Sono affacciati lungo la strada in salita che porta alla valle del Monte Buturnino, sulla cui cima è l’antico monastero femminile e la cappella dedicata a Gesù Liberatore. Sono Arcara, Marini, Alessia, tre paesini in rapida successione, poche anime, circa 350, strette intorno a tre chiese dedicate, rispettivamente alla Madonna del Carmine, a S. Marco Evangelista e a S. Giuseppe. Un unico parroco, Padre Giuseppe Gorintla, nato 43 anni fa in India, terra di grandi povertà, ma anche di grandi speranze donate da Madre Teresa di Calcutta e, ancor prima, da Mohāndās Karamchand Gāndhī, comunemente noto con l’appellativo onorifico di Mahatma, la “grande anima” non solo del suo popolo, ma di tutti coloro che credono nelle rivoluzioni non cruente dell’uomo.
Dall’aspetto bonario, sorridente, sereno, Padre Giuseppe è nato in quello che per noi è una città, ma per lui è un paese di 50 mila abitanti, stante la proporzione con il subcontinente India, che conta un miliardo 350 mila persone circa.
Il suo “paese” è nel distretto di Andhra Pradesh, lo stesso dove nel 1984 Padre Jose Kaimlett fondò la Congregazione indiana degli Araldi della Buona Novella, una società di vita apostolica cattolica con il compito di formare missionari per portare la Buona Novella e la presenza di suoi sacerdoti dove mancano. Una congregazione riconosciuta dalla Santa Sede nel 1999, oggi con presenza di suoi congregati in circa una decina di Stati, tra cui l’Italia.
Padre Giuseppe è nato in una famiglia cattolica, il padre è catechista della sua parrocchia nella quale il piccolo Giuseppe è cresciuto facendo il chierichetto, all’ombra dei Padri Carmelitani.
«Oltre ai miei genitori, – dice Padre Giuseppe – in India ho anche un fratello e due sorelle, una delle quali è suora carmelitana. E una volta l’anno vado a trovarli».
Racconta un po’ del suo passato, Padre Giuseppe, con serenità: «Avevo 16 anni quando ho sentito il desiderio di dedicare la mia vita al Signore. Così nel 1993 sono entrato in seminario e al termine degli studi di Teologia, nel 2001 ho ricevuto l’ordinazione sacerdotale dal mio vescovo».
In Italia è giunto nel 2004 con destinazione la Diocesi di Rieti.
«Faccio parte della Congregazione degli “Araldi della Buona Novella” per cui il Padre Superiore, due anni dopo l’ordinazione, mi chiese se volevo venire in Italia, dove c’era bisogno di sacerdoti. Così giunsi a Rieti, dove sono stato quattro anni. Poi alcuni amici napoletani mi dissero che serviva un sacerdote al Santuario dell’Avvocatella, dove c’è don Gennaro, benedettino, e così sono venuto a Cava, dove sono stato prima con i Benedettini e poi con i Padri Filippini all’Oratorio della Madonna dell’Olmo, quando il vescovo Mons. Soricelli mi affidò questa parrocchia. Ma da quattro mesi sono sistemato quassù, ad Alessia, in una piccola casa canonica e sto bene: qui c’è aria di montagna e poi ho due collaboratori che fanno tutto» aggiunge con un sorriso sereno.
La permanenza di Padre Giuseppe, come quella di tutti i suoi confratelli, è di dieci anni, poi c’è il rientro, ma Padre Giuseppe conta di poter rimanere nell’Arcidiocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni perché «mi trovo bene – dice – con i miei parrocchiani; questa è ormai la mia seconda casa. Certo agli inizi, quando sono giunto in Italia, ho avuto qualche problema con la lingua, ma una volta imparata mi sono sentito a casa, grazie all’affetto, alla disponibilità degli italiani. Soprattutto in questa mia parrocchia non mi fanno mai sentire la lontananza dal mio paese».
Di sicuro Padre Giuseppe non ha dovuto affrontare soltanto le ostilità della lingua, ma anche le differenze di clima e soprattutto di cultura. Ma alla fine, vedendo quale è il suo rapporto con i parrocchiani si scopre una verità semplice e immutabile ovunque: il comune denominatore che unisce le varie etnie, culture, lingue, è il credere nel Vangelo, nell’essere parte di un insieme, ovunque nel mondo ci sia una cappella, un parroco, un catechista. E Padre Giuseppe impreziosisce il suo discorrere, il suo rapportarsi con gli altri con gentilezza, con un sorriso, una serenità d’animo che può dare solo una profonda fede in Colui che ti manda. D’altra gli italiani sono notoriamente disponibili all’accoglienza: la storia ne fa ampiamente fede, anche se, da qualche anno, sta venendo fuori una sorta di odioso razzismo che non ha nessuna base di esistenza. Dice Padre Giuseppe: «Non ho mai sentito ostilità o discriminazione nei miei confronti, anzi ho sentito molto il senso dell’accoglienza, calorosa e affettuosa. E i miei parrocchiani mi dicono sempre che con me stanno bene».
Oltre alla cura delle anime che il Vescovo Orazio Soricelli gli ha affidato, Padre Giuseppe si occupa anche di tener ben viva l’Associazione Alema, una aggregazione ricreativa che si dedica principalmente ai giovani. Quasi soprappensiero, Padre Giuseppe osserva: «Con i giovani c’è bisogno di una particolare attenzione per aiutarli e guidarli nel loro cammino di crescita. Con loro cerco sempre di pormi come amico e lo riscontro la domenica in chiesa». E a Marini, uno dei tre paesini della sua parrocchia, è sorta, per volontà della civica amministrazione di Cava de’ Tirreni, la casa di accoglienza “Dopo di noi” la prima residenza in terra metelliana ad ospitare persone con disabilità nel momento in cui non avranno più un genitore o un tutore al loro fianco.
Un progetto che utilizza il dismesso plesso scolastico del paesino montano e che vede l’Associazione Alema parte integrante e attiva dell’accoglienza. A benedire, non solo materialmente, questa importante iniziativa fu don Giuseppe, alla presenza del sindaco di Cava Vincenzo Servalli.
E’ l’ora della messa vespertina e salutiamo don Giuseppe, già pronto per celebrare: nella chiesa di Alessia, più in alto delle case in alto del paese, i rintocchi a richiamo di fedeli, si spandono sin nella Valle metelliana, allungata verso la terra dei sarrastri. Lassù, ai piedi del Buturnino, lo sguardo spazia sull’infinito, perché si è più vicini al cielo che alla terra. Lassù Padre Giuseppe Gorintla, indiano di nascita, invita i suoi fedeli alla recita del “Padre nostro”, come tutti i sacerdoti del mondo.
Vito Pinto