Domenica mattina. Sono alla finestra. Il silenzio è assordante. Il cielo libero. Rumori di auto in corsa annullati. Il cinguettio degli uccelli mi ricorda che è primavera. Le giornate si allungano. Il raccolto diviene propizio. Le acque luccicano per il riflettersi del sole. Ad un tratto il rintocco delle campane.
È Pasqua. Una Pasqua anomala, ci siamo detti. Sì, perché in questi mesi le tenebre si sono appropriate delle nostre vite, travolgendole. Una morsa è entrata dentro di noi. La solitudine si è impadronita delle nostre giornate. Nessuno mai si sarebbe aspettato una tale distruzione. Eravamo tutti distratti. Tutti occupati a rincorrere il tempo. Tutti occupati a disegnare vite di successo. Spaesati, abbiamo iniziato a rimpiangere le occasioni perdute. La felicità di cui non ci siamo accorti.
Così siamo stati costretti a reiventarci, a rallentare. Siamo stati costretti a portare i nostri occhi sul mondo. Ci siamo scoperti fragili, timorosi, disorientati, persi. Ma nel vuoto bisogna agire: decidere se perdersi o rinascere. Toccanti le parole di papa Francesco – professate durante la celebrazione della Veglia pasquale, a San Pietro: «Per loro – rivolgendosi alle donne del Vangelo – era l’ora più buia, come per noi. Come noi, avevano negli occhi il dramma della sofferenza, di una tragedia inattesa accaduta troppo in fretta. Avevano visto la morte e avevano la morte nel cuore. Al dolore si accompagnava la paura. E poi i timori per il futuro, tutto da ricostruire. La memoria ferita, la speranza soffocata». Parole che attraversano i secoli e toccano tutti noi. Ma guai a lasciarsi andare, a far prevalere la sconfitta. Il suo annuncio di speranza ci invita a superare la tristezza. A provare stupore per la vita e a trasformarlo in dono per gli altri. Ed è ciò che stiamo facendo. Migliaia di volontari consegnano – e non hanno smesso neppure il giorno di Pasqua – pasti ai bisognosi e colombe ai tanti ricoverati. Le nostre mani non hanno smesso di impastare pane e pizza. I bambini hanno sorriso rompendo uova di cioccolato. Le tavole adornate di fiori di pesco. Gli italiani si sono uniti, raccontando le loro vite, attraverso strampalati hashtag #pasquaacasa #iorestoacasa. Hanno mostrato la loro gratitudine dicendo #grazie ai tanti impegnati in prima linea. Certo, non tutti si sono comportati in modo responsabile. C’è chi non ha rinunciato alla grigliata, unendosi con parenti e amici. Chi avrebbe voluto raggiungere le spiagge assolate o le seconde case. Multe e sanzioni, dunque, non sono mancate, grazie al tempestivo intervento delle forze dell’ordine. Ma c’è anche chi ha fatto prevalere il buon senso, armandosi di tanta fantasia. Il terrazzo è diventato un parco su cui correre o poggiare dei cestini da pic-nic. La pastiera una merenda golosa da sgranocchiare. Il cellulare un mezzo per brindare. Telefonate, videochiamate, messaggi hanno colmato le distanze. Il sorriso è comparso sulle nostre bocche.
Qui, alla mia finestra, mi sorprendo. Il giorno continua a lasciare posto alla notte. Gli alberi si abbandonano fino a toccarsi. I frutti spiccano, i fiori germogliano. Le nuvole, di un cotone denso, si spostano. Il tramonto lascia posto al crepuscolo. Più in là, la luna. Quella luna che ci osserva e lenisce ogni ferita. L’occhio si sposta, poi, sulle innumerevoli finestre del mio quartiere, e poi della mia città, e poi del mio Paese. L’Italia. Se solo riflettessimo su quelle vite che si consumano dietro le finestre di ogni Regione. Alcune aperte, altre socchiuse, altre avvolte da pesanti tende. La vita dentro vi scorre indisturbata. C’è chi legge, chi dorme, chi mangia. C’è una famiglia, riunita, sul divano. Ci sono bambini sporchi di pittura. Ci sono adolescenti, chiusi nelle loro stanze, annoiati. Ci sono ragazzi che hanno voglia di vivere, di scherzare, di sorridere. Ci sono impalcature di immaginazione. Progetti andati in fumo. Vite spezzate. Urla inascoltate. Ma dietro quelle innumerevoli finestre di abitazioni, aziende, ospedali, si avverte un desiderio: il tempo delle distrazioni è finito. Non potrebbe essere altrimenti. Non possiamo rimanere a guardare. Non possiamo calare il capo e armarci di un finto sorriso. Questa pandemia sta segnando un prima e un dopo. Nel dopo non potrà esserci più tempo per le distrazioni. Smettiamola di farci andare bene un mondo che non è come vorremmo. Questa è un’occasione per guardarci dentro, ascoltarci, agire. Non facciamoci soggiogare da un mondo che funziona, ma solo apparentemente.
Anais Di Stefano