“Ricordo solo che qualcuno mi aveva fatto capire che le conseguenze per me e la mia famiglia sarebbero state tremende se non avessi smesso subito quella battaglia di retroguardia”, è un passo del libro “La prigione di carta” di Marco Onnembo presentato alla libreria Mondadori di Sala Consilina lo scorso 21 luglio. Lo scrittore salernitano mette in evidenza il difficile e ostico rapporto tra scrittura e digitale, una maglia molto spessa nella quale si muove il protagonista del racconto Malcolm King, professore di scrittura creativa al college di Brownsville, luogo dove vive con la moglie Lynette e il figlio Buddy. King è in sostanza un idealista dalla cultura umanistica che insegna agli studenti che invece sembra non saper scrivere a mano. Allora la digitalizzazione prende visibilmente il sopravvento quando io potere centrale impone che ogni tipo di contenuto potesse esistere solo in formato elettronico, mettendo da parte i libri cartacei dal sistema scolastico e abolendo l’uso della scrittura con inchiostro. Il docente allora ha paura che tutto posa essere manipolato e diretto verso un’unica strada e per questo viene condannato all’ergastolo in un carcere di massima sicurezza. Dalla sua cella furtivamente però continua ad essere libero usando carta e penna per esprimersi, un passaggio importante che segnerà la sua vita da uomo appunto libero. Celebrando quello che viene considerato un romanzo distopico di chiara attualità nell’attuale era digitale, Onnembo dà il via a una serie di riflessioni che confluiscono però tutte nelle pagine de La prigione di carta al quale ognuno può dare la valenza e il significato che meglio crede. Amore, famiglia, verità non assoluta che si cerca nelle parole e nei fatti di chi vive nel romanzo, silenzio e suggestioni personali che danno sfogo a una varietà di sentimenti non sempre in antitesi dove ognuno quindi può leggerci una contenuto che meglio lo ispira in quel momento. “In questo caso specifico c’è anche qualcosa in più non perché siamo contro il digitale ma analogico e digitale sono due modalità che devono coesistere – dice Marco Onnembo, dirigente d’azienda e giornalista nato ad Eboli 44 anni fa e che negli anni ha ricoperto ruoli di crescente responsabilità in importanti gruppi come Finmeccanica, Guru, Ferrari, Telecom Italia mentre ora è in Cassa Depositi e Prestiti – il protagonista del romanzo è Malcolm King, professore di scrittura creativa che temeva che la coscienza e la conoscenza collettiva potessero essere manipolate se esisteva solo il digitale. Basti pensare al tema delle fake news, a tutto ciò che è manipolazione senza controllo, era un professore idealista e si preoccupava della identità collettiva dei suoi studenti. Scrivere a mano è un tratto di unicità, così come il libro cartaceo, due elementi che vanno conservati”. Sulla importanza di conservare intatta la memoria ed essere al passo coi tempi, Marco Onnembo risponde: “Sono due facce della stessa medaglia. Il digitale è essenziale ma è uno strumento, non è il fine. Se utilizziamo per mettere in contatto persone che sono lontane, se lo utilizziamo come uno straordinario data base per trovare informazioni, il mondo digitale può solo migliorare la vita dell’uomo. Naturalmente questo non deve far perdere la identità a noi. Io dico sempre che ci sono sette miliardi di persone al mondo e hanno sette miliardi di impronte digitali e sette miliardi di scritture diverse, cioè la scrittura a mano è un pezzo della identità dell’uomo, si analizza la personalità analizzando la scrittura. Se immaginiamo per un istante che non ci fosse più, perderemmo un pezzo di noi stessi”. Un ottimo riscontro e accoglimento il libro La prigione di carta di Marco Onnembo che è stato salutato con entusiasmo dagli amici della libreria Mondadori di Antonio Lullo.
Antonella Citro