«Se il vostro paese conta seimila abitanti, visitatene uno che ne ha quattromila e così via. Senza motivo, senza che vi sia una sagra, una festa, un evento, andateci e basta» – conclude così i suoi incontri con il pubblico Franco Arminio, poeta e “paesologo”. Così ho fatto anch’io. Lungo la costa cilentana, tra Ascea e Palinuro, ho fatto sosta a Pisciotta.
Pisciotta è un borgo medievale di 2 600 abitanti, a sud di Salerno, nel Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano, Alburni. L’abitato si è sviluppato intorno alla cima di una bassa e ripida collina. Abbraccia le frazioni di Marina di Pisciotta; Rodio, che la leggenda vuole originata da un insediamento di Cavalieri di Rodi; Caprioli, priva di un vero e proprio centro urbano. Pare sia stata fondata dagli abitanti di Molpa, località a sud est di Capo Palinuro. Molpa, insediamento pelagico – distrutto durante la guerra gotico bizantina VI secolo – venne abbandonato dai suoi abitanti che si rifugiarono sulla collina soprastante il mare, dove oggi sorge Pisciotta. In realtà, la prima notizia certa la leggiamo in un Diploma di Re Ruggiero (1131), nel quale si fa riferimento al toponimo “Pisciotta”. Migrazione che darà vita ad un maggior apporto abitativo si ha nel 1464. Nuovamente da Molpa – saccheggiata dai Saraceni – arrivano profughi che divengono definitivamente i “pisciottani”. I Normanni avevano instaurato un regime feudale che proseguirà. Si susseguiranno, infatti, molte famiglie: dai Caracciolo ai Sanseverino; dai Pappacoda, ad un generale spagnolo Sancho Martinez de Leyna; dai Pignatelli, fino ai principi Doria d’Angri. Con questi ultimi si estingue il feudalesimo. Dopo l’arrivo di Gioacchino Murat, si parlerà di Comuni o Municipi.
Già nel 1708 era uno dei paesi più popolati e più ricchi del Principato Citra. Fiorenti erano i traffici commerciali marittimi con i quali si trasportava olio e si commerciava il sale. La presenza di produzioni agricole, come l’olio e le alici, consentiva un elevato tenore di vita di molte famiglie. Infatti, prima di raggiungere il centro storico, gli alberi d’olivo sono la vera caratteristica del territorio. Si susseguono imponenti e fungono da guardiani del luogo. Costituiscono una specie locale, tanto da aver indotto gli studiosi di botanica a definirli “cultivar pisciottana”. Diversi studi fanno pensare che furono innestati da comunità di monaci basiliani che si trasferirono qui dall’Asia Minore. Non solo file di ulivi che discendono verso il mare, anche alberi di fico dai frutti zuccherini. La vegetazione, mediterranea, è ricca di lentischi, mirtacee e corbezzoli.
Una volta giunta a direzione, spicca l’abitato di Pisciotta. Con le sue case arroccate, si pone su un’altura e lambisce il mare. Via via, si incontra la piazza Raffaele Pinto. Ancora centro propulsore. Qui ci si incontra per un caffè o ci si siede all’ombra. Il chiacchiericcio, al primo sole di giugno, non manca. Salendo gli scaloni, percorro il Centro Storico. Prima sosta è al Palazzo Marchesale. Castello di cui si trova traccia nel 1100. Oggi sede della Biblioteca comunale e di mostre di pittura e fotografia, che si tengono d’estate. Suggestivo al calare del sole, quando riflettori lo illuminano. Si raggiunge, poi, la Cattedrale dedicata ai Santi Pietro e Paolo, in cui si trovano le opere della scuola caravaggesca. Più in là, nascosta, la Cappella di San Michele, oggi con porta in vetro per poter ammirare il Santo. Il centro storico si presenta con viuzze strette ed anguste, costruite così per controllare le incursioni. La prima percezione è di ritrovarsi in un labirinto, da cui si può uscire facilmente perché quasi tutte le stradine portano alla piazza principale. Pisciotta godeva di una vita attiva. Ne sono un simbolo i semafori, che avevano lo scopo di gestire il traffico. «Fino ad alcuni decenni fa la vita amministrativa si svolgeva proprio nel centro storico. Vi era la Pretura, l’ufficio postale, il Comune »- racconta Massimino Iannone, ex docente di matematica e autore di ‘Lettere dalla Soffitta’.
Non è raro, però, passeggiare e imbattersi in un panorama inesistente, fatto di quotidianità non spazzata dal tempo. Fingo che sui terrazzi ci siano ancora graticci di canne su cui si ponevano i fichi ad appassire. Per poi guarnirli con mandorle, noci, semi di finocchio selvatico e bucce di mandarino. Qualche donna, più in là, inforna il pane, per poi preparare le freselle condite con olio e pomodoro. Il bucato, appena steso, fluttua al fruscio del vento. Non è raro imbattersi in qualche stalla per l’asino e frantoi in cui si produce un ottimo olio. Da qualche vicolo si avverte il profumo del pescato del giorno. Sarà qualche ristorante che, anni fa, ha avuto il coraggio di rischiare e ha avviato un’attività. Ci sono pesci pregiati: saraghi, cernie, corvine spigole e triglie. Ma il mare di Pisciotta è noto perché si pratica, da centinaia di anni, la pesca delle alici con un sistema antichissimo. La pesca con la Menaide, in dialetto Menaica, veniva praticata dal contadino – nei tempi in cui i cicli dell’agricoltura erano fermi – che pescava l’unico pesce che consentiva di essere commercializzato, perché conservato sotto sale. Alcuni negozi di artigianato – seppure si sia perso – colorano queste strade: vasi, sandali, borse e souvenir per i turisti.
Tra le tante casette in pietra e gli stretti vicoli si scorgono olandesi, svedesi e australiani che hanno deciso di acquistare casa. Non solo, c’è chi ha deciso di investire in un albergo diffuso. Certamente, nel centro storico lo spopolamento c’è stato. Molti giovani sono partiti, chi per ragioni di studio; chi per lavoro; chi alla ricerca di una vita migliore. Ormai Pisciotta vede una prevalenza di anziani e case per lo più abbandonate o disabitate. Un pensiero va proprio a questi ultimi, schiavi delle barriere architettoniche. «Sarebbe necessario – dichiara il professore – creare delle stradine per consentire anche un accesso ai mezzi di emergenza o di carico e scarico. Lo spopolamento nasce anche da questo, al di là del numero degli abitanti, dato che molti costruiscono la casa altrove ». È la Pro Loco ad aver preso le redini in mano e cerca di curarne i dettagli: «Gli ostacoli ci sono perché non c’è mai stata una vera riqualificazione né una rete concreta tra amministrazione e privati. Pisciotta ha un grande potenziale, ma manca la consapevolezza »- afferma Giancarlo Agresta, presidente della Pro Loco. Il paese è penalizzato anche dalla strada, Rizzico, rimasta sospesa tra lentezze burocratiche. Oltre che dai trasporti, sempre meno efficienti. «Ma chi viene qui – ne è sicuro Giancarlo – accetta la sfida del paesino tortuoso. Tant’è che possiamo vantare di un turismo di qualità ». Un’inversione di tendenza, tuttavia, si registra. Si è attratti dalle dimore di campagna, che preferiscono agli appartamenti di pochi metri quadrati. Altri sono alla ricerca di luoghi ameni. Mi dicono che chi ha acquistato casa a Pisciotta lo ha fatto perché girovagando per il Cilento ne è stato attratto. Per di più «il clima mite, la quiete, la sentieristica – che si sta cercando di mappare e rendere fruibile – alcuni eventi, come la Via Crucis o il Presepe vivente, sono segnali che rendono possibile la destagionalizzazione». In seguito alla pandemia questi borghi sono stati visti come spazi privilegiati, tant’è che molti li hanno preferiti al caos delle città o per sfuggire al contagio. «Tanti si accontentano per via dell’attaccamento alle proprie radici ma è un atto di forza che non porta a niente. Sarebbe necessaria una vera e propria rivoluzione culturale »- conclude Giancarlo. Mentre il professore ritiene che oltre ad essere necessaria una rete tra più paesi, si debba lavorare anche attraverso le istituzioni: «La scuola deve far comprendere ai ragazzi l’identità e le potenzialità del territorio in cui risiedono. Solo conoscendo il tessuto urbano, storico e culturale potranno prendere coscienza e rimanere qui per migliorarlo e non farlo morire»