Buongiorno, Dario. Innanzitutto grazie per aver accettato di rilasciare questa intervista. Presentati. Chi è Dario Di Stasi, per chi non lo conosce?
Buongiorno a voi della redazione ed a tutti i vostri lettori. Io sono un uomo di 39 anni felicemente sposato, fiero della mia formazione ed orgoglioso delle mie origini felittesi. Purtroppo, come tanti meridionali, vivo e lavoro a quasi mille km da “casa”, con familiari ed amici sempre nel cuore, confrontandomi quotidianamente con realtà differenti, ma pensando sempre e comunque nel mio dialetto d’origine.
Come sei approdato al mondo dell’insegnamento?
Per 7 anni, dopo la mia laurea in Biologia, ho lavorato nel mondo della ricerca scientifica e/o farmacologica, nella biologia clinica e soprattutto nella fecondazione assistita. Napoli, Roma, Benevento, Caserta, Vallo della Lucania: sempre da “consulente esterno” o comunque “a tempo determinato”. Quando circa 7 anni fa colei che sarebbe poi diventata mia moglie si è trasferita in Veneto, ho provato a seguirla giocandomi la carta dell’insegnamento. Timoroso del mio nuovo corso, ho iniziato da supplente nella meravigliosa cornice di Venezia ed, in seguito ad un pubblico concorso, mi sono ritrovato a Vicenza non solo con contratto “a tempo indeterminato”, ma soprattutto felicemente innamorato del mio nuovo lavoro.
Come hai vissuto la quarantena e la didattica a distanza?
La tragedia mondiale del Corona virus ha segnato un’epoca dalla quale, come per le guerre mondiali o l’11 settembre, tutto il mondo ne uscirà con una mentalità diversa da come vi è entrato. In virtù del ponte scolastico di Carnevale, io e mia moglie (anch’essa docente) eravamo a Felitto già il 21 febbraio (giorno del primo caso a Codogno). In seguito al lockdown e mediante la didattica a distanza abbiamo vissuto i successivi 5 mesi sempre nel nostro amato paesino d’origine. La reclusione forzata da quarantena ed il lavorare da remoto attraverso un monitor veicolato dal web sono state sfide tanto nuove, quanto faticose da portare avanti: non tanto nel fisico, quanto nella mente.
Pregi e difetti della didattica a distanza?
Personalmente ritengo che l’unico pregio sia da collegare al rinnovamento digitale che il mondo dell’istruzione, da sempre, ha promesso invano di realizzare e che, per causa di forza maggiore, si visto obbligato a mettere in pratica solo in tale drammatica circostanza. Ed anche in maniera repentina. Tralasciando l’aspetto “politico” della vicenda, tuttavia ritengo che la didattica a distanza non abbia portato grandi benefici. Dopo una settimana, l’effetto novità negli alunni è andato via via scemando e, venendo meno l’entusiasmo, ne ha risentito anche il rendimento scolastico. Noi insegnanti ci siamo ritrovati a correggere una valanga di elaborazioni che genitori ed alunni poco inclini alla tecnologia, ci inviavano su canali differenti da quelli ufficiali, magari anche con fotografie non a fuoco. Il che non solo ha rallentato tantissimo il processo formativo, ma ha acuito in me il sospetto che negli alunni sia rimasto ben poco, rispetto a quanto invece sarebbe potuto rimanere di default mediante la classica modalità in presenza. E’ la natura: i giovani hanno bisogno di interagire personalmente con le proprie guide; gli insegnanti necessitano di sguardi dal vivo dei propri allievi.
Sei fiducioso in merito ad un ritorno in presenza, a settembre?
Il Ministero e le singole scuole si sono attivate affinché, garantendo la distanza di sicurezza, si possa rientrare da subito in aula: la mia scuola, per esempio, ha già ordinato sedie con tavole ribaltabili (come si trovano nelle università), in modo da eliminare i banchi recuperando superficie e, quindi, distanziamento. Ovviamente mi auguro che i fondi per il rinnovamento post-covid siano equi-distribuiti da nord a sud…
Più che di “fiducia”, tuttavia, io oserei parlare di “speranza”. Di tutti. E’ la speranza di alunni e docenti per ovviare ai problemi citati poc’anzi. E’ la speranza delle famiglie che necessitano di lasciare i propri figli in un contesto accogliente e formativo. Ma è soprattutto la speranza di un’intera società, poiché la riapertura delle scuole vorrebbe significare iniziare a mettere un primo piede fuori dalle sabbie mobili sanitarie, economiche e sociali in cui un dannato virus ci ha fatto scivolare.
A cura di Monica Acito