Affacciato sull’ampio golfo di Salerno, dirimpettaio della Costiera Amalfitana, Postiglione è un nugolo di case, strette intorno al Castello Medioevale che fu di “Giovanni da Procida”, ed è uno dei Comuni del Massiccio degli Alburni, alteri a spartiacque tra il Cilento e il Vallo di Diano, compresi in quell’ampio Parco Naturale, per vocazione e per legge, che spesso diviene segno di contraddizioni.
Un territorio antico, ricco di storia, risalente ai romani che alla “Duchessa” avevano una stazione di cambio cavalli.
Poco più di duemila sono gli abitanti e tutti, nei secoli, hanno onorato la cappella di San Vito la cui esistenza si riscontra già in un documento del 12 luglio 1580 dove viene citata come “ecc.(lesia) Sancti Viti extra moenia”, luogo quindi che sin dal Cinquecento ha vissuto momenti di grande intensità religiosa rappresentando il legame profondo che intercorreva tra il mondo del sacro e la natura agricola e contadina del paese. In un “istrumento” del 1759 del Notaio Giovanni Ranucci la cappella è descritta ubicata sulla “strada chiamata di S. Vito, che cala nelli Molini – molto numerosi nella zona –, nel principio della quale esiste una picciola cappella sotto il titolo di S. Vito con titolo d’Abbate, qual è presentemente il Reverendo D. Marco del Duca Napoletano, stà ella coverta con soffitta di tavole, e quadro sopra tela sull’altare coll’immagine di Santa Maria del Carmelo, San Vito e la Maddalena”. Descrizione questa della tela che fa pensare ad un’opera diversa da quella oggi esistente, realizzata l’anno successivo all’atto notarile, cioè nel 1760 e nella quale vi era rappresentata anche la Madonna del Carmelo assente nella tela di Antonello Della Bruna.
Con il rifiorire settecentesco delle arti, in questa Cappella comparvero decori a stucco, oggi pressocché scomparsi, alcuni elementi floreali, ed una croce posta al di sopra di una piccola acquasantiera. Ma la parte più interessante è proprio la tela di Antonella Della Bruna posta sull’altare maggiore in una cornice a stucco alquanto gradevole. In uno studio del 1997, pubblicato sul numero di giugno di quell’anno dal periodico “Il Postiglione”, ancora oggi egregiamente diretto da Generoso Conforti, il prof. Adriano Caffaro dell’Università di Salerno, a proposito della tela scriveva: «L’opera presenta… sintomi appena percepibili ma significativi, di una lettura ben commisurata alla situazione sociale e religiosa del tempo e del luogo dov’è l’opera; per la cui esecuzione è certamente intervenuta la specifica richiesta della committenza nella scelta del tema e del modello iconografico» Cosa che sta a significare una notevole devozione verso il Santo martire Vito, che nella tela è rappresentato con una iconografia classica: «decoroso abito con la palma del martirio – annotava il Caffaro – che idealmente prosegue oltre il quadro e con uno dei due cani con cui di solito è rappresentato. Attenta cura è dimostrata nel descrivere il giovane volto e l’abbigliamento del Santo. I drappeggi, benché ricchi, risultano innaturali, come da posa molto studiata. Sulla sua destra – centro del quadro – è rappresentata la Maddalena che avvolge, con la mano sinistra e la testa inclinata e poggiante, la Croce». Una composizione sacra, dunque, definito un “arcaismo compositivo” che propone una immagine di devozione i cui prototipi sono presenti “nel repertorio figurativo dei Solimena”.
Non pochi sono stati, nei secoli, gli interventi conservativi alla chiesa, tutti puntualmente registrati dalla storia e sempre tutti realizzati, segno tangibile di un legame profondo che gli abitanti di Postiglione hanno con questo luogo di culto.
Oggi è il FAI (Fondo Ambiente Italia) che ha inserito la tela di Antonello Della Bruna nell’elenco de “I luoghi del cuore” in occasione dell’annuale campagna di tutela e conservazione del patrimonio d’arte italiano.
Una iniziativa diremmo doverosa visto il perdurare di un’attenzione degli abitanti di Postiglione verso questa cappella extra moenia, che aveva probabilmente funzioni di culto per i viandanti oltre che punto di riferimento del ceto rurale. Non va dimenticato che sino alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, ogni anno vi portavano gli animali a benedire nel giorno della festività del Santo martire.
Vito Pinto