Antonio Maratea è docente presso la Facoltà di Informatica dell’Università degli studi di Napoli “Parthenope”. Da anni ormai, in presenza, nel complesso dei grattacieli del Centro Direzionale, dà lezioni agli studenti di un corso di laurea che per le sue intrinseche caratteristiche ed obiettivi, vive di procedure automatizzate, algoritmi e sistemi telematici; eppure la battaglia anti-covid, con la sua richiesta di una didattica “computer friendly”, costruita su distanze sempre più “remote”, ha colpito al cuore anche la loro immateriale ed algida postura da Mr. Robot.
Antonio è tormentato dai suoi studenti come un buon padre lo è dal migliore dei suoi figli. A lui continuano a rivolgersi per sbrogliare, approfondire, o progettare sistemi che noi profani consideriamo alla stregua della fantascienza ed è a lui che facciamo riferimento per immaginare come la DAD abbia influito su un mondo, quale il suo è, già altamente tecnologizzato.
“Il nostro Ateneo ha voluto fortemente garantire la ripresa delle lezioni in regola con l’avvio del secondo semestre, pertanto già dallo scorso Marzo ha avviato la DAD per i suoi studenti. E’ stata creata una squadra di tecnici per la gestione di un Help Desk a sostegno dell’attività dei docenti e superate le prime difficoltà siamo riusciti a partire regolarmente con lezioni ed esami a distanza. Purtroppo il carico di lavoro per noi docenti si è triplicato, e non tanto per lo svolgimento delle lezioni in sé, quanto per l’adeguamento, l’elaborazione e la concezione di materiali nuovi adeguatamente fruibili in modalità a distanza. Un vero e proprio rompicapo per un corso di laurea che si compone per buona parte di attività laboratoriali ed esercitazioni seguite ed eseguite su base individuale, in presenza. In quest’ultimo aspetto la didattica a distanza risulta profondamente limitante. Analoga osservazione vale per lo svolgimento delle verifiche di profitto. Si è detto che la didattica a distanza favorisce una valutazione maggiormente oggettiva eliminando l’elemento “umano”. Non solo ritengo che l’oggettività paventata rappresenti una pura utopia, ma sono convinto che in tale modalità al docente vengano meno degli elementi certamente utili ad una valutazione più completa e attendibile. La sicurezza dello studente che affronta de visu il suo esaminatore, la proprietà di linguaggio e, da un punto di vista eminentemente pratico, la trascrizione di formule che vanno accuratamente spiegate finiscono per essere sia un elemento informativo essenziale per il docente, sia un banco di prova che spinge a studiare in maniera più completa e approfondita per il discente. L’esame stesso è un’esperienza certo stressante ma che potenzia quelle che vengono comunemente definite “soft skills” utili poi nella vita, ad esempio in un colloquio di lavoro o in una presentazione al pubblico.
Pur non essendo dalla parte di coloro che demonizzano il cambiamento che ha investito i modi dell’insegnare, credo vada sottolineato che una didattica a distanza non è e non può essere una mera trasposizione della didattica in presenza, né può ambire a sostituirla tout court.
L’impostazione della lezione è totalmente diversa. Nella DAD vi è un minore livello di interazione e questo risulta spesso disorientante, tanto per lo studente quanto per il docente stesso che non ha la possibilità di percepire il livello di sintonia con l’aula. Parliamo di centinaia di ragazzi, connessi contemporaneamente, che finiscono col fruire la lezione a senso unico, e, dall’altro lato, di un solo docente privo della possibilità di avere un feedback che lo aiuti a calibrare i tempi e perfino a gestire le pause. La dimensione dello studio individuale, inoltre, finisce con l’essere slegata da qualsiasi àncora spazio-temporale, poiché le lezioni sono registrate e possono essere fruite in qualsiasi momento, e ciò finisce per indebolire la pianificazione didattica che è assai utile agli studenti meno organizzati.
Senza tenere conto dell’enorme valore in termini di crescita umana che l’interazione in presenza comporta. Andare all’Università restando a casa si traduce in una perdita enorme nella dimensione del confronto e della socializzazione. E seppure ne derivasse un’implementazione efficace delle competenze digitali, saremmo comunque di fronte ad una modalità di studio raffazzonata, dimentica dell’enorme importanza che la concentrazione e la lentezza richiesta da un libro rappresentano.
Il libro di testo — che raccomando evangelicamente ai miei ragazzi — è la fonte di un sapere alfine sistematizzato, completo e corposo, che richiede lentezza e attenzione, e rischia di essere mandato in pensione da fonti di informazione eterogenee e superficiali, ma veloci. Si rischia la costruzione di un sapere fatto di risposte rapide a domande secche, ma privo di fondamenta solide, ampiezza di visione e capacità critiche.
Certo esistono anche aspetti positivi nella DAD, come la facilitazione nella prosecuzione degli studi per coloro che per vari motivi non possono raggiungere facilmente gli istituti universitari. Bisogna riconoscere che comporta un notevole abbattimento dei costi. Ma anche questa è un’arma a doppio taglio perché prefigura una didattica a due velocità dove chi ha la possibilità economica segue in presenza, con tutti i vantaggi del caso, e chi no segue confinato nelle mura di casa, sostanzialmente rinchiuso in se stesso.
In definitiva ci sono enormi problemi da risolvere. Emergenza a parte, non credo che la DAD possa costituire un nuovo modo di fare didattica se si ambisce allo stesso livello di crescita personale e culturale dei discenti, poiché manca o limita una componente fondamentale: l’interazione umana. L’emergenza covid ha comunque trasformato gli atenei in un laboratorio didattico senza precedenti e sono fiducioso che qualcosa di buono verrà fuori.”
Francesca Schiavo Rappo