Carmine Pinto, accademico, storico di fama internazionale, scrittore di certo successo, scienziato umanista con particolare attenzione al ‘800 e ‘900, insomma vanto italiano nel mondo, ha risposto ad alcune nostre domande.
Perché hai scelto la storia come materia di riferimento delle tue ricerche?
La ricerca e il racconto storico sono una esperienza affascinante. Sul piano professionale, si tratta di una continua dialettica tra domande al passato e indagini tra i suoi resti, tra questioni storiografiche e problemi posti dalla comunità scientifica. Insomma un lavoro che consente sfide intellettuali e professionali continue e spesso sorprendenti. Invece, sul terreno del racconto, la storia è una rielaborazione continua. Un ininterrotto corpo a corpo che si rinnova per la distanza con il passato, i materiali disponibili, il confronto intellettuale con il presente. Il mestiere dello storico diventa così una grande possibilità di studio, narrazione e discussione, spesso più vivo e contrastato di quanto si pensa. Pertanto, dal mio punto di vista, è una professione appassionante e sempre innovativa.
Ci parli del tuo ultimo capolavoro La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti. 1860-1870, opera storiografica di estrema importanza?
La ringrazio molto, ma non posso certo valutarne io il ruolo storiografico. Si tratta di una ricerca di lungo periodo su un problema centrale della storia dell’Italia contemporanea: l’incontro tra l’antico conflitto civile meridionale e la rivoluzione nazionale unitaria. Il libro propone una interpretazione della rottura interna alla nazione napoletana, tra repubblicani e sanfedisti, borbonici e napoleonidi, liberali ed assolutisti, unitari ed autonomisti che ha marcato la storia del regno per oltre sessant’anni. Una frattura che si risolse e fu assorbita dalla guerra per l’unificazione italiana. Attraverso il palcoscenico della guerra, ho cercato di confrontare le prospettive di tutti gli attori in campo: nazionalisti italiani e borbonici legittimisti, combattenti unitari e briganti meridionali, insieme ad alleati nella penisola ed in Europa (nazioni, intellettuali, gruppi politici, istituzioni religiose). E’ stata una sfida di ricerca e di problematizzazione che mi ha coinvolto per più di dieci anni, che considero ancora aperta per la quantità di questioni e problemi storiografici in campo.
Quali atteggiamenti pensi possa suggerire la storia per affrontare questa terribile situazione pandemica?
Io penso che innanzitutto dobbiamo osservare la stagione che viviamo. La seconda globalizzazione ha rappresentato il momento di maggiore crescita della libertà, riduzione della povertà, sviluppo delle possibilità di comunicazione. Sicuramente il momento più intensamente ricco di possibilità e opportunità della storia, dalla facilità nel viaggiare alla comunicazione digitale. Insomma la pandemia ha registrato una crisi di grandi dimensioni, ma anche mostrato una imponente e del tutto nuova attenzione per la vita umana. Ha visto sulla scena di autocrazie dittatoriali vecchie e nuove ma anche la possibilità di rinnovare la democrazia liberale e i suoi straordinari successi. Insomma, la crisi è forte, ma la combinazione tra liberalismo e globalizzazione ci offre possibilità straordinarie per superarla.
Che conseguenze avrà questa drammatica pandemia nell’università e nella ricerca?
In Italia (e nel mondo) si è registrata una straordinaria capacità di adattarci ed innovare i nostri strumenti per rispondere all’emergenza. L’offerta di lezioni, esami, sedute di laurea non si è interrotta neppure un momento, mostrando le capacità operative, oltre che scientifiche, del sistema universitario pubblico italiano. Ovviamente ora bisognerà tornare all’interno delle istituzioni, per ricostruire anche fisicamente, la comunità accademica innanzitutto tra gli studenti.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Beh tanti, innanzitutto i progetti di ricerca scientifica con gruppi italiani ed internazionali, poi un nuovo libro, spero per la seconda metà del 2021.
Che consiglio ti senti di dare ai tuoi studenti per intraprendere la tua stessa carriera?
Credere nelle proprie possibilità e nelle opportunità straordinarie che offre la società aperta del XXI secolo. Evitare luoghi comuni e stereotipi, oppure strade contorte. Non ci sono mai state tante occasioni, bisogna tenere la barra dritta.
Ringraziamo infinitamente Carmine Pinto per i preziosi insegnamenti, che con chiarezza e gentilezza ha esposto.
Lucrezia Romussi