Terzo vescovo di Capaccio-Vallo fu Giovanni Battista Siciliani. Nato a Camposano il 12 settembre 1802, frequentò il seminario di Nola e a venti anni indossò il saio dei frati minori conventuali; novizio a Napoli, studiò teologia, diritto e storia nel collegio di S. Bonaventura a Roma. Conseguita la laurea, nel 1832 egli ritornò a Napoli; ordinato prete dal 1825, operò nella capitale partenopea e dal 1842 fu ministro provinciale dell’ordine, dal 1846 al 1857 segretario generale e procuratore a Roma. Per ventidue anni egli rivestì l’incarico di regio revisore dei libri nel Regno, esaminatore pro-sinodale della diocesi di Napoli e convisitatore. Nel concistoro del 20 giugno 1859 fu preconizzato vescovo di Capaccio-Vallo. Il processo canonico per la nomina era iniziato il 14 giugno 1859, dopo la vacanza per il trasferimento a Larino di mons. Giampaolo. Nel descrivere i confini, si asseriva che la nuova circoscrizione ecclesiastica, ancora molto vasta, era “poverissima”; inoltre, si dava mandato al vescovo di trasferire il seminario da Novi presso la propria residenza.
Mentalità e spiritualità del presule emergono già nella prima lettera indirizzata alla diocesi. Egli riferisce di essersi ritirato a Napoli, dopo gli impegni romani per conto dell’ordine, quando riceve la nomina a vescovo. Nel descrivere la diocesi, anche se in modo errato, egli cita la tradizione delle reliquie di s. Matteo e invoca i santi protettori, il consiglio dei canonici, la collaborazione dei parroci, esaltando la testimonianza della vita consacrata, l’istruzione e la preghiera per i chierici. Non dimentica di salutare le autorità civili e giudiziarie e termina con l’elogio di Francesco II, figlio di una santa.
Mons. Siciliani fu consacrato vescovo a Roma nella Chiesa dei Dodici Apostoli il 26 giugno del 1859 e fece ingresso a Vallo il 23 agosto. Il 6 aprile dell’anno successivo iniziava la santa visita, scegliendo come collaboratori il provicario Ignazio Aulisio e il canonico Leopoldo Riccio. Il 10 gennaio 1860, a Vallo da appena cinque mesi, evidenziò con estrema chiarezza i problemi pastorali iniziando dalle disfunzioni del seminario “su l’alto nevoso colle di Novi (…), dove la coltura intellettuale ha sempre avuto una madornale superficialità; e questa congiunta all’inclemenza della topografia ha dato alla Diocesi e pochi e gretti Sacerdoti, almeno nella maggior parte, cosicché esistono paesi e villaggi nel Distretto di Vallo, che o non hanno affatto Sacerdoti nativi, o ne hanno pochissimi. Or se io voglio adeguare i pochi che ci sono, li trovo in gran parte ignoranti, e siccome l’ignoranza non suol andar disgiunta dal vizio, così li trovo ancor viziosi. Se voglio accorrere all’uopo col disporre de’ Sacerdoti nativi di altri paesi, che ne hanno maggior numero, mi si para innanzi oltre i suddetti difetti, la estrema miseria delle Chiese, alle quali vorrei destinarli, adducendo essi il ragionevole motivo che in un paese non nativo non potranno vivere, se la Chiesa non offrirà loro un convenevole sostentamento; e così restano infruttuose le mie disposizioni. Se invoco il sussidio de’ Comuni rispettivi, mi si risponde che dessi sono più poveri delle Chiese stesse poverissime”. Persisteva, quindi, la situazione alla quale mons. Zuccari aveva tentato di porre rimedio nel secolo precedente. Il presule non nascondeva la responsabilità “di togliere questo positivo inconveniente ch’è nato dalla poco coltura del Seminario” Mons. Siciliani opta per la costruzione a Vallo di un nuovo seminario scegliendo come modello di organizzazione quello di Nola, fondato da mons. Torrusio una volta trasferito in quella diocesi e del quale il nuovo presule fornisce una positiva testimonianza. Tra le cause di tante radicate disfunzioni egli enumerava “la svantaggiosa posizione” in cui “aveva trovato il clero”; mentre “non pochi paesi e villaggi o non hanno il Maestro Primario di Scuola Pubblica, o l’hanno insufficiente al bisogno. Nel che influisce grandemente anche il meschinissimo stipendio assegnato specialmente a’ tanti villaggi che formano quasi la maggior parte del Distretto. Ma dove esiste il Maestro, buono o cattivo, che sia, i genitori neppure pensano a mandarvi i loro figliuoli, perché avviliti dalla fame e dalla miseria indescrivibile, rivolgono tutti i loro pensieri a procacciarsi il tozzo di pane. Si dica lo stesso della Maestra primaria per le fanciulle. Dunque aumento di stipendio al Maestro e alla Maestra, e lavori pubblici alle Classi miserabili sarebbero gli opportuni provvedimenti a’ tanti mali che lamentansi nel Distretto di Vallo. Si aggiunga che nel Distretto di Vallo esistono non pochi, che sebbene siano, come suol dirsi, senz’arte e senza parte, pur mangiano bene e bevono meglio; e costoro dicesi essere gli esecutori delle private vendette. Si purghi dunque questa terra di gente sì perniciosa, ed ecco un gran rimedio a scemare almeno il numero de’ mali che si deplorano”.
L’esperienza episcopale di mons. Siciliani fu segnata dall’esilio, traumatica vicenda che lo accomunò a tanti altri presuli del Mezzogiorno. Costoro regolavano i rapporti con lo dinastia borbonica secondo i dettami del concordato del 1818; ma i tradizionali contrasti col clero favorirono il radicarsi dell’ideologia risorgimentale tra i sacerdoti. Alcuni denunciarono la tirannide episcopale, mentre fedeli e presbiterio rimanevano colpiti dal diffuso anticlericalismo, aggravato dall’applicazione delle leggi piemontesi, che il 15 agosto 1867 abolirono le ricettizie. La decisione ebbe gravi ripercussioni nella diocesi, dove era il centro spirituale ed economico della comunità; mentre i liberali la ritenevano un ostacolo alle funzioni spirituali della chiesa, la sua abolizione determinò l’alterazione nel rapporto tra religiosità e territorio.
Vescovi e clero di formazione tomista percepirono come una frattura l’orientamento del basso clero ad accettare la rivoluzione. L’ostilità al plebiscito determinò l’espulsione di mons. Siciliani, il quale fu assente dalla diocesi fino al dicembre 1866. Legato ai Borbone e rispettoso delle prescrizioni vaticane, egli si astenne da atti che potessero risultare un riconoscimento del nuovo ordine. Durante la rivoluzione del 1860 egli fu insultato e minacciato di morte; non sentendosi sicuro a Vallo, fuggì a Napoli avendo saputo che a Pattano una mano assassina lo attendeva per scaraventarlo sotto il ponte.
L.R.