I centri storici dei borghi della Valle del Calore, come conchiglie sulla battigia, vengono spesso abbandonati e lasciati in preda ad uno spopolamento selvaggio. In estate vivono il loro momento di apparente gloria, con sagre, feste, attività di promozione del territorio e quant’altro, ma dai primi scampoli di settembre in poi, il nulla. Lo spopolamento si può addurre ad una miriade di ragioni, le più significative sono ovviamente di carattere lavorativo e socio-economico, data l’emigrazione robusta di molti autoctoni dal proprio borgo natìo.
Si potrebbe parlare di un vero e proprio “ghost tour”: se si elencassero un po’ di centri storici dei borghi cilentani, si potrebbe intraprendere un vero e proprio pellegrinaggio in questi luoghi fantasma.
L’abbandono è la cifra costitutiva di molti centri storici dei nostri paesi: sono rimasti soltanto i soliti anziani ad addomesticare il silenzio, nello stesso modo con cui accarezzano i gatti sulle panchine.
I centri storici sono i veri e propri martiri dei paesi: sono i primi ad essere abbandonati e gli ultimi a cui si pensa.
A Felitto qualche coraggioso giovane ha deciso di investire nel centro storico, scegliendolo come dimora e nido d’amore dopo il matrimonio, ma purtroppo sono casi isolati.
Il decremento demografico ha inciso in maniera selvaggia e massiccia sui centri storici: spesso vengono i brividi a passeggiare, di sera (non a notte fonda!) tra le pietre e le antiche case dei nostri avi.
Ma quando invece l’abbandono è vero, reale e tangibile e diventa la cifra costituiva e il tratto pregnante della fisionomia di un paese? È questo il caso di Roscigno Vecchia, che dell’abbandono ha fatto un vessillo. La storia di frane e alluvioni di Roscigno è nota a tutti gli abitanti dei paesi limitrofi, che nel corso dei secoli hanno sempre osservato la riedificazione progressiva del cosiddetto “paese che cammina” (appellativo che Roscigno si è conquistato per via della sua mobilità): è stato infatti riedificato più volte e Roscigno Vecchia, ad oggi, è disabitata per via dei pericoli dati appunto dalle diverse frane. Imbalsamato nella pietra e nei ricordi, il borgo è come un corpo invecchiato che vede l’affievolirsi delle sue funzioni biologiche. Ma la vita continua a serpeggiare nelle viuzze, una vita fioca e dipinta di solitudine. Al di là delle storie pseudo-folkloristiche incentrate su fantomatici ultimi abitanti o no, ultimi reduci e superstiti, è un’esperienza catartica per tutti di visitare questo paese. Spesso i borghi disabitati raccontano più storie rispetto a qualsiasi sagra o avvenimento ricreativo, perché aggirarsi tra le vie deserte e contemplare l’aria vuota, come un simulacro spoglio, è un’esperienza che lascia nell’anima un impatto più forte e distruttivo di qualsiasi parola ben spesa e confezionata.
Quali sono le soluzioni concrete, reali, per poter porre fine allo spopolamento dei centri storici dei nostri borghi? Qual è la soluzione per non arrivare all’implosione edilizia?
Andrà sicuramente ripensato il concetto di centro storico: si auspicano riunioni di sindaci, anche riuniti, di autorità competenti, per capire come riutilizzare e riqualificare il centro storico; come valorizzarlo, quali manifestazioni ed eventi organizzare per sfruttarlo in tutte le sue potenzialità (sarà un ragionamento da fare in un’ottica futura, poiché il covid è ancora una realtà a noi troppo vicina), come ripopolarlo e come fare per preservare le sue particolarità storiche.
Monica Acito