Siamo agli inizi degli anni trenta del ventesimo secolo: sono gli anni della grande crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti a partire dal 1929 cui seguirà la Grande Depressione che da lì a poco approderà anche in tutta Europa. Franklin D. Roosvelt impronta il New Deal, l’Italia vince il suo primo titolo ai mondiali di calcio, in Spagna scoppia la guerra civile.
Si impone la dittatura del PIL: il Prodotto Interno Lordo è, d’un tratto, misura della ricchezza di una nazione, unico strumento in grado di rendere conto e con accuratezza del reddito nazionale ovvero dell’efficacia e dei risultati delle politiche economiche messe in atto dagli Stati.
La religione delle cifre è una miniera di paradossi: nel conteggio della ricchezza finiscono anche aspetti che non solo non hanno a che fare con la qualità della vita dei cittadini, ma sono, a volte, addirittura dannosi.
Nella nostra contemporaneità, quello che chiamiamo “effetto piscicelli” ne è uno spaventoso esempio. L’imprenditore che “rideva” del terremoto dell’Aquila contandosi in tasca la crescita degli investimenti per la ricostruzione, ha mostrato quanto poco umana fosse questa tirannia. “Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. […] Non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. […] Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Sono parole di Robert Kennedy, pronunciate nel 1968 nel celebre discorso alla Kansas University.
Nei decenni i detrattori, e a ragione, sono fortemente aumentati e la massima sul denaro, che non fa la felicità, si è agganciata ad una nuova etica del benessere, dando modo ad economisti, sociologi ed esperti di ripensare gli ingredienti della felicità.
È emblematico a questo riguardo il caso del Buthan. In questo piccolo pezzo di terra, situato tra l’India, il Nepal e il Tibet, alle pendici dell’Himalaya, il PIL è stato sostituito con il FIL, l’indice di Felicità Interna Lorda, un parametro che pone la persona al centro del concetto di sviluppo. Il FIL nasce nel 1972 in Inghilterra, ma diviene più che un’utopia soltanto quando, nel 2008, il Primo Ministro del Buthan decide di adottarlo come filosofia di base della vita del suo paese. Meno lontano il caso dell’Uruguay di Josè Pepe Mujica, il presidente nullatenente che ha fatto della ridistribuzione della ricchezza la sua personale impostazione di vita, oltre che di governo. Si tratta di un mutamento di obiettivi non molto diversa dalla formula del BIL, il Benessere Interno Lordo, portato all’attenzione di tutti dal movimento della decrescita felice, e caro anche ad una certa anima del M5S, quella che ha partorito i redditi di emergenza e di cittadinanza che dir si voglia. È avere a disposizione il necessario per sentirsi appagati, fuori dall’induzione di sempre maggiori bisogni da soddisfare traducibili in nuovi prodotti da acquistare e consumare.
Pilastri della cultura del FIL sono la sostenibilità e l’equità di qualsiasi forma di sviluppo, la salvaguardia dell’ambiente e la preservazione della cultura locale, cui fa da corollario l’adozione di politiche coerenti con questi valori. Nel nostro piccolo Cilento Mondo, sembra respirarsi e aspirarsi ad una simile visione.
I crimini non registrano certo numeri da capogiro, spesso le porte delle nostre abitazioni restano aperte e non è raro notare auto in sosta con la chiave nel quadro.
Inconsapevoli avanguardisti, siamo privilegiati da una microeconomia dell’armonia e del rispetto che ci è caduta addosso come una mitologica manna. Senza alcun particolare affanno godiamo di un’eccezionale qualità della vita, che si misura specialmente sul fronte ambientale. Ne abbiamo avuto un’ennesima conferma appena nei mesi trascorsi, quando per far fronte ad una pandemia, abbiamo potuto godere di spazio a sufficienza per le nostre solitudini, di aria salubre, di paesaggi consolatori allo sguardo. L’acquisto di merci ha visto una riduzione in favore dello scambio di beni in autoproduzione, piccoli baratti tra pani e lattughe, all’insegna della sobrietà e della dedizione. Un piccolo cosmo a sé stante, che impara a meritare sé stesso fornendo una testimonianza di un altro mondo possibile: il Cilento.
Ed ecco allora che si potrebbe immaginare un CIL, un Cilento Interno Lordo, fatto anche qui di sostenibilità, rispetto e cura delle tradizioni, qualità delle relazioni e scambio equo, che non si delinei tuttavia come nostalgia del passato, ma come forte presenza. In altri termini, consapevolezza.
Francesca Schiavo Rappo