piegò, accomodandosi ai tempi che vennero, pure vive ancora solenne la gloria di Posidonia ed il ricordo di quei tuoi anni fecondi, o Atamante, se meravigliosi, con gli dei favorevoli, ancora dopo tanti secoli, dura e sfida la maestosità dei suoi altari il tempo e narra di quella tua “divina misura” che discesa dal cielo consegnò all’uomo con l’armonia la bellezza e lo rese immortale. In un tempo in cui gravando su di noi, che indigeni abitavamo queste feconde contrade lucane, le tenebre dell’ignoranza, tu, maestro Atamante, con la tua scuola ci illuminasti il cammino e per quel dio splendente che in Samo “mandato allo scopo di contribuire a correggere la vita degli uomini ed a donare alla natura mortale la scintilla salvifica della felicità e della filosofia” volle ai mortali donare il suo figlio più grande, per primo ci facesti tutti tuoi figli “risvegliati” e fummo, o Atamante, anche noi con te filosofi! E come, nel suddividere il Maestro a secondo del valore, con Batilao, Simo e tutti altri non tra i “pitagoristi” che erano soli “ascoltisti” acusmatici ma, nella misura più alta, “pitagoreo” ti assidesti facendoti del Maestro suo autentico discepolo, così vorrei io con te oltre gli “akousmata” guidare e riempire la mia vita e con te, maestro, “matematico” continuare “quando facendosi pomeriggio inoltrato, tornando a passeggiare, non, come di mattina, da solo, ma in gruppi di due o tre” amabilmente conversare avanzando a quella cura quotidiana della spirito, che il tuo Maestro comandava e tu con i tuoi amici esercitavi alla ricerca di quella “ben rotonda verità” che se di un altro Grande fu principio, non mancò la tua città di contribuire, se della antica titolazione del tempio di Nettuno stupisce la nuova, quando al culto di quel dio che in Delfi “dice e non dice ma tutto svela” viene assegnato e proclama la gloria di quella “divina misura” che solenne si fece custode del “conosci te stesso” e che ancora ci interroga e… quel tempio di tante colonne, che in quelle feconde passeggiate mattutine, mentre il dio dai capelli riccioli ad oriente saliva il suo carro, tu, maestro Atamante, onorasti alla sua ara sacrificando libagioni e fortunato tra i mortali, potesti nella potenza dell’armonia che lo governa ammirarne la bellezza, quella bellezza che ancora dopo tanti secoli ci rapisce e ci “schianta” e…nella responsabilità dei posteri non pago continuare, continuare, maestro, a seguirti ed in silenzio, come era tuo costume, dopo aver preso il bagno, recarci al banchetto “cui non era lecito prendessero parte più di dieci persone” e lì, nella quiete riparata della scuola, che per un ipotizzato “continuum” di medica frequentazione forse possiamo immaginare ad oriente del grande tempio di Apollo e vicino se non nelle stesse superstiti vestigia dell’antico santuario di Asclepio, dove, una volta riuniti e dopo avere di nuovo “ agli dèi offerto libagioni, aromi e incenso, e poi si passava al banchetto, che non poteva protrarsi oltre il tramonto” e che come ci informa ancora Giamblico, “consisteva di focaccia, pane, vino, companatico, verdura cotta e cruda; era talvolta a disposizione anche la carne di quegli animali che era lecito sacrificare, ma raramente c’era pesce”. E, meraviglia delle nostre antiche radici in Benedetto redivive, consumato il pranzo “aveva luogo la lettura. Era costume che leggesse il più giovane, e che il più anziano stabilisse cosa e come si dovesse leggere”. Finita poi la lettura quando ognuno si accingeva a tornare alla propria casa, allora il più anziano di voi, si levava ed ordinando “al coppiere di versare del vino per una nuova libagione” e ricordando ad ognuno i propri doveri ne elencava i principali, quali “non danneggiare né distruggere una pianta coltivata che dia frutti, e nemmeno gli animali che non arrecano danno all’uomo… venire in soccorso della legge e combattere l’illegalità” perché questi doveri alimentati da “pensieri benigni e pii per la stirpe degli dèi, dei demoni e degli eroi, nonché per i genitori e i benefattori” ci si preparasse alla notte. Così, o Atamante, con la tua vita coltivavi la tua anima e facendo ritorno la sera alla tua casa, con l’animo sempre rivolto alla perfezione, continuavi e indossando vesti candide con un letto ricoperto di lenzuola “ugualmente bianche e pure” di lino, ti preparavi alla notte ed ad abbandonarti al sonno… non prima però, come il divino Maestro comandava, in forma di protocristiano “esame di coscienza” di cantare questi versi: “non accogliere nei languidi occhi il sonno prima di avere tre volte esaminato ciascuno degli atti…lungo il giorno compiuti” ed al momento del risveglio “quando ti desti al sorgere del sole” di ricordare “esamina bene cosa farai durante il giorno” chè, e tu, maestro Atamante, ne eri pienamente compreso, fine ultimo della sapienza pitagorica era quello di liberare l’anima da ogni ulteriore forma di possibile rincarnazione e come scrive nella sua “Vita di Pitagora” Porfirio, di affrancarla con l’intelletto purificato “da tutti quegli impacci e legami” che altrimenti non rimossi mai avrebbero condotto l’uomo “a venire a conoscere o discernere alcunché di sensato e di vero, quale che sia il senso in quel momento in azione” e di venire alla fine a quella disinteressata “contemplazione degli enti eterni” dove contro il “caos” regna sovrana l’armonia del “cosmos” e profonda e celestiale ne discendeva quella pitagorica “armonia delle sfere” che, tu ben conoscevi e non solo per Ippaso di Metaponto che con i suoi “dischi” ne aveva tentato la copia, ma anche per quel terribile mistero della “ben rotonda verità” che come la regola e le linee precedenti hanno ricordato, ti informò e quando “non mai spendendo senza senno, come chi non sia avveduto della bellezza” con i tuoi compagni ti facesti del governo della tua città artefice non mancasti e presente nello spirito di Pitagora, consegnasti ora per sempre alla storia della tua patria posidoniata la solenne e imperitura gloria della maestà dei suoi templi, che ammirati e glorificati da secoli ancora oggi fanno la fortuna di queste terre, chè …null’altro era e sarà del buon governo il fine che della bellezza sulla terra il compimento!
Ed ora che in congedo, come è della “Scuola di Atene”, urge con un epigramma di licenziare l’epistola ecco, maestro Atamante, il suo epigramma per te: “E se le fonti tacciano e inesorabile ti avvolge l’oscurità, molto di più parla, o Atamante, di te il tuo silenzio pitagorico”
Questo, maestro, nei giorni del luglio malizioso a finire l’amore e tante cose… il fiore che ti porto!
Chiusa nelle ultime ore pomeridiane del giorno di martedì 21 luglio dell’anno 2020