Scorgo un uomo su una panchina, fissa il verde. Ne scorgo un altro passeggiare col suo bastone. Altre due signore, invece, mantengono la distanza. Ogni mattina, si danno appuntamento per respirare “l’aria pura del mare” mi dicono. A fatica si lasciano andare al primo sole. A piccoli passi, trascinano le loro gambe. Spalle ricurve, occhi stanchi, mani raggrinzite. Li osservo e penso che non li abbiamo ringraziati abbastanza, i nostri anziani. Né abbiamo dedicato loro tempo. Ce ne siamo dimenticati, forse perché troppo vecchi. Ma anche loro hanno patito la solitudine. I più fortunati, come Luigi, hanno coltivato l’orto di proprietà. Fila di pomodori diventeranno rossi e si presteranno a invitanti ricette. Altri hanno fatto fatica a salutare gli amici ‘della partita a carte’. Erano soliti incontrarsi al circolo del paese, chiacchierare in piazza e dirsi ‘a domani’. Altri, dietro ad un telefono, hanno nascosto le lacrime per il figlio lontano. Altri ancora hanno imparato ad usare i social. Le nonne hanno sfornato ciambelle al cioccolato per i nipoti. I nostalgici hanno riscoperto vecchie foto, raccontato aneddoti di vita trascorsa, rispolverato qualche libro. Altri, invece, privi di parola hanno comunicato con gli occhi. C’è anche chi, a causa di una malattia meschina, non si è accorto di niente. O forse, in un momento di lucidità, ha pianto per l’incertezza imminente. C’è ancora chi, alla sua età, si è messo in fila alla Caritas. Chi ha cercato l’amore di un volontario o di una badante, lasciandosi imboccare. E poi c’è chi ha avuto paura di morire, ma ce l’ha fatta nonostante l’età. Tanti centenari hanno sconfitto il Covid. Altri invece sono stati battuti. La strage si è consumata nei letti d’ospedale o nelle case di cura. Lontano dai familiari non hanno potuto dire addio. Se ne sarebbero andati perché troppo vecchi, è stato detto. Vecchi, stanchi, malati cosa importa? Se ne sarebbero andati sì, ma non così. I nostri anziani, custodi di memoria, sono finiti tra gli ultimi. Schiacciati da un sistema che non si è curato di loro, ma che li ha accantonati solo perché improduttivi.
Cosa abbiamo donato ai nostri anziani? Pochi finanziamenti, poche cure, poca assistenza. Non solo. Li abbiamo persi senza aver detto loro ‘grazie, abbiamo ancora bisogno di voi, del vostro vissuto, dei vostri insegnamenti’. Grazie, abbiamo bisogno della vostra memoria. Abbiamo bisogno dei vostri racconti e del vostro passato. Fatto di guerra, fame e sofferenza. Ma anche di lotte per un mondo migliore e desideri genuini.
Cosa abbiamo donato ai nostri anziani? Ancora una volta indifferenza. Non può ripetersi, almeno non più. Tempo fa lessi un libro di Ferruccio de Bortoli – che poi ho inserito nella mia tesi sull’indifferenza. Reca un titolo molto particolare “Ci salveremo. Appunti per una riscossa civica.” L’autore intravede un popolo disperso e frastornato, adattatosi al senso comune. Nonostante ciò coltiva una speranza e formula un impegno. «C’è un’Italia che attende il segno di una riscossa. Un paese che vorrebbe emanciparsi dalla paura. Una comunità che crede nella possibilità di costruire una società migliore. Ma non una società chiusa e cinica. Bensì solidale, aperta, basata sul lavoro, lo studio e il merito […] Non siamo diventati tutti così egoisti, maleducati, sguaiati e menefreghisti». Cos’è che realmente può salvarci? la «coltivazione non retorica, ma attiva e consapevole della memoria». Potremo salvarci solo se respingeremo astio, insulti, intolleranza, che creano ostilità e timore. Ci salveremo impegnandoci insieme. Ci salveremo se sapremo scoprire quel moto di indignazione. Forse ci salveremo soprattutto lavorando sulle nuove generazioni. Insegnando loro le regole, l’educazione, a dosare i linguaggi. Insegnando loro ad aprire gli occhi, ad osservare ciò che li circonda, ad essere consapevoli delle barbarie che ci hanno appiattiti e delle rinascite. Ci salveremo insegnando loro a guardarsi allo specchio, ad essere felici, speranzosi, visionari.
Ci salveremo stringendo la mano del prossimo. Basti pensare al «sistema del volontariato italiano. Basta solo dare uno sguardo a questo esercito del bene per convincerci che il Paese può avere un futuro meno incerto». Ebbene questi uomini che ogni giorno impediscono che le cose ‘scivolino via’ non sono eroi, non sono più coraggiosi di altri. Forse si indignano perché non sono privi di sentimenti. Forse si indignano, combattano, non si piegano perché, semplicemente, non sono indifferenti.
Noi, intanto, speriamo che quella condizione immutabile – in cui tutto si presenta a ripetizione – blocchi il suo corso. Speriamo che quella dolorosa cecità possa arrestarsi. Speriamo che quella oscurità, in cui non si trova più vita né liberazione, incontri un barlume di umanità. Speriamo che quel grido sociale, quel moto di indignazione che ha accompagnato i secoli non si arresti mai. Attendiamo che il desiderio nasca dai giovani, i quali dovrebbero avere più occhi per individuare il marciume che ci sovrasta e ci piega.
Indifferenza è abbandono, silenzio che consuma lentamente. Perciò, liberiamoci da quella solitudine vigliacca che ci schiavizza e impedisce di stringere la mano all’altro. Insieme è possibile venirne fuori. Riscopriamo la tenerezza. Diamo un altro abbraccio ai nostri anziani prima di perderli. Salviamoli dall’indifferenza.