Nell’agosto del 1966 mons. De Leo viene nominato pro-rettore del Seminario Regionale di Salerno. Il giornalino interno TELESTAR nel dare la notizia aggiungeva”… (Mons. De Leo) dopo essere stato il NOCCHIERO esperto della navicella del nostro seminario per ben diciannove anni, durante i quali ha seminato abbondantemente i tesori della scienza e della bontà nelle menti e nei cuori di centinai di alunni, molti dei quali sono oggi zelanti sacerdoti e stimati professionisti, è stato nominato rettore del Pontificio Seminario Regionale di Salerno, il maggiore d’Italia… Dalle colonne di TELESTAR vi esprimiamo tutta la nostra gratitudine per il bene fattoci in tanti anni di vita comune, vi assicuriamo che vi terremo sempre nel nostro cuore – perché siamo convinti che voi farete altrettanto – e vi auguriamo che il lavoro sia facile e più ricco di soddisfazioni… SEMPER AD MAIORA”. Alla direzione del seminario di Vallo il vescovo nomina il can. don Giovanni D’Angiolillo, che dall’agosto del 1950 aveva ricoperto il ruolo di vicerettore. Egli dinanzi al calo progressivo degli alunni pubblica un trafiletto molto bello, dove in maniera garbata dialoga con i parroci: “Con la chiusura dell’anno scolastico e con l’arrivo dell’estate” scrive il rettore del seminario “tanti ragazzi, che abbiamo seguito durante tutto il corso delle scuole elementari, lasciano l’ambiente abituale, la parrocchia, per distendersi dopo nove mesi di lavoro e ritemprare le loro energie. Raggiungerli in colonia, in villeggiatura o comunque mantenersi in contatto con essi, durante tale periodo, è difficile. E’ pertanto consigliabile che ogni parroco avvicini SUBITO entro la fine di giugno o nei primi giorni di luglio tutti i ragazzi in gamba della parrocchia, quelli che sono stati assidui nei gruppi di ministranti e che hanno dimostrato una certa disponibilità di servizio verso i compagni, e orienti, con discrezione, verso il seminario i più buoni e i più volenterosi tra essi. E’ vero che, negli adolescenti non si può parlare di vocazione, la quale suppone suppone una certa maturità per potere conoscere, scegliere e decidere con piena libertà esteriore; sappiamo però che una vocazione si matura e si realizza in un clima sereno, riposante, distensivo, familiare, nel quale i ragazzi possono acquisire capacità di autonomia e di iniziativa. E quanto appunto cerchiamo di offrire ai giovanetti nel nostro seminario minore, che va visto perciò come il mezzo ordinario, come l’ambiente capace e valido per favorire la maturazione della vocazione degli adolescenti che in esso vengono educati”. Con lui si ha una fioritura di iniziative per superare la crisi. Ma ormai era un problema che interessava l’intera Chiesa d’Europa del dopo-Concilio. Anche il vescovo sente vivo il bisogno e impellente il dovere di fare presente a tutti i parroci le loro responsabilità. Non parla più di vocazione al sacerdozio, ma di un semplice desiderio: “Cercate, dice il vescovo, ai parroci un nuovo candidato al seminario tra i chierichetti e gli alunni delle Scuole Medie. Conosce le difficoltà per l’invio in seminario da parte delle famiglie, ma nessuno deve disperare dell’assistenza divina. Invita i parroci a gettare la rete e a imitare san Pietro che sulla parola del Signore gettò la rete e la pescagione fu abbondante. Alla crisi delle vocazioni si aggiunge la crisi economica per il seminario. Nel 1966 infatti l’OVE passa nelle mani del vescovo creando dei problemi anche alla direzione del seminario. E se il rettore fino a quel momento si era servito dei soldi dell’OVE anche per lavori strutturali, per arricchire la biblioteca e per rinnovare il mobili, adesso il nuovo rettore per qualsiasi cosa deve intervenire con proprio denaro, non sempre disponibile, anche perché impegnato in seminario a tempo pieno, ha dovuto rinunziare alla scuola di religione nelle scuole statali. Ma si faceva fatica a mandare i figli in seminario. Infatti se fino a quel momenti i genitori che avevano voluto avviare un figlio allo studio c’era stato un solo punto di riferimento, a metà anni Sessanta del Novecento i ragazzi dei nostri paesi potevano frequentare le tre classi della Media restando nel proprio paese. E quando un ragazzo esprimeva il desiderio di entrare in seminario la risposta dei genitori era sempre la stessa: dopo la scuola media si vedrà. E così il seminario si spopolava sempre di più di anno in anno. A cominciare dall’anno scolastico 1967-68 tutti gli alunni conseguono, a fine anno scolastico, l’idoneità presso le scuole statali”, così coloro i quali, dopo attento esame, comprendono di non essere chiamati al sacerdozio potranno continuare i loro studi in qualsiasi tipo di scuola. E i superiori del seminario assisteranno in un clima di amorevolezza e di comprensione con assoluta esclusione di ogni pressione per la scelta dello stato”. Il vescovo, in questo periodo, consegna all’economo la Tabella Cibaria. Per colazione viene offerto cappellate con pane, a pranzo c’è una prima portata a base di pastasciutta (tre volte la settimana) e legumi; la seconda portata prevedeva la carne (tre volte la settimana) con contorno. Negli altri giorni sarà offerto pesce o uova con contorno vario e frutta di stagione. A cena ci sarà una prima portata: pastina o riso in brodo, una seconda portata: salumi o formaggio. Sono previsti pure il dolce e il vino nei giorni festivi. Nell’anno scolastico 1969-70, dopo appena nove anni dall’anno scolastico 1960-61, il seminario registrò una diminuzione paurosa, da 114 ragazzi si arrivò a 40. Il seminario registrò 74 posti vuoti. L’anno dopo addirittura la scuola media interna risulta soppressa. I ragazzi della Media frequentano la Scuola Media “Fratelli Martiri De Mattia”. Sono 37 di cui 16 in I media, 11 in II media, 10 in III media. Certo, con 37 alunni la Scuola Media Interna non meritava di essere soppressa. Ma era un problema di soldi. Gli alunni del Ginnasio, invece, frequentano la scuola interna e tutti hanno sostenuto gli esami di idoneità nella scuola statale. Il vescovo intanto “constato che i giovanetti disposti ad entrare in seminario sono sempre più in diminuzione e le difficoltà del loro mantenimento nel Pio Istituto divengono sempre più pesanti”, suggerisce ai sacerdoti “per il travaglio dell’ora presente la preghiera, interessamento di ricerca, la generosità di cuore e il sacrificio… E’ necessario, continua il vescovo, richiamare a novella e a più fervida vita l’Opera delle vocazioni nelle singole parrocchie.” Certo, la mancanza di vocazioni non era solo un problema della diocesi di Vallo, ma di tutta la Chiesa d’Occidente. Nello stesso periodo, infatti, la Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica pubblica la “Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis”. Un documento articolato in 17 capitoli nel quale si affrontava la cura pastorale della vocazioni e il sistema educativo dei seminari minori e maggiori. Ma a niente servì la “Ratio”, come a niente servirono i vari appelli di mons. Biagio D’Agostino (1956-1974) e del rettore del seminario. Il vescovo addirittura accenna a voci di contestazione e di una certa diffidenza circa l’opportunità di mantenere ancora in vita istituzioni che, alcuni novatori, soprattutto ecclesiastici, vogliono considerare come superate.”
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