Pasqua o Pasquinata? Isola di silenzio o tortura? Quaresima o quarantena? In tempi come questi, in cui è facile perdere i punti di riferimento, i giochi di parole non bastano a smorzare il disappunto e la tristezza, non lo smarrimento e il conseguente impasse che ci hanno accompagnato attraverso le recenti festività 2020. Nessun fervore cattolico tuttavia. C’è chi, a ragione, sente la separazione dalla chiesa, dal rituale della messa domenicale, e ancor più la distanza dalle celebrazioni della Santa Pasqua, con un senso di profonda contrizione. E non basta cercare di adunarsi per la recita del rosario, nello slargo di una piazzetta ben ampia, come gesto di rivolta e di sentita rivoluzione interiore, perché mancherà sempre un Don qualsiasi e il suo sermone, mancheranno le parole del Vangelo pronunciate con sapienza da un ministro di Dio e la sua immancabile fiducia.
Una Pasqua di Resurrezione questa, per loro, (o per tutti?) ancora più attesa, se è vero che da sempre la Pasqua è metafora di rinascita, oltre che dogma di fede.
Così la Pasqua è Pasqua di Resurrezione per i cristiani ma Pasqua di liberazione per gli ebrei.
È uno degli otto Sabbats, celebrazione dell’equinozio di Primavera e della dea Ostara nel mondo pagano wiccan, mentre nell’antichità classica celebrava il ritorno di Persefone dal mondo sotterraneo o, per i Frigi, il risveglio di una bella divinità addormentata.
È ancora, semplicemente, l’inizio di un nuovo anno, secondo il calendario delle stagioni.
È la festa della luce, trionfo sulle tenebre che avvolgono l’inverno, della fertilità della terra che ritorna a fiorire, della vita che si impone, che chiede di mostrarsi. È testimonianza di quel continuum di morti e rinascite cui tutte le creature sottostanno, come per una geniale conformazione organica, che ci consente di vivere molte vite in una sola vita.
Prendiamo dunque quest’epoca di virulenza, questa sospensione del tempo che ci impone solitudine e distanza, come la premessa ad un nuovo capitolo della nostra storia di umani: per la prima volta tutti chiamati in causa come protagonisti di un possibile cambiamento.
Se questo cambiamento dovrà avvenire o sarà soltanto la preghiera dell’ateo che si vede morire, non è dato sapere ora. Le probabilità che tutto cambi perché tutto resti uguale sono alte. La più grande abilità che l’essere umano ha sviluppato, per necessità di sopravvivenza, è l’adattabilità. Ciò fa si che i cambiamenti risultino tali nel loro insorgere, ma non nelle loro conseguenze, quando anch’essi finiscono con l’essere piegati nel breve tempo alle logiche del munus, di un patto sociale fatto di ruoli cristallizzati, di dinamiche di potere, di un do ut des che prescrive meno solidarietà e più interesse personale.
Con la Pasqua abbiamo atteso, forse tutti, un deus ex machina, che comparisse sulla scena di un mondo infetto per darci risoluzione ad una trama ormai irrisolvibile a seguito di attente valutazioni, di una presa di responsabilità, delle cause e dei suoi effetti. Lo abbiamo atteso, lo attendiamo, sperando che non sia invano.
Francesca Schiavo Rappo